sabato 21 settembre 2013

Arrivano gli "Universitari" di Federico Moccia portando una valanga di 'leggera' banalità

E' stato il libro "Tre metri sopra il cielo" (2004) a segnare il successo, a 41 anni, di Federico Moccia, anche se era stato per anni all'ombra - tra piccolo e grande schermo - come sceneggiatore e regista, già sul filone liceal-giovanilista. Ora, a oltre dieci anni dal caso 'letterario italiano' - dall'ampia diffusione nei licei alla pubblicazione da Feltrinelli in edizione ridotta, dalla traduzione in tutti i paesi d'Europa, Giappone e Brasile, al film omonimo -, torna come sceneggiatore e regista di "Universitari - Molto più che amici", prodotto e distribuito da Medusa dal 26 settembre in oltre 350 copie.
Commedia corale che narra le vicende poco universitarie di Carlo (Simone Riccioni), Faraz (Brice Martinet) e Alessandro (Primo Reggiani), tre studenti fuori sede che dividono una casa, Villa Giocanda, che in realtà è un ex clinica in disuso che la padrona, Amata Cortellacci (Paola Minaccioni), ha deciso di affittare a universitari, senza neanche ristrutturarla del tutto.
Però, ad un certo punto, la proprietaria decide di prendere anche delle studentesse, contravvenendo alla sua stessa regola: "niente ragazze". Allora saranno Francesca (Sara Cardinaletti), Giorgia (Nadir Caselli) ed Emma (Maria Chiara Centorami) ad irrompere a Villa Gioconda, sconvolgendo l'instabile (e misogino) equilibrio cameratesco e mettendo la casa in subbuglio.
I cinque giovani affrontano così un anno di università insieme: "quel lungo momento magico e durissimo in cui ci si prepara il futuro con le proprie mani, quella specie di ultima vacanza prima di fare davvero sul serio nella vita". Il tutto raccontato in una sorta di sublimazione della banalità quotidiana - 'leggerezza' secondo l'autore -, attraverso una presunta famiglia allargata con i consueti bisticci giovanili passando dallo scontro all'incontro, dalla diffidenza all'amicizia, dall'odio all'amore.
"Dell'università ricordo soprattutto la casa dei fuori sede - esordisce Moccia - perché c'erano sempre feste, mentre noi romani la sera tornavamo a casa a studiare. Siamo andati a vedere per conoscere com'è quella vita oggi. Comunque, il primo grande innamoramento (visto che nel film le coppie nascono o scoppiano ndr.), arriva nel passaggio dai 20 ai 23 anni. E volevamo fare un buon film con tanti ragazzi che vivono insieme e con tante storie intorno". "Il film 'I laureati' era molto divertente - ribatte sull'accenno all'opera prima del fortunato attore toscano -, ma quelli di Pieraccioni erano studenti molto fuori corso, non studiavano. Questo è più 'realistico', i ragazzi dividono un appartamento.
Oggi è cambiato tutto, l'università stessa e soprattutto tecnologicamente. Allora c'era una maggiore aspettativa su quello che poteva crearti, ora ha perso credibilità. C'erano scelte, anche rispetto alla politica, da cui oggi c'è stato un allontamento perché i giovani non hanno più niente in cui credere. Ma noi non affrontiamo questo, è vero, ci sono contestazioni, ma può sembrare quasi una perdita di tempo. Dovrebbero credere nella propria intuizione, come fece Steve Jobs che abbandonò tutto per sua scelta visionaria, mentre la sua famiglia era preoccupata: è diventato il più grande innovatore degli ultimi tempi".
"Per i liceali la prima volta ero capitato vicino al Giulio Cesare per fare delle telefonate, ma la città che intravedevo quando viaggiavo una volta non c'era più, Roma è diventata globale, molto internazionale, non è più quella di prima. Volevo mostrare un pizzico d'internazionalità. E sulla ragazza casertana che viene in città per fare l'università, volevo raccontare quello che realmente sente. In realtà è venuta per sfondare in tivù, mentre altri giovani lavorano nei bar, o nei locali, è tutto documentato. Non fanno contestazione, vanno a fare l'aperitivo a Piazza Bologna o rubano la birra, ci sono anche gli stranieri (anche quarant'anni fa quando l'abbiamo fatta noi, ma forse erano di meno ndr.) non più solo italiani. Si trovano una famiglia che non hanno saputo avere nella propria famiglia, riescono ad essere presenti, a rispondere alle esigenze più diverse mai affrontate, per superare la solitudine di una famiglia assente, che non hanno avuto".
"Ho visto il copione e ho scoperto che dovevo fare un iraniano - dice il francese Brice Martinet -, uno che viene da un paese che non conosco. Mi sono informato molto su internet, e ho visto che abbiamo tante cose in comune, sia con questo paese che col personaggio: è molto bello, grande, determinato, sicuro e molto 'modesto'. Ho dovuto imparare a fare lo straniero che arriva da un paese in difficoltà". "Interpreto una ragazza di origini calabresi - dichiara la Caselli, vista in "Posti in piedi in Paradiso" -, che è vissuta molto poco in Calabria perché è stata s ballotata in giro per il mondo dai genitori diplomatici. Ha una radice molto forte a cui fare riferimento e che rincorre con tutta la forza possibile per trovare la serenità. Torna in Italia e la ritrova attraverso questi amici diversissimi tra loro, generosi a modo loro e carichi di affetto, in modo per instaurare forti legami".
"Dietro la facciata di sicurezza nasconde tante paure e sofferenze che si porta da anni - ribatte la Centorani, finalista a Miss Italia 2010, dagli spot alla tivù -, un rapporto sgretolato con la madre e un lutto (la morte del padre che adorava ndr.); piccoli buchi neri nell'anima, ma grazie al rapporto coi ragazzi recupererà quello con la madre e riuscirà a credere nuovamente nei rapporti, a fidarsi delle persone".
"Carlo studia regia - afferma Riccioni, al debutto da protagonista -. E' un ragazzo che ha il sogno di diventare cineasta, e ha paura che tutto vada a contrastare questa sua passione. Trova una vera famiglia, e lui, figlio di genitori separati, con una sorellina che combina di cotte e crude, ha un bellissimo rapporto coi ragazzi, e trova il sostegno per far ciò che ama fare, dare una mano. Per me è stata una seconda università, avendo fatto la prima a Milano, e mi ci sono ritrovato. Ho rivissuto quel periodo". "Il mio personaggio viene da Sora - confessa Sara Cardinaletti -, è molto timida, ha paura di sbagliare, di disturbare. Il suo è un rapporto differente di quello che ho con i miei genitori che è d'amicizia, Francesca nasconde ai suoi che vive in una casa con tre maschi, e di suo padre - Maurizio Mattioli che amo - si vergogna un po'. Sono molto contenta del ruolo di Francesca perché ha una sorta di magia, spero faccia sognare, ma la politica non c'entra".
"I rapporti con i miei sono buoni - ribatte Martinet -, ci sentiamo spesso. Il mio personaggio vive all'estero come me. Io sono orgoglioso (come lui) delle mie radici, sono francese della Loire". "Il mio personaggio è quello di un siciliano, che vuole far ridere - afferma Primo Reggiani, il più noto e attivo del gruppo e aggiunge scherzando -, ho cercato di studiare tutta la vita di Dario Bandiera (ruolo cameo e presenza alla presentazione ndr.), tutto quello che ha fatto. Grazie a Dario ho avuto un punto di riferimento". "Facendo il ruolo della madre di Emma - dichiara Barbara De Rossi, invecchiata e quasi irriconoscibile nella pellicola -, un piccolo cameo, mi sono accorta che sono diventata l'idolo di mia figlia. E' un ruolo giusto, quanto i ragazzi che seguono i film di Federico e sono contenta". E sulla politica e la contestazione?
"La riflessione è stata questa - dice Moccia -, mentre giravamo c'è stata una contestazione nei nostri confronti, invece era solo lavoro, l'ho trovata fuori luogo. Dico a questi ragazzi: 'Mirate contro qualcosa di veramente importante. Infatti, la contestazione negli anni '70, attraverso una linea politica, credo abbia smosso qualcosa. Se guardate a me, mi attaccate anche sul lucchetto... beh Ci sono obiettivi più lontani, importanti, credo sia stata persa la vera ragione della contestazione. Allora era utile al movimento perché è riuscita a cambiare qualcosa nella politica e, squando succede è bene, altrimenti devi guardare oltre. Nei confronti della contestazione in generale, non dobbiamo dire noi quello che va fatto, 'veniamo dal pianeta Moccia' con atteggiamento positivo. Nel film è la televisione stessa, il servizio pubblico, che non ha considerato quello che Alex (uno dei protagonisti viene intervistato e poi 'tagliato' ndr.) ha voluto dire, a questo proposito volevamo dire che la contestazione non viene sentita".
"Nessuno minimizza la contestazione sul tetto - ribatte Reggiani -, la tivù la rende superficiale, se il mio personaggio metteva in ridicolo la contestazione non l'avrei mai fatto". "Guardando la trasmissione di Santoro - riprende il regista -, il momento in cui hanno dato la parola a un gruppo ragazzi mi ha fatto grande tenerezza: quello che ha iniziato a parlare, essendo così giovane, non ha avuto la chiarezza necessaria. In quei momenti, è chiaro, perdi lucidità, ma è stato ancora più ingenuo quando ha finito il discorso, perché si è girato per chiedere 'come sono andato, che avete pensato?' e veniva ancora ripreso. Il modo di apparire ha condizionato la nostra società. Quando sento discorsi tipo il 'Lucchetto è di destra o sinistra?' mi vorrei buttare per terra. Lui vorrebbe apparire, la sua contestazione non è fondata. Perché ci stai lì? Cosa state discutendo? Non lo sanno nemmeno. Alex/Primo, cercando l'apparire, spera che qualcuno rida alla sua battuta. Questo succede perché non mettiamo la giusta attenzione per cui ci moviamo".
"Arrivare a contestare una persona che sta girando un film - aggiunge -, presentandosi lì con manifesti e carelloni, lo trovo inutile. Credo ci siano altri i problemi molto più importanti, quali gli investimenti fatti sull'università, mi sembra una cosa preoccupante e ci ho anche parlato. Mi dispiaceva questa cosa insulsa, non credo giusto attaccare chi sta girando un film all'interno dell'università, visto che a essa vengono dati pure dei soldi. Dove fiiniscono tutti i fondi della Regione? Molte cose ben più importanti. Magari per l'intelligenza dimostrata da Moretti verso di lui ci sarebbe stato un rispetto diverso, forse. Io sono per la libertà ma una contestazione del genere la trovo inutile".
"Il personaggio stesso ha e non ha qualcosa di me - riprende sul protagonista/narratore, Carlo -, lui non ha avuto un padre perché è scappato in Argentina, mia madre non è una casinista come Amanda (Sandrelli, la madre nel film ndr.), ho due sorelle ma non come lei. Osservare questo sì mi appartiene, sono curioso, ragiono meglio, tutto può portare a un risultato, anche quando vuole buttare tutto (letteralmente ndr.). La vita difficile è la sua, intervistando un ragazzo ho scoperto la grande solitudine di essere e non essere cresciuti. Ma c'è una differenza grandissima con me, e non volevo generalizzare. Racconto una storia di persone, alcune si identificano altre no, fanno la loro riflessione".
"Sicuramente anche loro hanno vissuto le prime esperienze come i protagonista di 'Tre metri sopra il cielo", ma i personaggi come Step della Roma bene, non sono più quelli, questa ragazza viene da Sora, da una periferia fatta di altri valori, con altri tempi. Hanno quello che Francesca ha: ingenuità, paura di discutere, o di mandare a quel paese. Hanno un timore, sono educate, hanno paura di determinate cose. Essere corteggiate da una persona sposata pare loro una cosa strana; sono talmente diversi perché hanno avuto esperienze diverse. Vivono cose di tutti i giorni. Una volta anche a Roma era così, quando ero ragazzino non sapevo ma giocavo col figlio del benzinaio, oggi giochi solo con quelli della tua estrazione sociale". "L'idea mi è piaciuta - afferma il produttore Marco Belardi -, pensavo fosse il momento giusto per raccontare questo genere di storia, e mi auguro che il film lo vada a vedere gente di tutte le età, dalla bambina quattordicenne alla madre e alla nonna - com'è successo con 'Scusa ma ti chiamo amore', vista da tre generazioni di donne innamorate che sognano o se lo ricordano. Credo che interesserà ad un pubblico trasversale, perché cerchi di fare un buon film, divertente, su certe problematiche, su rapporti diversi, sulle persone che hai accanto, anche sulla famiglia, e la sensazione è più forte. Una voglia positiva di fare gruppo, e in un periodo di crisi escono fuori le cose migliori, un dialogo più vero tra la gente".
"La polemica intorno al mondo di Moccia c'è sempre stata - conclude -, lavorare con lui è molto appassionamente, ogni volta ti racconta, ti coinvolge a 360°, abbiamo un ottimo rapporto. E' una finzione scenica. Un momento particolare che in sala è diverso, perché non è quel momento quello che vedranno". Chiude definitivamente Dario Bandiera, ovviamente 'giocando' da cabarettista: "Non sono abituato ad aiutare i giovani colleghi, ma neanche la vecchietta ad attraversare la strada. Mi incuriosiva fare la bambina di 8 anni di colore, invece faccio il ruolo di me stesso: 'uno stronzo'. Ma alla fine l'ha trovato (Alex trova il cabarettista affermato ndr.), almeno questo dovete sapere, ma poi lui ha tagliato tutto, persino i capelli di Marco". José de Arcangelo

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