sabato 7 dicembre 2013
Dopo aver fatto il giro dei festival internazionali arriva nei cinema italiani la commedia "Spaghetti Story" di Ciro De Caro, grazie a Distribuzione Indipendente
Una commedia, anzi un dramedy come dicono gli americani, che è una vera sorpresa, anche perché si tratta di un'opera prima - italiana al cento per cento - di Ciro De Caro che, dopo il consueto giro di festival nazionali e internazionali e aver vinto un premio al recente Festival di San Marino, approda nelle sale grazie alla coraggiosa e instancabile Distribuzione Indipendente, dal 19 dicembre.
"Nasce dall'esigenza di voler raccontare qualcosa - esordisce il regista alla presentazione alla Casa del Cinema di Roma -, chi pensa di fare un film per forza con tanti soldi e grandi mezzi, è come quello che dice che vuol giocare a calcio, ma se gioco nella Juventus altrimenti non gioco proprio. Si può fare un film in maniera più economica, libera, istintiva; questo ci ha spinto a essere più creativi e meno banali, su persone che conosco, sulla mia generazione, e non edulcorata come certe pellicole dove i precari hanno la Mini e l'appartamento fighissimo. Raccontare in maniera più libera e sincera, con uno sguardo più onesto. Racconto persone che vedo tutti i giorni e che mi dicono 'nel cinema italiano non mi trovo rappresentato in nessun modo'".
"Dopo corti (anche per Sky) troppo ragionati, mi sono messo in modo totalmente istintivo di fronte alla storia - prosegue -, influenzato dai miei registi e film preferiti, dal punto di vista cinematografico, senza individuare uno di preciso. Parlare di budget è difficile, il nostro non è un vero budget, due produttori ci hanno adottati affinché diventasse un film per il pubblico, poi altre persone hanno deciso di lavorarci senza prendere soldi, come il direttore della fotografia, il montaggio, la costumista. Tutto quello di cui avevamo bisogno stava in un'utilitaria, anche come costo. Un film no budget anziché low budget".
"La sceneggiatura l'abbiamo scritto io e Ciro - dice Rossella D'Andrea, nel film Giovanna, attrice e compagna del regista -, sono stata presente fin dalla nascita del film, il personaggio è cresciuto con me, volevamo dare molta attenzione a tutti i personaggi. La mia intenzione era di non andare per stereotipi, che non ci rappresentano, come si fa spesso nel cinema italiano. E' una donna a tratti molti forte. Rappresentiamo le persone, donne ragazze di tutti giorni, normali. Volevo interpretare una donna normale, fragile, che ha le paure che abbiamo tutte. Non è definibile subito, ha le sfumature di una donna che potrei essere io, in più ha qualcosa di mia madre, delle zie. Mi sono divertita per una volta a stare anche dall'altra parte. Giovanna dice a Valerio (il fratello) 'è quello che mi sento dire da mia madre, da mio fratello'. Ciro mi è venuto incontro e ho avuto molta libertà di movimento, personaggi non studiati né precostituiti".
Hanno evitato anche di vincolarsi troppo con le riprese e la luce perché il tutto risultasse più spontaneo, infatti il film è stato girato solo in 11 giorni di riprese con una Cannon 5 D, un 50 mm e due lampade.
"Quando l'ho letto per prima volta - dice Sara Tosti nel ruolo di Serena - ho scoperto che io sono molto diversa, ma che dovevo trovare una persona reale non un personaggio, non è la mia vita ma lo specchio di altre persone che conosco, è stato importante come esperienza formativa e divertente, perché dovevamo svolgere bene il nostro lavoro in tempi stretti ma efficaci".
"E' come giocare in squadra di calcio dove non hai mai giocato insieme - ribatte Valerio Di Benedetto nel ruolo omonimo -, la magia del set stava nelle interazioni che nascevano in maniera molto naturale, io sono il portavoce di quelli che passano davanti ogni giorno, ne conosco mille o duemila che cercano di sbarcare il lunario in qualche modo. Non c'erano limiti, ma collaborazione tra le parti. Il problema di budget e di tempo, lo risolve facendo la scena in 4 anziché in 8 ciak, e sapevi profondamente che lo dovevi portare a casa il prima possibile, è stata un'urgenza interna, perché magari, dopo tre anni, lo faresti in modo diverso"
"Conosco tanti simili a Scheggia - dichiara Christian Di Sante che lo interpreta -, uno spaccato che ha a che fare con la realtà, anch'io sono cresciuto in periferia, e ho conosciuto tanti che avevano quei tempi, modi di fare e dire quello che credevano loro. Ringrazio Ciro per questo ruolo che non è solo il pazzo spacciatore, ha un lato sensibile, ed esce come un personaggio diverso, scritto benissimo, nel suo rapporto con l'amico d'infanzia. Con Valerio non ci conoscevamo nemmeno, tranne per 5'' in un provino. Non c'erano altre soluzioni, la nostra coppia doveva venire perfetta, o si faceva così o non si faceva proprio".
"Non avevamo fatto prove - riprende il regista -, perché quelle scene che volevano fare quando devi poi ricrearle, non si riusce più. Si cerca l'improvvisazione altrimenti la freschezza, quella scintilla non viene più, perciò la spontaneità che vedete è vera. Tanto che alcune non le abbiamo inserite perché l'operatore rideva e si muoveva la macchina".
"La sceneggiatura è molto forte - aggiunge Di Benedetto -, una volta che il personaggio è strutturato, le battute le puoi trovare, anche perché giravamo spesso le scene in piano sequenza, poi tagliate in fase di montaggio montaggio".
"Molto modestamente mi farebbe piacere che altre persone, altri ragazzi, seguissero la nostra strada, che al prezzo di uno Scooter o di una macchina usata, raccontassero la loro storia. Il cinema italiano che ha tanti soldi e vuol fare Hollywood non ci ineressa, si fa un gran casino e basta, all'estero cercano l'Italia nel nostro cinema".
E sul titolo spiega che il suo corto 'Spaghetti odio' non c'entra niente. "Anche lì il personaggio di Christian si chiamava Scheggia, stavolta il titolo era provvisorio, ma viste le cose fatte nella vita è azzeccatissimo, perché è un modo italiano di fare le cose italiane, questa è la spiegazione (e non può ricordare che 'spaghetti western' ha rappresentato a lungo il nostro cinema ndr.). Ho raccontato le cose che mi stavano a cuore e volevo dire".
"Io ci credo in queste cose - dice la D'Andrea a proposito del rapporto uomo-donna, attraverso le piccole 'cose della vita' -, sono vere, io sono antifemminista in queste cose, ma per la pari dignità, la donna è donna e l'uomo uomo. Non vedo niente di maschilista, al ristorante a volte l'ho fatto anch'io (andare in bagno prima di ordinare ndr.), il modo in cui lo dice Scheggia è magari ingenuo, quello che contra è la nostra identità di individuo".
"Il finale non lo trovo così happy - prosegue il regista -, le cose riflettevano la tragedia della nostra generazione che non ha un finale, loro hanno la possiblità di cambiare e di crescere, però bisogna vedere se dopo lo faranno. Magari domani uno viene e mi dice 'tu non farai mai il regista di successo, e vai a lavorare al McDonald's. Poi si vedrà. Sono sempre in attesa che qualcosa domani sarà migliore, si spera che la realtà possa cambiare ma poi non cambia mai".
"E' positivo perché rispecchia il modo di vedere la vita da chi lo scrive - aggiunge la D'Andrea -, un pretesto per raccontare la trasformazione dei personaggi, all'inizio mostrano una faccia; Scheggia fa il duro, sicuro di sé, però alla fine si dimostra sensibile, anche se non capisce niente sulle donne; Giovanna che ha l'idealizzazione della cultura cinese ed è sempre sola, trova nella ragazza cinese l'amicizia che non ha coltivato mai, esce dalla gabbia di una vita razionale, perché non sa rapportarsi con gli altri. Tutti capiscono qualcosina su loro stessi".
"Le musiche sono del fratello di Rossella (Francesco D'Andrea) - confessa il regista -, io lo volevo senza musica, tranne un pezzo alla fine, e non potendo avere le canzoni che volevo io (per ovvi motivi di diritti che significa tanti soldi ndr.), e anche perché vedo sempre più film girati senza musica. Certo tipo cinema sta andando verso un'altra direzione, sulla reltà, macchina da presa a mano in modo esasperato. Lui me l'ha proposto per alcune scene e ho visto che funzionavano bene, sono state inserite al montaggio. Tranne quella finale che era stata pensata prima. Con Rossella abbiamo lavorato insieme, io scrivevo di getto e lei leggeva nell'altra stanza. Se la battuta o la situazione la faceva ridere era sì, ma poi la sistemava. Lei ha una marcia in più nell'analizzare e razionalizzare i personaggi. Anche litigando due o tre volte al giorno è andata avanti, e siamo ancora insieme".
"Il soggetto è nato da lui - chiosa Rossella -, che ha tirato giù anche la struttura, di cosa dovesse parlare il film e alcuni personaggi. Io dovevo dare più forza alla struttura e ai personaggi. Scheggia è tutto merito suo, io mi sonoi più occupata dei ruoli femminili e di Valerio. E' stato bellissimo e durissimo lavorare insieme, perché quando dò un giudizio può prendersela sul personale. Ho lavorato non giudicando lui né la pagina definitiva, e prendere atto in questo momento a che punto siamo. Finivamo spesso nei momenti di maggiore stanchezza, di prenderla sul personale, poi per fortuna il lavoro ci ha portato a confrontarci e abbiamo superato ogni ostacolo. Dopo aver scritto tutto il film, ho capito che ho imparato molto, è stato un insegnamenti su quello che faremo poi, anche gli errori fruttano. Abbimo lavoro per circa 6/8 mesi, comprese le modifiche in corsa, visto che anche 'la produzione' era a casa nostra".
"Inizialmente mi piaceva molto la determinazione, la forza e la rabbia del mio personaggio - afferma Sara Tosti -, è questa la direzione che ho seguito. Ho fatto un provino a casa di Ciro, dove mi ha raccontato un po' il personaggio, che è anche sensibile. Mi spiegavano tutti gli aspetti, e ho scelto di approffondire alcuni".
"Mi sono molto attenuto alla sceneggiatura - ribatte Valerio -, perché ci hanno detto li abbiamo scritti pensando a voi, come attori potete tirare fuori certe caratteristiche del personaggio, e il mio ce lo portiamo dietro anche dal corto ("Salame milanese" ndr.), c'è stata un'evoluzione, perché quello l'avevamo fatto un po' per gioco, vedevamo la Roma insieme. Però ha avuto un corso inaspettato (du Youtube). Il pretesto era Roma-Inter per parlare del Belpaese. Senza compromessi questo mestiere non lo potrei mai fare, il mio personaggio (anche lui attore in cerca di lavoro ndr.) invece dimostra fragilità e forza nello stesso tempo".
"Scheggia è, forse, il personaggio più bello che mi è capitato, non ci eravamo mai frequentati prima, però mi hanno dato la possibilità di mettere del mio e restare nel personaggio, di non avere limiti. Pensavo io all'abbigliamento, che doveva avere la magliettina firmata, sono cose che gli danno sicurezza, Ciro crede in te quando non sei nessuno. la fiducia che mi ha dato è stata preziosa. Abbiamo fatto due ciak al ristorante e io pensavo di farne ancora. Ma lui ha detto è andato benissimo".
"Non credo che gli attore debbano fingere di essere un'altra persona - ribatte l'autore -, devono mettere se stessi nel personaggio. Volevo si sentissero liberi, in questo modo fanno bella figura tutti, altrimenti regna l'incertezza, un movimento studiato mille volte non viene mai così".
"Quei dialoghi, quelle cose sono vere - prosegue -, tutti i provini non sono così, ma c'è ancora chi porta lunghissimi cv di cui 'non me ne frega e non leggerò mai', ma è la situazione che porta ad arrivare disperati, mi ci metto anch'io quando vado a parlare coi produttori. Tutto vero quello che c'è, infatti a Valerio gli dicono 'tu sei Bimbo perché hai la faccia così'. Non capiscono che l'attore va per fare un ruolo, ma la professionalità è trascurata, considerata male. Non so se farò un secondo film, se ci sarà non voglio attori famosi, ma emergenti non conosciuti, visto che da noi nessuno dà opportunità, nel mio piccolo faccio il contrario. Questo mi fa incazzare tutti i giorni".
"Nello specifico attoriale - conclude Di Benedetto -, la nostra cultura e la nostra società non offre occasioni di lavoro, l'unica occasione è vedere il treno passare. Quell'opportunità è piccola cosa è rispetto alla realtà, ci vuole un panorama più ampio perché nella società gli sbocchi sono uno, due o nessuno".
José de Arcangelo
In questi giorni c'è una sorta di caccia al tesoro dei 'gatti giapponesei' (oggetto chiave nel film), dove trovare i gatti 'autografati dai personaggi/attori, fotografarsi con loro e si avrà in omaggio un biglietto per il film. Un'iniziativa che "parla di rinnovamento nella promozione, cose che in America vengono fatte regolarmente, ma in Italia mai", dice Giovanni Costantino di Distribuzione Indipente. Su questo Urban Game in alcuni luoghi di Roma, ci saranno indizi di ognuno dei quattro personaggi, i cui gatti dovranno essere trovati. Per avere tutte le informazioni necessarie basta visitare i social network della distribuzione su twitter.com/dist_indi oppure www.facebook.com/DistribuzioneIndipendente
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