venerdì 24 maggio 2013

"Infanzia clandestina" ovvero gli anni dell'ultima dittatura militare argentina raccontati in prima persona da Benjamin Avila

Ancora una volta la storia argentina recente irrompe sul grande schermo attraverso, ma in modo diverso, perché si tratta di una storia personale che pian piano diventa universale, ovvero quando la Storia con la S maiuscola è vista attraverso la vita quotidiana, vissuta e subita perché in questo caso vista attraverso lo sguardo di un bambino, che come il regista Benjamin Avila, oggi è un uomo che però ha avuto un "Infanzia clandestina" come viene definita fin dal titolo. Ma non è nemmeno un film completamente autobiografico, perché come dice l'autore stesso, usa la sua vicenda privata per raccontare una storia d'amore tra ragazzini ambientata in un momento storico ben preciso, durante l'ultima - la più feroce - dittatura militare, tra il 1976 e il 1983. Niente retorica né pietismi, quindi, nemmeno tutto bianco e nero, ma piuttosto grigio per raccontare anche l'altra parte della storia, quella della militanza politica dell'epoca (i genitori dell'autore lo erano, la madre è una 'desaparecida', e lui è riuscito a ritrovare il fratello parecchi anni dopo). Un universo sconosciuto nel quale le paure - come in ogni guerra - si accompagnavano costantemente alla gioia, all'amore e alla passione. Sceneggiato dal regista con il brasiliano Marcelo Muller, è ambientato nel 1979: il dodicenne Juan (Teo Gutierrez Moreno) e la sua famiglia tornano a Buenos Aires sotto falsa identità, dopo aver trascorso diversi anni in esilio a Cuba. I genitori di Juan e lo zio Beto (inimitabile Ernesto Alterio) - il suo mentore, quasi un amico immaginario - appartengono all'organizzazione clandestina dei Montoneros, in lotta perenne con la giunta militare al potere che continua a dargli la caccia. E per i compagni di classe, compresa Maria della quale è innamorato, Juan dovrà chiamarsi Ernesto (come il "Che"). Non dovrà mai dimenticarlo, a rischio di mettere a repentaglio la vita di tutti i suoi famigliari. Un rischio che è, comunque, sempre in agguato, tra fiducia e sospetto. Presentato in una ventina di festival nazionali e internazionali, da Cannes a Toronto, e candidato per l'Argentina all'Oscar per il miglior straniero 2013, è un dramma che si discosta dal 'solito' film sui desaparecidos per diventare anche un racconto di formazione, "sulla perdita dell'innocenza e sul passaggio dall'infanzia all'adolescenza che inizia quando cominciamo a chiederci chi vorremmo essere". I riferimenti, dichiarati, di Avila sono stati "Papà è in viaggio d'affari" di Emir Kusturica e "La mia vita a quattro zampe" di Lasse Hallstrom, riguardo l'infanzia, e il cinema di Ken Loach per la visione politica, mentre l'uso dell'animazione per rappresentare le scene di violenza sono ispirati al Tarantino di "Kill Bill parte 1" per distinguersi da tutti i film realizzati sulla dittatura in Argentina. Inoltre, il fatto che il premio Oscar Luis Puenzo ("La storia ufficiale") sia il produttore, secondo il regista "si è trattato di una meravigliosa coincidenza". "E' stato un amico comune che mi ha consigliato di andare a parlargli - confessa -. Molto tempo dopo, quando eravamo immersi nel montaggio, ci siamo resi conti di tutti i collegamenti tra 'Infanzia clandestina' e 'La storia ufficiale' (Ernesto Alterio è figlio del protagonista Héctor Alterio ndr.). Il più sorprendente e importante di tutti è che la bambina del film di Puenzo (che è ambientato nel 1984) ha cinque anni e quindi nel 1979 aveva la stessa età di Vicky, la sorella minore di Juan nel mio film. Questo senso di unione tra due generazioni è stato per me molto commovente. Abbiamo sempre trattato i cineasti della generazione di Luis come dei dinosauri, e ci siamo sempre rifiutati di imparare qualcosa da loro. La generazione di Luis ha imparato dalla generazione precedente ma la mia generazione non ha voluto sapere nulla di loro. Cionondimeno, i miei maestri vengono proprio da quella generazione e personalmente non mi identifico con quello che viene chiamato 'il nuovo cinema argentino' perché oggi in Argentina esistono altre maniere di fare cinema. Il cinema fa parte della comunicazione sociale e di una visione politica della vita". Un film che invita alla riflezione su torto e ragione, su ideologia - teorica e pratica -, su ribellione e rassegnazione, su bianco e nero, appunto. Nel cast anche Natalia Oreiro (Cristina alias Charo, la madre), César Troncoso (Horacio alias Daniel, il padre), la veterana Cristina Banegas (nonna Amalia), Mayana Neiva (Carmen) e Douglas Simon (Gregorio). José de Arcangelo (4 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 23 maggio - data poi spostata al 29 agosto - distribuito da GoodFilms

Nessun commento: