venerdì 25 ottobre 2013

Valeria Bruni Tedeschi si ispira alla sua famiglia per un mix di dramma e commedia, dove trionfano dolore e ironia: "Un castello in Italia"

Dopo il festival di Cannes, "Un castello in Italia" di e con Valeria Bruni Tedeschi arriva nelle sale italiane, distribuito da Teodora dal 31 ottobre in una cinquantina di copie, in versione originale, perché doppiarlo "diventava inspiegabile - afferma Vieri Razzini -, dato che nel film viene fuori questo appartenere a due culture contemporaneamente (della protagonista e dell'autrice ndr.), e anche per uscire da questa provincia" (culturale ndr.).
Una storia famigliare che trae ispirazione dalla stessa famiglia dell'autrice, un riuscito mix di dramma e commedia, che qualcuno ha ribattezzato perfidamente "Anche i ricchi piangono", parafrasando la celebre telenovelas. "Richiama a Cechov, anche nella comicità - prosegue Razzini -, sempre in disaccordo sulla messa in scena, perché bisognava ridere di più, parlando di cose serie. Valeria non perde mai l'equilibrio del senso di umorismo, e non avendo degli sbalzi, le cose nel racconto funzionano meglio. E' su qualcuno che, in Francia, fa conto di sé e della sua famiglia, l'importante è come lo fa".
"La sceneggiatura l'abbiamo scritta in tre - esordisce Valeria Bruno Tedeschi -, la visione di Noémie (Lvosky, la terza è Agnès de Sacy) è molto importante, se c'è in parte l'autobiografia, sono sempre tre persone, tre mondi che entrano in sintonia, la storia è stata pensata in tre. La realtà materiale di base viene rielaborara, ci abbiamo messo tre anni a scriverla. E come quando si fa un dolce: si prende farina, uova, zucchero, e poi ci si chiede dove è (finita) la farina? E' molto simile fare una sceneggiatura, perché poi risulta qualcos'altro. Volevamo rappresentare qualcosa della vita umana, della nostra vita, e il dolore ne fa parte. Non penso di prendere le distanze, ma di avvicinarmi, se non si prova dolore nella vita non so cosa raccontare".
"Non sono andata all'Actor's Studio - dichiara Marisa Bruni Tedeschi, madre nella vita e nella finzione, e nata come attrice -, comunque seguo le istruzioni, improvviso, non imparo le battute, se sono lunghe mi preparo la sera prima. E' il ballo di una donna con suo figlio che sta per morire, non mi sono resa conto come si svolgeva, ho fatto così, probabilmente pensavo a quello, non una danza gioiosa, un po' un ballo d'addio". "L'ironia sta nel raccontare cose di un personaggio - riprende la regista - che cerca di avere la fede e non ci riesce, fra necessità e bisogno, rischia di restare fuori stanza. Ironia e comicità vengono fuori da una situazione che sembra molto dolorosa, non è una volonta di base. Come una persona che cerca di nuotare quando sta annegando, l'essere umano è comico nella sua tragedia, anche se molto dolorosa. La madre è cosciente, perché lei è dentro la stanza della fede, ha la fede. Questa differenza è la frontiera tenue tra superstizione e fede; la religione mi interessa molto, sempre".
"La sedia esiste a Napoli - conferma l'autrice sull'antica poltrona della 'fertilità', frequentata da chi vuole avere un figlio -, ci vanno molte donne, ci hanno concesso di girarvi, ovviamente la sedia è stata cambiata per non rovinarla. La scena è inventata, ho immaginato la situazione reale, poi l'ho tirata tirata tirata per renderla più interessante, spettacolare, ed è diventata comica. Abbiamo pensato, forse se cerca di entrare e le chiudono la porta... così scrivendo abbiamo cercato di mettere più ostacoli che nella vita. Credo si trovi in via delle Quattro Croci... non mi ricordo bene, comunque è nel centro di Napoli. Mentre facevo vedere l'indirizzo tutti mi rispondevano con un sorriso dolcissimo".
"Mi interessava lavorare sul rapporto fratello e sorella - prosegue l'attrice -, che fossero quasi sposati. Io ho avuto la fortuna di scoprire 'Salto nel vuoto' di Marco Bellocchio, e avevo voglia di parlarne, di fare quasi la storia di un divorzio tra fratello e sorella, per quello non volevo un'altra sorella (di Carla non c'è ombra ndr.) o un altro fratello, alla fine riescono ciascuno ad amare da adulti". "Per prima cosa chiedo a mia madre se vuole essere nel film - spiega -, credo sia un'attrice veramente straordinaria, poi chiedo a Louis Garrel (che è stato suo compagno nella vita ndr.) di farne parte, anche lui straordinario, profondo, ha trovato il suo clown interiore. Avevo bisogno di lui, che stesse vicino a me e a mia madre, perché hanno un talento straordinario, Noemi è una delle mie migliori amiche, incontri nuovi con Filippo Timi (nel ruolo del fratello ndr.) e Francesca Calvelli (montatrice con Laure Gardette ndr.), nuove amicizie, ma prima di tutto è il talento che mi fa lavorare con loro".
"Per prima cosa vado a fare un provino - dichiara Timi -, e lei mi dice 'tu non c'entri nulla col ruolo, non vai bene, perché sei scuro, no'. Ok, riparto, poi mi chiede 'come, non sei qui? Dopo, quando ho incontrato Marisa, lei chiede 'fa per finta il balbuziente?, io non sono brava a confrontarmi, andrà tutto a scattafascio, mica lo può fare, ci vogliono sei mesi a fare il film, ho persino un problema agli occhi'. La scena il giorno dopo, sul foglio era tutto scritto così. 'Ci siamo sbagliati su Filippo'. Poi in scena ci siamo accorti che io e Valeria
professionalmente siamo un po' fratelli, anzi il fatto che ero qualcos'altro permette una certa distanza dalla biografia e ti avvicina di più ad un lavoro sull'intimità, per me è un film intimo perché sono qualcun altro. Lo preferisco tra i ruoli differenti e scomodi per la dolcezza che si chiedeva, l'equilibrio tra dolcezza e rabbia, bisogna imparare a lasciarsi andare, e aver differenze è entusiasmante. Lei come regista è fantastica, scrive scene dolorose, sente che deve andare in profondità, e si accorge subito se tu accenni a sviare. Per il francese è stato come fossi dentro al ventre di mamma. La balbuzie in italiano ho imparato un pochino a gestirla, alla fine parlavo meglio in francese però balbettavo di più, come se si fosse cancellato tutto. Ero diventato un perfetto francese ma balbuziente. Ho perso 18 chili in due mesi, e se in teatro non mangi, in Francia non puoi andare a mangiare, e quelli sguardi languidi è perché sto pensando alla pasta!"
"E' difficile parlare di un personaggio che conosco - ribatte Louis Garrel -. Con Valeria sto bene da lontano e mi arrabbio con lei perché mi innervosisce, sul set tutti i giorni sul set, avevo voglia di litigare con lei, di gridare, e poi qualche volta, quando lavoro non so. Il rapporto col regista, parlare sul personaggio, all'inizio pensiamo ad una cosa poi, invece, cerchiamo un ritmo in scena, ma ero sempre arrabbiato, forse con Marisa e Filippo ero più leggero. Lo charme di Valeria sono i suoi difetti".
"E' stato un seguito di litigate - riprende Valeria - con le sceneggiatrici pensavamo ad una corsa ad ostacoli, ogni volta è come se saltassi un ostacolo". "Come in un film di Pialat, 'non invecchieremo insieme' - ribatte Garrel -, tanto che lui dice tu fai l'attrice ma sembri un topo morto, le dice cose orribili, però fanno parte di una storia d'amore. E' l'incontro della malinconia francese con l'autoironia italiana, infatti, noi in Francia siamo stanchissimi".
"Mi sono trovato molto bene - afferma Timi - il castello è bellissimo, tanto che la prima cosa che ho chiesto è 'quanto costa?'. Un luogo perfetto, siamo arrivati con la neve, tanto che ho proposto la scena in cui si gioca a tennis, per me era molto forte farla, quel castello quella scena lì, bella da sostenere, nostalgica. Dentro anche l'aria che si respirava era bella, come un ricordo di un bel passato che non morirà mai; poi accarezzare l'albero è stata un'esperienza molto forte. Quando ero piccolo mi arrabbiavo perché non ero figlio di un re, è ingiusto - dicevo-, e mia madre, esci e troverai di peggio". "Quando Bellocchio cercava il castello per 'Vincere' è andato a vederlo - ribatte Valeria -, a noi ce l'hanno prestato (l'avevano già venduto ndr.) gratis per il film, altrimenti avremo avuto dei problemi, avevamo fatto altri sopralluoghi in zona, a Castagnetto Po. Per la scena dello sradicamento dell'albero, ovviamente, siamo ricorsi agli effetti speciali".
"Per la musica centra la magia, il caso, il ricordo. La musica per pianoforte che all'inizio suona la madre, l'ho voluta riprendere poi come tema del film, perché mi ricordava tutti i film italiani, mi sembrava scritta per un film, già prima di girare. Altre musiche le abbiamo scelte con Francesca al montaggio, l'idea della Messa solenne (Rossini) che tornasse; 'La pappa col pomodoro' che apparentemente sembra troppo stupido, è stata scritta da Nino Rota. Che Bambola! è stata un'idea di Filippo, da ballare con la fidanzata nel film, ho pensato a Fred Buscaglione e ho trovato una cassetta di mio fratello. 'My Heart Belongs to Daddy', abbiamo provato perché il film l'accetta o la rigetta. Pensavamo potesse essere la versione di Marilyn, ma poi abbiamo trovato questa qui, funzionava meglio sull'albero, sul tennis, non c'è da riflettere, va o non va".
"Stavano aspettando che uscisse per le vacanze - chiude Razzini -, alla fine usciamo lo stesso giorno in Francia e in Italia, e speriamo bene". Nel cast anche Xavier Beauvois, Céline Sallette, André Wilms, Silvio Orlando, Marie Rivière, e ruoli cameo per Pippo Delbuono (il prete)e Omar Sharif. José de Arcangelo

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