giovedì 3 ottobre 2013
"Black Star - Nati sotto una stella nera", un dramma sui toni della commedia per parlare di rifugiati, calcio, razzismo e integrazione
Arriva nelle sale italiane una produzione indipendente, prodotta da Mario Orfini e Donatella Francucci per Point Film, con Rai Cinema, presentata - fuori concorso - al Festival Internazionale del Film di Roma 2012, ma allora senza distribuzione. "BlackStar - Nati sotto una stella nera" di Francesco Castellani, che ha anche il patrocinio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati - UNHCR, sarà nelle sale dal 10 ottobre distribuito da Point Distribution, ovvero per iniziativa dello stesso Orfini.
Liberamete ispirato ad una vera squadra di calcio di rifugiati, la "Liberi Nantes Football Club" di Pietralata, che il regista aveva conosciuto nel 2007 nella periferia romana in occasione di una partita contro una squadra di ragazzi romani, e in campo appariva la scritta "Free to Play".
"Credo che la suggestione di partenza del film - afferma il regista - sia stata proprio in quel 'liberi di giocare'; l'aspirazione cioè ad uno spazio di gioco che è anche di vita e di espressione. Un bisogno comune a tutti, che vale per un campo su cui giocare ma vale per la vita, per il lavoro, per il talento e per l'amore; vale per un rifugiato, per un clandestino, ma anche per un qualunque ragazzo italiano. Tutti cerchiamo la nostra strada, il nostro destino e una dimensione di vita da vivere liberamente. E tutti allo stesso modo questa possibile libertà la sentiamo minacciata dalla precarietà e dalla paura".
"Siamo come una famiglia - afferma la Presidente del club -, teniamo anche un corso d'italiano, ma miriamo soprattutto all'integrazione, all'amore e alla fraternità attraverso il linguaggio del calcio".
"E senza di voi non c'era il film" - ribatte il regista.
"Il Liberi Nantes nasce nel 2007 dall'idea di alcuni amici - riprende la presidente -, un modo antirazzista di occuparsi degli immigranti forzati, con motivi più vari, il calcio, spazi di sport per tutti i ragazzi, per allenarsi, E' nata così, affittando il campo, perché volevano semplicente giocare a calcio, poi c'è stato l'interessamento della Lega calcio provinciale, e - anche a livello amatoriale, siamo arrivati secondi con ben 61 punti".
"Anche se Koffi (uno dei giocatori, anche nel film ndr.) non giocava perché è diventato vecchio" - scherza qualcuno del gruppo.
"Quattro anni fa la regione ci ha dato il campo in concessione - prosegue -, si gioca a calcio, ma anche a rugby, c'è la scuola d'italiano. Certo abbiamo bisogno di vivere, di finanziamenti per rimettere a posto la sede, e se qualcuno ha voglia d'investire nel nostro campo ci fa piacere. Tra le persone del quartiere, quello che viene raccontato nel film non è mai successo. Abbiamo un ottimo rapporto con la gente Pietralata, sappiamo cosa fare. Il film è una grande occasione per far conoscere la scuola calcio. Una gran fortuna aver vinto la Coppa Invisibile ai 'mondiali antirazzisti'. Rispetto a tanti invisibili, i nostri ragazzi hanno un po' di visisbilità, perché esistono iniziative simili a Caserta, Lecce, Palermo... Lo sport si pensa sempre sia un bisogno secondario, ma visto che non ci sono leggi a misura, se serve per socializzare non è poi così secondario".
La pellicola racconta una disputa di quartiere per un campo di calcio abbandonato, una vera e propria 'guerra tra poveri', che è anche una scoperta dell'altro. Da una parte c'è la squadra dei rifugiati sostenuti dalla gente del quartiere; dall'altra quella dei lavoratori precari del cantiere, e del comitato di quartiere, ricattati dallo speculatore/padrone.
"I personaggi che nel corso della vicenda - scrive l'autore - si confrontano e si scontrano, fanno da specchio alle pulsioni e alle paure a cui ci spinge il disagio di vivere il nostro tempo, ma sono anche il riflesso dei sentimenti e degli slanci istintivi che possono darci la forza di cambiare una situazione".
Un dramma sui toni della commedia quotidiana che porta in primo piano problematiche e temi d'attualità, anche scottanti. Peccato che Castellani non riesca ad evitare la retorica, i dialoghi poco credibili né la tradizionale e convenzionale voce narrante (amichevole contributo di Marco Marzocca) che finiscono per smorzare l'importanza dei 'contenuti'. Comunque, si tratta di un più che interessante tentativo di unire impegno e intrattenimento, il riuscito mix che il nostro cinema aveva ormai trascurato fin dagli anni Ottanta.
"E' stato difficile lavorare con 40° all'ombra - dichiara, l'attore Alessandro Procoli che è Marcello -, ma nel nostro caso scopri persone meravigliose, storie incredibile, traversate di duemile, cinquemila chilometri per noi inconcepibili. Ringrazio tutti perché è una grandissima squadra e abbiamo lavorato insieme. Una bella esperienza che mi ha fatto conoscere loro e la loro situazione".
"Avevo già fatto un documentario per la televisione - dice il regista -, un insegnamento della dignità perché sottovalutiamo molto il fatto che sono persone. Sulla distribuzione lo dirà il produttore, ma ci siamo riusciti contattando esercente per esercente, senza nessun agente intermediario, perché si tratta di un prodotto per far incontrare la gente, meno per la sala esclusiva".
"Avevo qualche perplessità inizio - ribatte Orfini -, per i problemi successivi, come farlo uscire, la pubblicità, anche perché fare un film che nessuno poi vede è inutile, tanto vale 'andare a mangiarsi i soldi'. Brancaleone (di Rai Cinema ndr.) è uno che sa leggere le sceneggiature mi ha incoraggiato. Sono contento che sia stato fatto, e se un solo eroe del mare viene salvato da questo film è uno sbalzo di coscienza, vale la pena farlo. Una persona, un film".
"La ricerca del casting - dichiara l'attore Gabriele Geri, nel ruolo di omonimo, che l'ha curato -, in questo paese, rende molto difficile agli attori fare cinema. Oggi avete visto un film di facce, corale, di persone che risultano invisibili. Un casting indipendente che vuole destabilizzare, cercare di levare il tappo ai meccanismi sistemici che regnano nel nostro paese. Qualcosa di pioneristico che spero si riesca a vedere attraverso il film, perché ci siamo ritrovati come in una vera squadra. Ti odi, ti ammazzi o ti vuol bene. Free to play".
"C'erano tante cose che volevamo dire - afferma il co-sceneggiatore David Turchi -, alcune ce l'abbiamo fatto, altre sono nascoste. E' stato difficile perché è un tema scottante da trattare, e molto difficile cercare di fare una commedia con questi temi, è stata una sfida molto grande. E' importante questa storia, basata a Roma in Italia. Ambientata a Pietralata col suo passato, che può avere validità ovunque, a Catania come a Milano, ma anche a Londra. Una buona idea tarpata da qualche interesse più grande perché i giovani - da noi quarantenni o trentenni -, vengono boicattati. Un gruppo di ragazzi italiani che portano avanti un'idea e la raggiungono con aiuto della magia, un tocco onirico, quella cascata di palloni, un qualcosa che a noi piaceva".
"Pietralata è un mondo della memoria emotiva di un popolo e di generazioni - riprende il regista -, e dovevamo vincere la diffidenza non verso la storia, ma rispetto al taglio di un conflitto in scena, lì tutto accade, uno spunto per conoscere. Avevo un rapporto più affettivo, da quella di Pasolini, del popolo romano, a quella dei rifugiati. Allora erano da una parte gli emigranti italiani, dall'altra gli esodati dalla Roma storica in periferia del dopoguerra. E' una dimensione quasi metafisica. Dovevo insistere perché non venisse frainteso il carattere del quartiere, ma la gente del quartiere si è rivelata attraverso amici veri che venivano a pranzo o a cena con noi, abbiamo girato nel vero supermercato della zona, in piazza. Ora aspettiamo di fare una proiezione con tutti gli abitanti del quartiere".
"La prima occasione l'ho avuta col documentario per un canale tv, 'Liberi Nantes Fottball Club' (2009) - conclude il regista -, che ci ha portato a realizzare un progetto più cinematografico, su una barricata in una complessa situazione di conflitto, e la voglia di fare un film. Dal fatto che dobbiamo tornare al cinema perché oggi non andiarmo mai al cinema come prima. Dall'inizio, anche se si trattava di un film indipendente, doveva avere musica di valore, ma i costi sono alti. Siamo stati fortunati perché abbiamo amici che hanno talento, così abbiamo una musicista colta e raffinata come Lucia Ronchetti a cui dobbiamo il brano per viola sono, usata per la scena tra i due capi fazione; Ennio Morricone che ci ha regalto i brani (Espressivamente umano, Del sacrificio e Tony e il ragazzo) del suo dvd, Giulio Ciani e la sua Band, Alfredo Parolino, leader dei Buffalo Kill, che rivendicano l'identita della loro terra disastrata (di camorra ndr.) che hanno composto ed eseguito la canzone originale del film".
"Scrivere 'Black Star' è stato semplice - chiude Parolino -, raccontare attraverso storie familiari, temi su cui ci confrontiamo in continuazione, ci capita di collaborare molto spesso, visto che l'unione fa la forza, di partecipare alle manifestazione delle associazioni che gestiscono i beni confiscati camorra e sull'integrazione. Siamo appassionati di blues, si sa che la Campania è diventata uno dei centri più importanti del dopoguerra, e poi anche noi siamo vicini ad un fiiume. Abbiamo lavorato facendo nostre le tematiche del film, e i rapporti personali hanno arricchito molto la musica dei Buffallo Kill".
Un'opera d'arte vera e propria è stata pensata per il film, il Momumento/Scultura al Migrante Ignoto di Sprout (Denis Imberti e Stefano Tasca), opera che rappresenta le contraddizioni, le tragedie e i conflitti della migrazione, del viaggio obbligato, della perdita di identità e radici familiari. Rappresenta una 'casa di fortuna', e anche un 'pasaggio', un tunnel. La scultura - donata a Liberi Nantes FC - accompagnerà il film nei cinema in cui verrà proiettato, per ora a Roma. E in una parte materiale in ceramica si può 'fischiare' soffiandoci su.
José de Arcangelo
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