mercoledì 1 maggio 2013
L' intenso dramma di un padre sull'angoscia dei 'desaparecidos" turchi in "Muffa" di Ali Aydin
Reduce della 27a. Settimana Internazionale della Critica e vincitore del Premio Luigi De Laurentiis per l'opera prima nella passata edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, approda in sala è l'intenso e rigoroso dramma scritto e diretto da Ali Aydin, che affronta un tragico episodio della storia recente della Turchia e che si ricollega con gli anni oscuri della dittatura argentina: i 'desaparecidos'. Infatti, anche lì - ma negli anni Novanta - sono 'scomparsi' dei giovani, guarda caso, considerati 'sovversivi', la stessa definizione usata dai militari sudamericani negli anni '70/'80 per giustificare la loro 'sporca guerra al comunismo' che è costata la sparizione di migliaia di oppositori, studenti e intellettuali (30mila solo in Argentina), nella maggior parti giovani e giovanissimi, appunto.
E anche in Turchia, come a Buenos Aires, ci sono le Madri del Sabato sulla scia delle Madri di Plaza de Mayo, che sin dal 1995 attendono silenziosamente in Istiklal Street con le foto dei loro parenti 'desaparecidos'.
In "Muffa", bastano gli sguardi, le attese e i silenzi a raccontare un'angoscia indescrivibile come la scomparsa di un figlio, perché non si tratta nemmeno dell'elaborazione di un lutto - questa è il dolore più grande - non sapere se l'essere più caro sia realmente morto, prigioniero oppure impossibilitato di chiederci aiuto.
Guardiano lungo i binari della ferrovia in Anatolia, Basri (Erkan Kesal, anche sceneggiatore di "C'era una volta in Anatolia" di Nuri Bilge Ceylan) ha perso il suo unico figlio Seyfi, studente a Istanbul, di cui ha saputo soltanto che diciotto anni prima era stato arrestato durante una protesta per attività antigovernative e da allora nessuno ha più saputo né dato notizie di lui.
L'anziano Basri però non si è rassegnato a quel destino sospeso e si reca spesso nella questura locale alla ricerca di qualche traccia o rivelazione che possa alimentare la sua speranza mai persa.
Un ritratto potente e dolente - in bilico tra Kafka e Dostoevskij - in un'opera che coinvolge e commuove, spingendo lo spettatore a riflettere sugli ultimi decenni del Novecento e a far luce sulle pagine più buie della storia contemporanea, e su fatti accaduti non tanto lontano da noi, e troppo presto dimenticati e sepolti, però senza un nome sulle tombe. E al contrario di altri colleghi, Ali Aydin riesce a raccontarci la tormentata vicenda con una durata standard, solo 94'.
La pellicola, una coproduzione fra Turchia e Germania, è stata però supportata dal Ministro della Cultura, segno che qualcosa, vent'anni dopo, si è mosso nei palazzi del potere, in un paese che spera ancora di 'entrare' in Europa. E se, come dice l'autore, il cinema non potrà restituire i parenti scomparsi, almeno impedirà di dimenticarli del tutto.
Nel cast anche Muhammet Uzuner e Tansu Biçer.
José de Arcangelo
(4 stelle su 5)
Nelle sale dal 1° maggio distribuito da Sacher Film
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