venerdì 4 ottobre 2013

"Gravity" di Alfonso Cuaron, un thriller dell'anima persi nello spazio profondo

Presentato in apertura della 70° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, approda nei cinema italiani la nuova opera del messicano Alfonso Cuaron - a sette anni da "I figli dell'uomo" -, sceneggiata col figlio Jonas (ma la prima stesura è proprio del trentenne), ma non è solo un film di fantascienza, anzi, soprattutto un thriller esistenzial-psicologico, che sfiora il racconto filosofico, sulla scia del vecchio caro "Solaris" di Andrzej Tarkovski, tanto sopravvalutato quanto sottovalutato alla sua prima 'apparizione' sul grande schermo. Dovuto, probabilmente, da una parte per la lunga durata (allora quasi tre ore erano considerate troppe), dall'altra per i tagli subiti in patria per effetti della censura politica e all'estero per ragioni commerciali. E, non a caso, è stato oggetto di un remake di Steven Soderbergh, interpretato - come questo - proprio da George Clooney.
La pellicola di Cuaron, sfugge ad una e all'altra ragione, perché se ci sono voluti quattro anni e mezzo per portarla a termine, è dovuto al fatto che il regista voleva "ottenere una visione dello spazio il più vicina possibile alla realtà" (e realizzarla in un inedito 3D) e, ovviamente, ricreare l'assenza di gravità; dall'altra parte il film ha la durata standard di un'ora e mezza, anche quando si svolge interamente nello spazio e soltanto con due personaggi.
La dottoressa Ryan Stone (dopo tante commedie, un'intensa Sandra Bullock), alla sua prima missione spaziale sullo Shuttle, e l'apparentemente freddo comandante Matt Kowalsky (George Clooney) si ritrovano fuori dalla navicella per effettuare alcune riparazioni di routine, ma all'improvviso vengono investiti da una tempesta di detriti, che distrugge la stazione, uccide il terzo collega e li lascia alla deriva nello spazio, alla disperata ricerca di una possibile sopravvivenza.
Un'angosciante e, paradossalmente, claustrofobica vicenda che tiene lo spettatore - come i protagonisti - in una continua situazione di ansia e tensione, anzi col fiato sospeso, fino alla fine. Ma questa esperienza servirà alla dottoressa per superare un grave lutto (ha perso la figlia) e la sua indifferenza verso la vita stessa, e a 'rinascere' in un futuro possibile. Un'avventura nell'immensità dell'universo, nel silenzio infinito dello spazio, nel deserto del cosmo che diventa un viaggio interiore per la protagonista. Un percorso di riflessione dove la memoria si confonde con il sogno, la paura diventa incubo e il panico viene scongiurato dalla lotta per la sopravvivenza. Novanta minuti sospesi e persi nel vuoto dello spazio. Anche per lo spettatore.
Visivamente e narrativamente, Cuaron è riuscito a creare sensazioni ed emozioni anche nuove cinematograficamente parlando, tanto da riprodurre, quasi letteralmente, non solo lo spazio ma anche la mancanza di gravità e di ossigeno, immergendo il pubblico (grazie anche all'effetto stereoscopico) nel cosmo stesso. Gran parte del merito va anche al direttore della fotografia Emmanuel Lubezki che, affascinato dall'idea della purezza luminosa percepita nello spazio, ha lavorato decine di ore alla Nasa per riprodurla, tanto che il regista ha dichiarato "si è dimostrato ancora una volta un maestro di cinema". José de Arcangelo
(4 stelle su 5) Nelle sale dal 3 ottobre distribuito da Warner Bros. Pictures Italia

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