sabato 22 marzo 2014
"In grazia di Dio" di Edoardo Winspeare, un dramma d'attualità al femminile alla ricerca delle radici e dei sentimenti ormai offuscati
Un dramma d'attualità - 'locale', regionale e italiano che diventa universale - "In grazia di Dio", in cui Edoardo Winspeare ha veramente messo a frutto la lezione del neorealistmo, non solo perché ha mantenuto il suo solido, personalissimo, stile documentaristico e un cast - come di consueto di non professionisti - che dà verità al film, ma che riesce ad emozionare e commuovere lo spettatore, che riesce persino ad identificarsi con fatti e personaggi, in un periodo di crisi generale. E dopo la presentazione nel Panorama dell'ultima Berlinale (dove è stato accolto calorosamente) il suo film approda nelle sale dal 27 marzo distribuito da Goodfilms in 30 copie che speriamo diventino centinaia perché la pellicola va vista assolutamente.
Quattro donne si rifugiano in campagna in seguito al fallimento della loro fabbrichetta di abbigliamento a conduzione familiare, travolta dalla generale crisi economica. Il lavoro della terra e il baratto dei prodotti sono l'occasione per ricominciare, la possibilità di una nuova vita, attraverso la riscoperta delle radici e dei sentimenti ormai offuscati, come amore, amicizia e solidarietà.
"Do una totale libertà di pronuncia - esordisce il regista a proposito del suo cognome -, in realtà è Winspeare come Shakespeare, anche se gli stessi parenti lo pronunciano all'italiana. Barbara De Matteis viene da una famiglia di proprietari di bar, il padre e il fratello hanno a Lecce il miglior bar d'Italia, lei ha già fatto dei film con me, anche il corto presentato a Cannes, finanziato da Louis Vuitton, faceva la donna del popolo leccese, sposata ad un ausiliare del traffico. E' andato benissimo. Laura Nichetta è la figlia di Celeste (mia moglie, e abbiamo un figlio in comune, il secondo). Laura è lei, prima ha lavorato con me come truccatrice, come attrice è il suo primo film; Anna Boccadamo l'ha già fatto, la sua è una famiglia di pescatori, Angelico, il marito, è un pescatore di Tricase, Cosimo e io lo chiamavo Trinità; Gustavo è un amico d'infanzia, ci conosciamo da sempre, lui è uno stimato avvocato di Lecce, il suo bisnonno era l'avvocato del mio bisnonno; Alessandro Contessa, nostro produttore (esecutivo) e socio da tempo, dal 'Miracolo'. Valenti è il co-sceneggiatore, già con me per 'Galantuomini'; Celeste è mia moglie, la donna ispiratrice di questo film, un archetipo mediterraneo, fa vedere e sentire secoli di storia del sud, dove sono passati turchi, normanni, spagnoli. Una donna di origine popolare, contadina, ha cresciuto i figli da sola. La sua famiglia è molto unita e tutti i suoi parenti nel raggio di 150 metri, una quarantina, ha sette fratelli; i 'forestieri' abitano ad un km. Tutto è totalmente diverso, sono affascinato da questa terra dove l'ulivo salentino ha radici che vanno 800 m sottoterra".
"Adesso devo prendere le distanze da questo film - continua sulla sua opera -, quando ho fatto 'Galantuomini' ero entusiasta e lo sono ancora, ma gli attori non erano tutti professionisti, accanto a Gifuni e la Finocchiaro c'erano altri. Ma è difficile raccontare un ambiente borghese perché nelle classi alte, per natura, le persone sono meno autentiche. L'italiano è una lingua recente a livello popolare, e abbiamo lavorato colorandolo col leccese. Perciò mi sono preparato in tempo, potendo lavorare quotidianamente con l'attrice protagonista (che è sua moglie ndr) perché dormivo, vivevo con lei".
"I riferimenti ci sono ma inconsci - prosegue -, anche 'La terra trema', 'Speriamo che sia femmina' (di Monicelli, visto che le protagoniste sono tutte le donne di famiglia ndr.), forse è inconsapevole. L'antico e il moderno? In Puglia, dove il passato è molto presente, il senso di comunità, la religione sono ancora in primo piano. Ma non ho spostato i luoghi, nella scena in cui lei paga la finanziaria, mentre passa la processione, l'unica cosa che ho fatto è farla vedere proprio dietro perché è una specie di coro greco. La spiritualità è una specie di collante sociale, la religione in Puglia è un po' come la Casa del popolo e la Parrocchia in Emilia-Romagna. Tra io e Celeste, ci sono la tradizione e la modernità insieme. Dicono che voglio ritornare ad un'Italia arcaica, ma il legame con la terra è spirituale, artistico, le ho plasmate e sono diventate belle insieme, per onorare la memoria dei nostri padri fatta di sangue e sudore, non è che sia bello tornare. Laura e Maria Concetta (figlia e sorella di Adele nel film ndr.) odiano la campagna; ma lavorare insieme le porta a ritrovarsi".
"Spesso i salentini stessi non lo capiscono - continua -, la forma è salentina, ma secondo me sarebbe stato lo stesso film nel Mississippi o nelle Ibridi, come i protagonisti di 'Sangue vivo' potevano essere benissimo due suonatori di sax. Il rischio del cinema italiano è il campanilismo, l'autenticità viene data dai volti, l'universalità si raggiunge, facendo quello che diceva Tolstoj 'racconta del tuo paese e racconterai del mondo'. Sono un poì un entomologo, e l'Italia è bella, comunque".
E sulla partecipazione ai festival risponde: "Berlino è prima di Cannes, ci ho provato e mi hanno preso, e penso che le reazioni di tedeschi e nordeuropei siano la prova che il discorso è universale, io vedo tanto difetti, ma il film è stato venduto in tutta la Scandinavia, Olanda, naturalmente, anche in Germaina, dove sono rimasti affascinati, e persino in Australia. Questo è 'il paese dove i limoni profumano' come diceva Goethe".
Sulla citazione a voce di Ozpetek, confessa: "Prima c'era Matteo Garrone che pensavo non si sarebbe offeso', poi è venuta fuori quella che è una piccola presa in giro di Maria Concetta che vede Lecce come New York o Roma, e Barbara ha recitato proprio nel film di Ferzan, è un accenno verso un'ignoranza nostra. Il mio cognome è inglese, ma tutti mi chiedono 'sei svizzero?', la provincia piccola è affascinante anche per questo. Ho insegnato regia all'Aquila e su quali tecniche usare da noi, ma la profonda conoscenza è stare i.sieme, mi piace lavorare con attori non professionisti perché provo con loro, cambio a seconda del personaggio, far loro leggere e capire, non dire la battuta e basta. Tu devi essere super diligente, anche dopo anni di lavoro, perché più diventi intellettuale più togli autenticità a personaggi e situazioni. Giravamo spesso in piano sequenza, 150 scene per intere settimane, e ho tagliato 30 scene, che per me sono pezzi di cuore, lavorare con troppa libertà significa anche questo, però ho fatto al massimo due tagli in piano sequenza. Lavoro sulle alchimia, Celeste andava troppo d'accordo con Gustavo, anche se lui non ride mai. In Laura è proprio istinto, c'è una scena in cui lei guarda il cielo e parla della morte; Anna è proprio così, la dolcezza con cui racconta le cose è unica; poi quando eravamo tutti nervosi ci diceva 'recitiamo un rosario'; Alessandro mi ha aiutato con la regia e anche con il suono, il film è fatto di verità e certe parole vanno, mi aiuta soprattutto con i dialoghi".
"Quando abbiamo iniziato a parlare di questo film - ribatte il cosceneggiatore Alessandro Valenti -, certe riflessioni c'entravano poco, spesso la religione è uno degli aspetti più interessanti per raccontare le persone umili, vocaboli di chi sa di trovarsi a livello gerarchico più basso, ma la tradizone deriva anche dall'humus della terra, come fosse un ritorno alla terra, un confronto forte di dimensione reiligiosa, il peccato originale, l'ossessione del proprio io, il perdersi e aprirsi nella contemplazione della bellezza, la voglia di suggerire una fuga da se stessa per aprirsi alla natura e alll'amore, questo è il filo rosso che ci ha aiutato".
"Non ho avuto problemi - dice il produttore Alessandro Contessa -, sono riuscito a creare questo budget con grande armonia, ho fatto tutto in un anno, e aver iniziato così e Berlino, uscendo ora in sala, è segno che è andata bene, mi auguro che anche tanti altri film ci riescano a superare le difficoltà perché non escono nelle sale. Il nostro è un buon esempio dal punto di vista produttivo. Il pacco baratto è nato perché con Edoardo abbiamo chiamato anche piccole aziende e anziché riuscire ad ottenere soldi, abbiamo avuto dei prodotti, dai biscotti all'olio, qualsiasi cosa. E' il pacco era un modo gentile per ringraziare tante persone che ci hanno aiutato. Ma non abbiamo pagato il lavoro col pacco baratto, lo abbiamo fatto veramente. Era un modo per dire grazie a chi ci ha prestato la macchina o la bicicletta, aveva un valore di 100 euro e più. E abbiamo incontrato un dentista, Oronzo Stefanelli, che ci ha detto 'io posso darvi un contributo di servizi, abbiamo accettato e lui ci ha dato dei buoni da mettere nel pacco, di cui possono servirsi per il controllo e la pulizia dei denti".
"Senza i contributi della Banca Popolare Pugliese e dell'Apulia Film Commission no ce l'avremo fatta - aggiunge l'autore -, ho accettavo di tutto purché il film avesse la nazionalità italiana, e persino un mio amico, Luigi Grechi, mi ha dato dei soldi, ringrazio inoltre Rai Cinema che ci ha sostenuto in post produzione, così come l'Assessorato alle politiche per lo Sviluppo Rurale della Regione Puglia".
"Grazie per la fiducia spero di essere all'altezza - dice la rappresentante dell'Apulia Film Commission -, il film riassume il lavoro di grande modestia di Edoardo, il suo sguardo da fanciullo, l'essere un regista umanista. E' un importantissima creatività produttiva, e per noi è estremamente importante. Bonne chance".
"Questo personaggio è nato un po' ispirandosi a quello che io sono - dichiara Celeste Casciaro che è Adele, la protagonista -, però è molto più marcato; il conflitto con la figlia nella vita (Laura Licchetta, Ina sua figlia anche nel film ndr.) esiste in qualche modo, ma le dinamiche della vita le abbiamo riportate esasperando alcune cose. Edoardo ci credeva, e io dovevo capire quello che voleva da me, e l'ho sviluppato man mano sul set".
"Un ritratto in cui volevo raccontare il mondo femminile - riprende il regista -, dove gli uomini sono un po' come satelliti. Lo erano anche i protagonisti di 'Sangue vivo', ma le donne sono più vive, sono interessate al sociale più di noi, per un uomo è più difficile affrontare il fallimento, la crisi; le donne sono più forti, reagiscono meglio, la figura della donna meridionale è forte, non so spiegarlo, è un fatto d'istinto".
"La saggezza è dovuto al fatto che faccio 49 anni - dichiara - mi sono nutrito molto di cinema, ma certe cose mi imbarazzano, la mia idea del cinema di attori è questa, per esempio, la dolcezza si accompagna alla durezza, e la tenerezza deve arrivare con leggerezza, una tenerezza inaspettata persino in ambienti più violenti, perversi, ho dovuto spingerli ad essere ancora più forti e coraggiosi. Spesso abbiamo paura di andare fino in fondo, io sono sempre libero, discutevamo ma poi facevo far loro come volevo io. Ho lavorato sulla quantità oltre che sulla qualità, gli amo davvero, mia moglie e Laura, che è quasi mia figlia, ma sono al tempo stesso regista. Laura mi diceva 'certe cose non le voglio fare perché mi vedono tutti', però non è lei ma il personaggio che agisce. Celeste diceva cose tremende alla figlia e anche a Maria Concetta, ma poi possono arrivare alla tenerezza; nonostante si dicano cose come 'non sai quello che è stato crescerti da sola' e l'altra 'potevi non farmi nascere', ma poi si accarezzano".
"Abbiamo girato tutto nel raggio di due km, vivevamo nello stesso paese, non prendevamo mezzi, tutto il mangiare veniva riciclato per i maiali, gli animali. Di solito la luce in macchina viene considerata uno sbaglio, però la usa anche Malick; mi dicevano non è giusto ma chi se ne importa se serve proprio quella inquadratura; è stato bravissimo il direttore della fotografia che ha fatto un interessante lavoro in digitale, da vero professionista. Michele D'Attanasio è riuscito a dare prima una luce acida, fredda, per passare poi alla luce della campagna, da matrigna per diventare madre: si riscalda man mano che va avanti la storia. La dimensione sonora è acconpagnata dalla fotografia perché non c'è musica, viene fatta dai rumori dell'ambiente su cui ha lavorato tantissimo il montatore del sonoro (Valentino Gianni ndr.). Tutta l'atmosfera passa da matrigna a benigna, all'inizio c'è un campanellino, quasi da film dell'orrore, certo il posto (la casupola semiroccata in campagna ndr.) non è bello ma loro dicono 'andiamo lì perché non abbiamo più niente', oltre le pentole, abbiamo messo persino il rumore di un'ecografia, dato che una colonna sonora sarebbe stata inadeguata perché doveva parlare della natura".
"Mi viene da piangere - dice Anna Boccadamo che è Salvatrice, mamma e nonna nel film -, nelle scene ho sentito molto la durezza e la tenerezza andare di pari passo, non ci sarebbe l'una senza l'altra, noi salentini con una carezza diciamo tutto, e l'ho fatta volentiere".
"Le scene con mia madre (nella vita e nel film) sono molto forti - afferma Laura Licchetta -, perché sono cose successe anche a noi".
"Ogni tanto Edoardo mi diceva 'bravo bravo' - dice Gustavo Caputo nel ruolo di Stefano che corteggia Adele, interpretata dalla moglie del regista -, ma mi sembrava pazzesco, non ci credevo, solo l'ultima volta ero sincero, ma non volevo fare il lumacone".
"Sono scene dense di emozioni represse e lui le esprime benissimo - conclude Winspeare -, succedono tante cose, alla fine ottiene un bacio sulla guancia, ma durante il piano sequenza, mentre mangiano fuori, lei gli dice 'fa freddo' e lui 'non me ne sono accorto', secondo me era un po' innanorato di Celeste".
Completano il cast di non professionisti Amerigo Russo (Vito, il fratello che decide di emigrare), Angelico Ferrarese (Cosimo) e Antonio Carluccio (Crocifisso, l'ex marito di Adele e padre di Ina).
José de Arcangelo
(4 stelle su 5)
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