giovedì 6 giugno 2013

Dopo aver fatto il giro del mondo nei festival internazionale approda (ritorna) in Italia "La leggenda di Kaspar Hauser" di Davide Manuli

Dopo aver partecipato ad un centinaio di festival internazionali, evento speciale a quello di Rotterdam e premiato a San Francisco Independent Film Festival, Tous-Ecrans - Geneve International FilmFest e all'Arizona Underground FilmFest approda nelle sale dal 13 giugno "La leggenda di Kaspar Hauser" firmato dal milanese Davide Manuli, sulla scia del precedente "Beket" - anch'esso premiato a Locarno e altrove, ma 'visto' nelle sale italiane due anni dopo e riproposto ora -, dove l'autore continua la sua ricerca di una nuova narrativa cinematografica, sempre coinvolgente e suggestiva.
La celebre leggenda - già portata sul grande schermo da Werner Herzog negli anni Settanta come "L'enigma di Kaspar Hauser" - viene rivisitata in chiave diversa, puntando sull'ambiguità e sulla trasformazione, e rispecchiandosi in questo nostro 'nostro mondo' contemporaneo dell'ipercomunicabilità virtuale dove però regnano l'incomunicabilità, l'indifferenza e la solitudine. Dove l'altro è spesso il diverso da sfruttare o deridere proprio come accadeva ai cosiddetti 'fenomeni da baraccone' nell'Ottocento. Il tutto ambientato in una 'magica' Sardegna che diventa ottimo non luogo per rivisitare un vecchio mito attraverso un nuovo percorso. "C'è anche un lato pratico meno poetico - esordisce Manuli sulla scelta della location -, perché il film ha la nazionalità italiana, e già prima di fare 'Bekett', sempre sull'assurdità dell'esistenza umana, avevamo pensato prima al deserto di Almeria in Spagna (dove si giravano gli spaghetti western ndr.), ma decisi di farmi un weekend in Sardegna per vedere i paesaggi, e ho scoperto che offre una ricchezza rara, penso che non ci sia una sola regione con tanti paesaggi differenti, decine di tipi di geologie e vegetazione diverse". "Sono un artigiano al servizio della storia - afferma -, nessuno lavora per il proprio ego né per distruggere, prima di tutto, ai sensi della storia la Sardegna è perfetta, poi perché voglio che in Italia e all'estero si veda questa Sardegna, così come i sardi e gli italiani non sono abituati a vederla, al di là della solita cartolina a colori. I sardi sono contentissimi e sorpresi di vederla così".
"Ci doveva essere un attore - prosegue sulla protagonista -, non era premeditato avere una donna androgina, ma quando eravamo a pochi mesi dalle riprese, ci siamo ritrovati senza Kaspar. Doveva essere un ragazzino, un giovane contorsionista circense russo ma non eravamo ancora in contatto. Davanti a questa grande difficoltà, mi sono ricordato di Silvia che avevo visto in 'Paesaggio con fratello rotto' del teatro Valdoca, dov'era cosparsa di gesso e con una giraffa in testa. Ho sognato di lei, dello spettacolo, e sono andato a rivedere le foto, ma non lavorava più con Valdoca, ed erano passati sei anni dallo spettacolo. Diciamo che è stata una scommessa che abbiamo fatto insieme, ti stringi la mano e fai una cosa insieme, contando sulla fiducia di entrambi. Poi l'angoscia di avere Gallo sotto contratto da tre anni e senza Kaspar. Non puoi far finta della centralità di Kaspar, è una scelta forte, un film grigio, pericolosissimo nella scrittura, nella realizzazione, nel girato; appena ti giri, rischi. Anche per l'uscita facciamo una scelta fortissima, preghiamo che vada bene. Se va male, abbiamo la coscienza a posto, la responsabilità di una scelta forte. Silvia è un'eccezionale performer, un'attrice bravissima col corpo e l'estetica. Ha dato una centralità forte a Kaspar nel film. Sull'aspetto androgino il film è stato fortunato una volta in più, funziona molto meglio l'androgina che il maschio. In parte l'atmosfera è anche un esoterica, orientalista, e lo dimostra il monologo Fabrizio/il prete. La storia vera è il punto di partenza, non ho voluto farla letteralmente, dall'altra parte l'aveva fatta benissimo Herzog. Ho proceduto con una sorta di asciugatura, solo piani sequenza, e continuare con gli stessi elementi che avevo in mente da vent'anni. Appena finito 'Beket' abbiamo deciso di continuare subito con altro film, e ho tirato fuori Kaspar Hauser. Prendere una versione archetipa asciugandola, prendere tutta la documentazione e buttarla a mare. A me interessavano gli archetipi della storia vera, ma piccole cose ci sono, dall'altra prendere il punto di vista di Rudolf Steiner, non da studioso, che diceva che Kaspar era la reincarnazione di Cristo, un santo, e se Hauser è un puro, un innocente, un santo moderno che arriva dal mare, a me interessava farne una metafora della non comunicazione nella nostra società, passare dall'assurdo di 'Beket' al non senso di Kaspar Hauser. A Rotterdam ho detto un anno fa, un film nel quale ci sono 90' di non senso all'interno di tanto senso. Interessava dire che noi oggi, nel 2013, viviamo in una società che non ha nessun senso, nessuna prospettiva, nessuna comunicazione, nessuna umanità, non c'è niente. Volevo riprendere quella specie di manifesto, l'obiettivo retro-futurista, godariano (della 'nouvelle vague'), elementi che spezzano completamento la struttura, come i marchi Adidas, Ufo di una modernità assoluta in una pellicola con dei piani sequenza retrò. Una scommessa, e visto che di solito mi danno delle etichette, 'cinema di ricerca, sperimentazione'; giusto da ricercatore faccio la mia ricerca e sperimentazione, cerco di provare a fare un passo in più, anche qualcosa di nuovo. Sul film all'estero - in 40 nazioni - mi hanno detto di non aver mai visto niente del genere a livello narrativo, e 5 vendite estere, proprio per questa nuova narrativa cinematografica". "Io gli ho fatto conoscere lo scrittore Giuseppe Genna - dichiara Fabrizio Gifuni -, e leggere 'Italia de profundis' e alla fine abbiamo lavorato tutti e tre insieme". "In questo medesimo giorno esce il suo nuovo libro - ribatte il regista -, è qualcosa di incredibile che fa di questo un giorno bellissimo. Ma c'è chi lo odia, chi va fuori di testa completamente per i suoi libri. E' nato un triangolo di collaborazione esterno alla sceneggiatura, poi volendo coinvongerlo abbiamo fatto una sorta di cellula di lavoro separata sui monologhi che Fabrizio è bravissimo a fare e Giuseppe a scrivere. Infatti al centro ho montato il monologo che è il cuore del film". "Ho visto casualmente il primo film di Manuli, il leggendario 'Girotondo, giro attorno al mondo - al Labirinto, scomparso come tante sale -; e sono rimasto abbagliato dal mondo di Davide, colpito dalla grazia e dalla poesia. Io non saprei raccontare la violenza del nostro mondo, i tempi in cui viviamo, non so chi sia a proprio agio, in questa sorta di nuovo medioevo, credo resista in vita chi è in grado giocare, perché è la più seria attività dell'uomo. Non passo il tempo a domandarmi cosa significa, l'importante è restare in vita, chi riesce a cantare, a giocare resta in piedi, chi non lo sa fare, muore, viene mangiato dalla Sfinge. Il suo cinema attiva uno straordinario meccanismo di gioco in maniera unica, si ha la sensazione di non aver visto nulla che assomigliasse, e avevo voglia di lavorare con lui. Da quando ci siamo conosciuti abbiamo parlato di mille progetti, giochi fatti e disfatti a causa del sistema produttivo. Anziché spendere parole, preferisco giocare. Fra i tanti progetti è riuscito con tenacia tragica a fare 'Beket' e ora 'Kaspar Hauser' e sono stato ben felice di partecipare". "Il piccolo principe' è un testo di cui mi sono occupato negli ultimi anni, e ripensando Davide ha fatto esattamente la stessa cosa. Io non potevo riproporre un aviatore accanto a un bambino che gli fa delle domande. In quel modo Manuli e il mio personaggio affrontano Kaspar Hauser, riuscendo a farsi abitare dal mito giocando. Genna è un grandissimo scrittore e i due non si conoscevano e - l'unica cosa buona che ho fatto - è stata mettere in collegamento due navi spaziali che sorvolavano lo stesso cielo ma non si erano mai incontrate. Si sono riconosciuti subito, anche se non sono due personaggi semplici. Allo stesso tempo il personaggio del prete si fa carico di tutte le parole che non vengono dette nel film, piccole segni che ad un certo punto diventa due finestre che si aprono e il prete si assume carico di tutte le parole. Divertente".
"La musica del film chiamiamola electro (elettronica), per me è un mondo a parte, qualcosa che esiste ma c'è chi la conosce e chi non se n'è accorto, e chi cade dentro viene risucchiato in un mondo incredibile, sarà da una decina di anni che mi sono concentrato ad ascoltarla, a studiarla. Secondo me è la più bella degli ultimi anni, ci sono varienti e varie 'famiglie' che stanno nascendo. Vitalic (il musicista francese autore della colonna sonora ndr) è come Mozart, agli stessi livelli, da grandi della musica classica. L'aspetto che mi interessava diciamo è quel battito cardiaco che non ha il jazz né il rock né altre. E' una musica da macchina, vibrazionale, e in un film poco parlato volevo usarla in questo senso. Kaspar Hauser arriva malato ed è destinato a morire in un ospizio, un animale da circo, un divertimento della Mitteleuropa di allora, hanno cercato di insegnargli la letteratura, a suonare il pianoforte; ma non sapeva leggere, bere, mangiare. Sapeva stare al buio e ascoltare rumori a centinaia di chilometri, questi i suoi poteri. La buona società in nome della borghesia l'ha ammazzato perché troppo stimolato; il bel mondo non lo ascoltava lo aggrediva, come un'arancia di spremere, era morto cerebralmente prima della sua uccisione. Il precettore (il ruolo dello Sceriffo) c'è ma non gli insegna mille mestiere, ma solo un mestiere per guadagnarsi da vivere, solo l'arte del Dj di musica elettronica, appunto. Il loro è un rapporto padre-figlio, lo Sceriffo è il guru e Kaspar il discepolo. Attraverso una vibrazone - esteticamente anni '60 - la conoscenza tramandata dallo Sceriffo è la musica, la vibrazione e l'energia. Le colonne sonore non mi piacciano come sottolineatura, ma come protagoniste, così come l'ambientazione, tutto in esterni, il paesaggio si allarga, i personaggi si rimpiccioliscono. Il paesaggio è protagonista e sulla spiaggia presenta Vitalic anziché gli attori".
"Vincent Gallo è la cosa più difficile e più bella che mi è capitata - confessa l'autore -; Vincent ha accettato dopo aver visto 'Beket' e da allora è iniziato il nostro rapporto di lavoro. Tribolazione - non legali - per lunghi anni in cui ci si sente al telefono e ci si scrive tutti i giorni. Visti i problemi finanziari ci sono voluti tre anni per iniziare le riprese, ma grazie al massiccio sostegno della Regione Autonoma della Sardegna, del MiBac, della Regione Lazio, perché la Rai non è entrata. Gallo, fin dal primo minuto, diventava nervoso, si rimetteva in discussione, non era contento che a causa della crisi il film non partisse. Quando poi si è trattato di lavorare assieme è stato magnifico. Ha una caratteristica, Fabrizio è gigantesco, superlativo; come Vincent negli Usa ma ha sempre il rammarico perché considerano poco. E' il più grande al mondo degli ultimi anni, e la pensa così anche Francis Ford Coppola. Ha una tensione del suo talento sempre artistica, è un attore e anche artista. Ho vissuto cinque annin in America e ho potuto constatare negli attori una tensione puramente attoriale, quella di Vincent è invece artistica. Sinceramente penso a Robert De Niro, Sean Penn, Adrien Brody, Al Pacino espremino una tensione solo attoriale. A Hollywood ho proposto questa sceneggiatura e mi sono sentito dire 'no, grazie'. Vincent si è presentato in un B&B senza nessuna pretesa, in un paese di due case, si è messo totalmente in discussione e in gioco. Quando lavora è ossessivo, fanatico, paranoico ma anch'io lo sono, siamo nati entrambi l'11 aprile. Porta ad una tensione enorme, mai gratuita, crea conflitto ma ai fini del film. Non c'è stata mai stata una giornata che siano andato a dormire senza una sua proposta, dicendo forse ho sparato una cazzata. E anche quando pensi che non ha ragione, a ragionarci poi ti dici, forse, aveva ragione lui. In ogni ciak quando diceva buona, si fermavano tutti, lui incredulo mi portava lontano: 'sei sicuro che è tutto a posto? Abbiamo messo quattro anni per fare questo film e sono qua a tua completa disposizione, sei sicuro al cento per cento?'; e io piangevo, è stata la cosa più bella. Ricominciavamo a girare, finché il produttore ci ricordava che stavamo usando troppa pellicola. Vincent era solo un attore appassionato, affezionato veniva da solo, da Parigi a Riola Sarda, io corsi in questo bellissimo B&B, per anticparlo con un mazzo di fiori, un cesto di frutta e una chitarra, e me lo ritrovo all'alimentari, dietro una colonna di prodotti, tutto chinata dentro un refrigeratore: vedevo solo gli stivali e pensai è lui. Si alza e dice 'is so beautiful', eccezionale, tutto bello; ma non nelle condizioni ideali. Però non si è mai lamentato, è stato un adorabile professionista, straordinario solo per il lavoro".
"Il persnaggio si costruisce lasciandosi andare alla casualità - riprende Gifuni sul suo ruolo - e le cose ti vengono incontro. Un personaggio come questo, non come altri, è insensato pensare possa disporre di una chiave unica che apra tutte le porte, sia nel metodo che nelle altre tecniche espressive. Grazie a Dio, noi siamo artigiani, fabbri con più strumenti nella valigetta, qualcuno dei quali potrà essere utile. Stavo lavorando con Davide sugli abbozzi di Giuseppe, anche se in lui non ci sono brutte copie, e mi sono messo di fronte al testo lasciandomi abitare dalle parole. In quel periodo ero andato in Puglia - sono per metà siciliano - e l'ho sentito all'interno di quelle sonorità, anche perché per dire tutto il testo ci sono mille piani di lettura, e ho voluto giocarli recitandoli in pugliese, quello tra la provincia di Foggia e Barletta. E ho detto 'se parlassi così?', e Davide si è convinto di questa cosa buttata li da me per gioco. Poi ci siamo resi conti che all'interno del film è assurdo ma funziona, forse in questa sorta di astronave diventa una lingua aliena, da usare in un contesto naturalistico. Poi ci ho lavorato un po' sui monologhi, come faccio in teatro negli ultimi anni, e dove mi è capitato un progetto monologante su Gadda e Pasolini".
"Adesso il film parte l'11 con l'anteprima a Cagliari, poi Roma ed esce in una decina di copie, per cui ho stretto denti per fare qualcosa di piccolo ma importante e dignitoso. Uscirà con Mediaplex (in collaborazione con Cineama) che sta curando la distribuzione nei minimi particolari, e che non si ridurrà alla prima settimana,. E' bello sapere che dopo sei mesi, un anno, è il classico film che va discretamente bene, ma per sopravvivere dal 13 giugno ha bisogno di una lunga circuitazione in luoghi singoli. La cosa importante è quella dell'informazione. Se viene considerato film di nicchia, poi accade come al film di Reygadas ("Post Tenebras Lux") che viene fatto fuori dopo tre giorni, ed è uno che vince il premio alla regia a Cannes. I francesi stanno preparando un lancio per settembre, in tanto l'hanno già visto polacchi e tedeschi. Dopo sei mesi per contrattualizzare il film, riunioni su riunioni, i francesi prevedono incassi commerciali, lavorando su Vitalic fin dal manifesto, battendo sul fatto che è il più venduto al mondo, e che sarà in tournée col tutto esaurito. Sei mesi per contrattualizzarlo, solo dopo l'etichetta accompagnavano il film. Quattro proiezioni stampa tra aprile e luglio, ed esce in 50 copie a settembre con grande prubblicità. Sono dei geni illuminati, ma in Russia non sono come i francesi, che vedono questo bacino di utenza enorme (della musica elettronica) commerciale per incassare. Mi fa molto piacere, ma non so bene che fine farà in Italia, 'piccolo film di nicchia masochista', per niente indipendente né underground. Gallo si voglia o no è un attore di prima grandezza, come Fabrizio fra teatro, cinema escrittura, è tra i più grandi in Italia. Forse è un film ambizioso, presuntuoso, dicono 'di ricerca nel teatro omosessuale', ma ho fatto un progetto partendo da ingredienti molto importanti, e c'è chi sta accogliendo questa cosa, presto speriamo in Giappone e negli Stati Uniti, e questo aiuterà altre vendite.
Nell'ultimo anno mi hanno chiesto 'ma perché fai un film così?' e io 'Perché altri fanno film cosa?' C'è chi cerca un senso in tutto, che comunque c'è. Attori e musicisti importantissimi, la commissione ha dato il massimo punteggio alla sceneggiatura analisi, dopo l'invito a Rotterdam come evento speciale, il film ha fatto il giro del mondo nei festival, e dopo un anno di vendite estere, numeri e fatti dimostrano che ha un senso e che di noi ci si ricorderà". "Ci sono molte cose intorno a lui - conclude sul protagonista -, è un perno, per distinguere buoni e cattivi nell'ambiguità di tutto il film. Il prete riconosce Hauser, anche se nessuno ha detto chi è. Lo sceriffo è anche controbilanciato dal bianco, il Pusher, è spaccato in due; il prete è quello che li conosce tutti. Ed essendo un perno, Kaspar in Paradiso incontra gli amici". Per chi non la conosce, la storia è ispirata ad un misterioso fatto di cronaca avvenuto in Germania nell'Ottocento e che affascinò, per oltre un secolo, intellettuali e registi. Il 26 maggio 1828 comparve all'improvviso in una piazza di Norimberga, un ragazzo di circa sedici anni che sapeva dire solo un nome, forse il suo, Kaspar Hauser appunto.
Nel film arriva galleggiando sulla riva di una spiaggia. E' Kaspar Hauser (Silvia Calderoni, ottima attrice teatrale prestata al cinema), il fanciullo d'Europa, erede al trono, fatto sparire per oscuri motivi di potere quando era ancora piccolo. Approdato in questo luogo desolato e senza tempo, abitato solo dalla Granduchessa (Claudia Gerini), dal Prete (Fabrizio Gifuni), dalla Veggente (Elisa Sednaoui), dal Drago (Marco Lampis) e soprattutto dal Pusher e dallo Sceriffo (entrambi interpretati da un sempre appassionato Vincent Gallo), Kaspar sconvolge gli equilibri di questo mondo lontano, isolato in una dimensione atemporale. José de Arcangelo

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