giovedì 20 giugno 2013
Finalmente arriva nelle sale "Amore Carne" di Pippo Delbono, un suggestivo ed emozionante viaggio dentro se stessi e dentro gli altri
Pippo Delbono è un artista eclettico riconosciuto internazionalmente e, come accade sempre più spesso, molto meno in patria, non dal pubblico e dalle istituzioni teatrali, ma sì dal mondo del cinema, nonostante il suo primo lungometraggio "Guerra" - dopo la presentazione alla Mostra Internazonale d'Arte Cinematografica di Venezia -, abbia ottenuto il David di Donatello per il Miglior documentario. E non solo, "Il grido" è stato presentato al Festival di Roma 2006 e "La paura" a Locarno 2009, ma non sono usciti in sala e, quindi, pressoché 'invisibili' da noi.
Ora il suo quarto film "Amore Carne", già applaudito a Venezia 69 nella sezione Orizzonti e in anteprima il 26 giugno alla 49.a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro nell'ambito dell'Evento Speciale "Fuori norma. La via sperimentale del cinema italiano (2000-2012)", uscirà in sala il 27 giugno distribuito dalla Tucker in contempornea con la Francia che, però, ha avuto il 'privilegio' di vedere i precedenti suoi lavori in 'normale' distribuzione.
"Il cinema italiano è più vario di quello che sembra - esordisce Marco Muller alla presentazione stampa romana -, bisogna distinguere i punti di riferimento, esiste un panorama visivo in cui i personaggi più interessanti si prendono il rischio di sbagliare e Delbono è uno di questi, per me ogni cosa che ha fatto Pippo è stata una sorpresa. Avevamo inventato a Bologna, in un periodo in cui non ero impegnato a fabbricare festival, una fondanzione e, come produttore volevo scommettere sugli slittamenti visivi. La Lux in partenza doveva produrre i primi lungometraggi di artisti che provenivano dal teatro contaminato dal video e viceversa. Non sono stato presente alla comunicazione dei dati dell'Ente Spettacolo, ma ho saputo che sono stati prodotti 31 film con un budget superiore a 3.5 milioni nel 2011, e nel 2012 una quarantina al di sotto dei 4 milioni, e anche questi sono considerati film. Cinema si può fare ancora in Italia, con una nuova realtà di produzione e per un cinema nuovo".
"Non possiamo sempre sperare che pochi buoni autori possano catturare una fetta mercato - prosegue -; inconsueta da parte di Garrone e Sorrentino, ma loro ormai hanno alle spalle un percorso decennale, però sono stati indipendenti ostinati in partenza. Bisogna augurarsi sempre che i registi possano cominciare da soli, e non facendo il giro dei produttori. Infatti, nessuno voleva scrivere la sceneggiatura 'convenzionale' (richiesta per avere delle sovvenzioni ndr.) per andare al ministero o da Rai Cinema. La nostra è una realtà frastagliata e i film devono avere una possibilità di circolazione più ampia. Se le opere fossero diffuse in tute le città principali sarebbe diverso, visto che questi dovrebbero offrire una sorta di carnet per la visione dei film. A Pippo piace girare senza copione, casualmente, e aveva l'urgenza di raccontare la sua storia nel film, senza una durata precisa né formattazione, inoltre credevamo non fosse possibile l'uscita in sala, poi invece si trova un distributore vero. Ogni volta pensiamo di lavorare insieme, ma l'unico film che abbiamo fatto insieme è stato "Grido". I primi tre/quattro giorni lui seguiva la sceneggiatura, poi l'ha buttata via. Ed è giusto così perché è venuto fuori Pippo, e ha scelto alcuni luoghi non previsti".
"Il mio è un viaggio strano nel mondo del cinema - ribatte Delbono -, a teatro sono riuscito a creare spazi importanti (nei grandi teatri), e lavorare fuori dalle regole è sempre più difficile; il mio cinema è fuori genere, 'Amore Carne' non è un film di genere. Quando Marco (Risi per 'Cha-cha-cha' ndr.) mi ha chiamato per propormi che avrei lavorato con l'Erzigova, ho accettato. Un personaggio che ha avuto tutto dalla vita, lui ama lei; purtroppo se togli i colori della vita non ci sono solo buoni e cattivi, non sei solo tu la vittima. Brancaleone (di Rai Cinema ndr.) non amava me nel film, ma io mi diverto a rompere i coglioni".
"Nel mio film c'è la storia di Bobò, dell'incontro con la Berendson, e poi il fatto che mi piace viaggiare. Di solito dicono fai un teatro popolare, facciamo un cinema popolare, ma dentro un sistema di produzione che vuole sceneggiature telefonate (due che prima si conoscono e poi scoperanno) non c'è futuro né libertà. Come attore, da quando ho fatto l'imprenditore cattivo mi chiedono di fare sempre quello ma... va fanculo".
"Amore Carne" è un film "intimo che abdica la 'distanza' e avvicina la realtà nelle cose", è un viaggio in soggettiva dentro e fuori di sé, passando per l'addio a Pina Bausch, incontrando Tilda Swinton, Irene Jacob e Marisa Berenson, accompagnando Marie-Agnès Gillot etoile all'Opéra di Parigi e i suoi inseparabili Bobò e gli straordinari musicisti Alexander Balanescu e Laurie Anderson.
Nonostante le apparenze non è un documentario, ma un film a tutti gli effetti, un diario sì intimo, ma esistenziale e universale, ora sorprendentemente poetico, ora sconcertante e aspro come la realtà, ora meraviglioso come la natura e l'amore, ora inafferrabile e misterioso come l amorte.
"Ho usato anche una camera full-HD, molto piccola, che stava in una mano. Il telefonino e queste piccole camere ti permettono di avere grande libertà. Ma rischi anche di filmare tutto. Per questo io seguivo, cercavo e anche costruivo a volte, delle situazioni molto precise, anche se altre volte riprendevo le cose che mi venivano inaspettatamente addosso. Ma c'era alla base sempre una necessità di riprendere 'certe cose' e non altre. Una sceneggiatura scritta forse più nello stomaco che sulla carta. E poi, a volte, nelle riprese fatte con questa piccola camera, proprio per la qualità 'diversa' dell'immagine, scoprivo qualcosa di speciale in un viso, in un paesaggio, in un taglio di luce. Come quando guardi un quadro impressionista, e proprio per quella scomposizione dell'immagine ne cogli l'anima più profonda".
"Per Greenaway - col quale ha lavorato come attore - è stato diverso era una sorta di lotta tra diavolo e dio, e si chiudeva lì. Fare del cinema non è una questione di soldi, il problema sono i produttori. Il grande cinema italiano è nato da produttori illuminati, con Pasolini, Fellini. Permettevano agli artisti di essere folli, liberi e li accompagnavano nelle loro follie, e se hai una tua follia, la porti sullo schermo. Speriamo vada bene (il suo film), anche se non so ancora in quante sale esce, faremo uscire uno, poi un altro. Esce anche in Francia, in due sale a Parigi. Ma bisogna reinventare un altro modo di distribuzione, e vedremo dove andrà a finire il nostro Paese. Ogni volta, quando torno dalla Francia mi deprimo molto di più, là respiro. Qui, invece, vediamo cosa è successo col fenomeno Grillo, Berlusconi che sta ancora lì; il nostro è un paese ignorante, questo accade quando non credi in te stesso. Abbiamo bisogno ancora di un fantoccio sul balcone, sia Madonna la cantante o quella vera, ci sono persino in Vaticano, ma parliamo d'altro, tutti giorni i da 2000 anni, 'non è Dio che ha creato l'uomo, ma l'uomo che ha creato dio', se te lo dimentichi è finita. La storia vera è molto più pazza di quella del film, di persone uccise, della lobby, è più complessa di quello che si vede cinema. Penso sempre a cosa farò da grande? Ogni tanto un film con tutti i canoni perché qualcuno ti venga a dire quanto incassi nell'ultimo weekend, tutto questo fa abbastanza tristezza. Qui sembra non nasca più niente, siamo diventati terribilmente ignoranti, non abbiamo più una coscienza politica né critica, ci vuole la follia, credo che l'arte abbia un rapporto diretto con la follia. Una volta avevamo i grande visionari, e hanno fatto del cinema una cosa grande".
"Grido' ha avuto un forte impatto in sala - ribatte Muller -, faceva arrivare immagini folgoranti, mentre andavi in giro col nuovo spettacolo, e poi ci sono state proiezioni per mille e più persone. Godard diceva che il cinema 'non è arte ma un mistero', poi sono affari loro (distributori ndr.) come procedere, giustamente, perché ci sono tanti gruppi di spettatori sensibili, attivi, per cui il cinema diventa una sorta di università visiva. Pippo ha la percezione dei metodi, dei generi, dei modi di proiezione di quelli ambienti, da frequentare, a volte da evitare se non ci si può cavare niente di nuovo. Il cinema ha tentato un nuovo percorso nell'innovazione, ma è diverso dalla radicalità del suo. Agli esordi erano film frammentati, complicati ("Guerra"), ora ha girato il film col cellulare e una microcamera, poi ha messo tutto insieme. Il suo cinema è come le onde del mare, sembrano simili ma spesso hanno un'intensità, una velocità diversa. E' piombato in un panorama che rischiava di sembrare addormentato, dopo è stata l'esperienza distributiva di 'Grido', ogni volta una proiezione in un grosso centro diverso, dove si riuniva lo spettatore del cinema e del teatro, e questo dimostra che possono esistere film 'fuori norma'".
"Il cinema non è solo una serata passatempo - riprende l'autore -, si va al cinema un tempo per riposarsi e un tempo lucido per riflettere, pensare, conoscere; in 'Grido' ci sono fatti sui campi di guerra che non puoi vedere, bisogna andare al cinema per risvegliarsi su certe cose, il senso è un tempo intorno a te, qualcosa che cambia e può cambiare. Quando facevo 'Grido', il produttore aveva paura che diventasse filo palestinese, e io dissi 'vediamo se tutti vanno via'. Il mio corto 'Blue sofà' è stato presentato al Festival di Clermont-Ferrand (Francia), ma in Italia non l'ha visto nessuno. Vai a fare "Guerra" e poi lo proietti davanti a 1.200 arabi, in apertura del Festival del Cairo, un film prodotto dagli ebrei, ma alla fine scopri che parla di pace."
"C'è qualcosa in Pippo che continua - afferma Muller -, qualcosa che comunica, non solo la serata piacevole".
"Ho scelto la solitudine nel cinema - riprende Delbono -, perché quando hai lavorato in teatro, nella danza, nelle arti visive, incontri ambienti diversi. Ma il Paese no sta andando bene, è morto culturalmente. Abbiamo Roma che ha dato grandi poeti, pittori, artisti, ma oggi niente, al cinema riusciamo a fare male i francesi o gli americani, sarebbe ora che reinventassimo un cinema, con camerette da 400 euro e dal risultato straordinario. Per 'Amore Carne' a Rio venivano a vedere la qualità dell'immagine, mi chiedevano che cellulare avevo usato; oggi ci sono mezzi per reinventare il cinema e dare l'occhio non solo alle famiglie dei Cento autori - a cui non appartengo -, o dei documentaristi, ma bisogna dare lo sguardo da chi arriva dal mare in canotto, da chi sta sotto, nei campi rom. Reinventare qualcosa che nemmeno i francesi abbiano fatto. La macchina cinema è e dà tutto, l'unico film che ha portato avanti avanti una storia, è scomparso dopo il festival. Si può reinventare un film, senza per forza fare sempre dogma".
"Pippo ha continuato a lavorare con mezzi e linguaggi diversi - afferma Muller -, solo così si può confrontare con un film come 'Amore carne' (e sangue), la contemporaneità; non ha mai paura di affrontare temi pesanti come violenza, emarginazione, disagio fisico e morale, la persistenza del male, con opere sempre più vitali, piene d'invenzioni".
"E' bello lavorare quando c'è armonia nella troupe - confessa Delbono -, non è male che ogni persona che arrivava, magari per una sola presa, volesse restare. Io ho solo assistenti donne, e a volte mi nascondevo. Abbiamo speso solo cinque milione di euro per un film piccolo, fatto in armonia, dove c'era ascolto, ogni persona portava passione, amava quella cosa, anche con 50 persone riprendevo col cellulare, e ogni persona è fondamentale. Questo cinema diventa i miei occhi, nel campo zingari guardavo tutti loro, ti senti timido, cammini piano piano ma deciso, a volte pensavo 'questi ora mi menano', invece mi hanno accolto come un bambinone col suo giocattolo. Al funerale del giovane africano ucciso perché aveva rubato dei biscotti, pensavo di trovare cardinali, autorità, politici, invece non c'era nessuno. Dov'erano i 100 autori? Ho filmato tutto col cellulare, non davanti a una troupe Rai3. Tutto sta nell'essere attore, lasciarsi guardare dentro e tu dentro l'altro. L'unica a dire qualcosa è stata una milanese rompiscatole: 'non si può filmare così!', ha detto. Ma loro stanno bene, bisogna raccontarlo che il nostro paese è ancora fascista, razzista. Io dicevo apposta 'dove sono i cardinali, perché non c'è nessuno?', a quel punto arriva un poliziotto che si piazza davanti, ma io mi destreggio bene - ho lavorato tanto sulla danza con Pina Bausch -, mentre un africano lo guardava come dicendo perché non ci sono poliziotti?; 'non facciamo polemiche' mi disse, inizia a fermarsi e non sa più cosa dire, guarda. E' bellissimo il potere della 'Paura' è lui, e mi viene in mente Pasolini, che ti racconta altre cose, non solo il cattivo, un duro che allo stesso tempo è fragile".
"Lei ha figli? hanno chiesto a Eva Herzigova - dichiara sul lavoro dell'attore -, perché nel film il personaggio soffre nella scena in cui perde suo figlio, ma non è così che funziona. Nel film "Henri" di Yolande Moreau (presentato a Cannes ndr.), tengo la mano (come a mia madre nel nuovo film) a lei, e Yolande ci disse proviamo il metodo Strasberg, per il figlio ucciso. Pensando in questo modo diventa una madre fuori tempo, ribattei io e, Yolande, mi disse 'je t'adore'. La verità sta in altri momenti, questi sono discorsi zulù, parlare di un altro modo di fare l'attore, in quei momenti le persone sono perse. Bisogna sperimentare anche, perché quello è il lavoro dell'attore nel cinema, perché Stanislavski è vissuto e morto oltre cento anni fa".
"E' l'avere voglia di fare film con altre persone - afferma -, di muovere tante zone oscure dell'immaginario, anche di un piacere estetico, è un cinema autentico vivo corporeo. Lavorare con quelli altri, aggiunti on the road, artisti, personaggi che fino a cinque giorni prima non sapevi sarebbero diventati così importanti, sono pronto a fare quel film".
"'Sangue' parla della morte di mia madre - dichiara l'autore sul nuovo film - ma il fatto che ci sia Giovanni Sensani leader delle BR è 'scandaloso', ma anche Rai Cinema entra nel progetto ugualmente. Mia madre muore, e porto storie mai raccontate prima, Sensani ha perso la compagna che l'ha aspettato tutta vita, anche se lei non era per la lotta armata. Sensani ha fatto 35 anni di carcere, Bobò 40 anni di manicomio. Parla del senso di vivere e dell'uccidere, ti racconta la storia d'Italia con occhi feriti, e una piccola camera di 400 euro, sono tutti due perduti, ma c'è realismo. Mi dicevano che a Cuba c'era una medicina che guariva il cancro, ma poi riprendo il viaggio in Albania alla ricerca del miracoloso veleno dello scorpione azzurro, ho pagato un taxista per andare alla ricerca di qualcosa per salvare mia madre, ma solo con una piccola camera. Con un pool di sceneggiatori non ce l'avremo mai fatta. La vita è più importante, vai in Albania perché non vuoi vedere la morte di tua madre, perché volevo uccidermi con lei. Si vede quando afferro la mano di mia madre, disperato. Il dramma della perdita della persona più cara al mondo, in quel preciso momento, solo così si può raccontare".
Infatti, anche in "Amore carne" c'è il 'racconto' del rapporto con la madre, ma allora pubblicamente non voleva che fosse troppo esplicito il suo essere omosessuale, sieropositivo e buddista. Aveva paura che sua madre ne soffrisse. Convinto che delle tre cose la più dolorosa fosse scoprire che non era cattolico... E Pippo ora racconta tutto di sé, senza più timori e indugi, spietato con se stesso e col mondo, ma sempre e comunque, prendendosi in giro con grande autoironia.
"Farlo uscire sala è responsabilità di altre persone - prosegue -, molto più difficile spianare la strada che può portarci dietro un movimento; in teatro non c'è mai stata una persona che abbia detto 'perché non diamo la direzione del teatro a Delbono'. E' un discorso politico strano, stai bene finché riesce a non creare movimenti intorno a te. Vai bene come fatto unico, quando rischi di scombussolare la situazione, loro pensano 'preferiamo mantenere le nostre poltroncine'. Quanta gente c'è che fa un lavoro interessante, ma non lo sappiamo. Ho visto il film di Frammartino (Michelangelo, autore de "Il dono" e "Le quattro volte" ndr.) che non conoscevo, sono convinto che siamo influenzati dalla stessa passione. Il nostro cinema gira in tutto il mondo, esiste un nuovo cinema italiano, ma non viene visto in Italia. Noi vogliamo lo straordinario, non la serata piacevole, c'è invidia tra i più vecchi autore, e i giovani non hanno spazio".
"I suoi film suscitano voglia di cinema - ribatte Muller -, quando va a teatro con un nuovo spettacolo Delbono (o la Raffaello Sanzio), c'è il tutto esaurito".
"A Parigi all'uscita del film 'Guerra' c'era mezza sala vuota - aggiunge l'autore -. Cosa ho fatto?, durante lo spettacolo prendevo il microfono e dicevo 'Com'è che a teatro non c'è più un posto, mentre laggiù al cinema c'è mezza sala vuota?' e così il giorno dopo anche il cinema era pieno. Se il film uscisse adesso, e avessi uno spettacolo all'Argentina per due settimane farei la stessa cosa. E' bello rigiocare con i linguaggi."
"Il nuovo spettacolo ha un buon budget, ho provato per due settimane al teatro di Modena, ma non avevo un titolo, e dopo lo Strehler di Milano, farò tre settimane a Parigi, e due a Roma. Infatti, durante le prove non avevo nemmeno il titolo, e dicevo 'dammi un po' di tempo'. Però quando arrivo in albergo lo trovo pieno di orchidee, e ho sentito due signore che dicevano: 'a casa ho sempre due orchidee, una finta l'altra vera, solo che quando qualcuno le vuole toccare, spero scelga quella vera'. A quel punto dissi ho il titolo 'Orchidee'! Quattro attori, cinque tecnici, e nessuno dice niente. Nel cinema per volare hai bisogno di belle idee, un dolly, camere che volano, piuttosto che trovarmi legato da una sceneggiatura, preferisco i cellulari. Io so fare teatro a 360°, per avere libertà avrei bisogno di qualcuno come a teatro, persone che hanno fiducia che il pubblico te lo porti dietro. Nel cinema non so se interessarà la mia figura, non credono alla follia di parlare in un altro modo. Non è vero sempre quello, sono anche per il cinema e portare al cinema, chi lo produce, invece, non è con la gente e nemmeno con gli artisti. In un sistema che tende a schiacciare non avrei più voglia di lavorare".
"Io sono un cantante, fatto concerti con Balanescu, con Lorie Anderson - conclude l'attore/autore -, lavoro molto con la musica, a quel punto la mia non è una voce fuori campo, perché come regista ti butti dentro e diventi voce del film, entri proprio dentro; un'incoscienza lucida, non sei quello che guarda ma carne, partecipe. Rappresenti la linea soggettiva - conclude -, il mistero lo distilli nello stile con Burchiello, Gadda, Svevo".
José de Arcangelo
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