venerdì 6 giugno 2014

Con "Incompresa" l'autrice Asia Argento fa un passo indietro, ma continua a sperimentare su immagini e sentimenti, autobiografia e finzione

In anteprima nella selezione ufficiale Un Certain Regard al recentissimo Festival di Cannes – e ora forte di quattro nomination ai Nastri d’Argento – arriva nei cinema italiani l’opera terza della regista Asia Argento, “Incompresa”, ma stavolta resta solo dietro la macchina da presa. Purtroppo, si tratta di un passo indietro, rispetto al toccante e suggestivo precedente film, “Ingannevole è il cuore più di ogni cosa” (2005). Il racconto di un’infanzia come da titolo, quindi al femminile, in bilico tra autobiografismo e finzione – almeno nelle intenzioni dell’autrice – di valenza universale.
Però stavolta quello che non funziona è proprio l’eccesso che contraddistingue l’autrice, perché qui rischia di cadere nel grottesco involontario, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra i genitori della bambina – e proprio il momento della loro separazione è troppo ‘urlato’, sopra le righe e addirittura ridicolo -, mentre sorprendente è la piccola protagonista, Giulia Salerno, alla va quasi tutto il merito di questo dramma della solitudine, della mancanza di affetti, di un abbandono rimandato, di un’esistenza senza riferimenti né modelli da imitare.
Peccato perché visiva e formalmente, l’Argento sperimenta e ricerca l’inquadratura, l’immagine giusta e ci offre il punto di vista della ragazzina, tanto che dei dialoghi - a volte persino imbarazzanti – poteva farne a meno. Del resto tutti gli interpreti e in particolare gli adulti vengono lasciati a se stessi proprio come la bambina della storia che racconta, e addirittura la stessa Gainsbourg delude, anche quando certe volte sembra proprio (fisicamente) Daria Nicolodi, madre nella vita di Asia.
Aria (Salerno, è nata una stella?) è una bambina di nove anni, vittima innocente della violenta rottura dei genitori – padre divo del grande schermo, madre rockstar – e viene trascurata da entrambi, anzi sballottata da una casa all’altra come un pacco non desiderato, al contrario delle sue ‘sorellastre’, in una famiglia allargata, anzi disgregata e caotica.
Infatti, sembra che i genitori non la amino proprio, tant’è che viene respinta e allontanata, costretta a girovagare in città con una sacca a strisce e la gabbia col suo amatissimo gatto nero – ovviamente anche lui rifiutato da tutti e, quindi, suo alter ego -, sempre sull’orlo della tragedia e cercando di salvare la sua innocenza. “Questo film ha la forma di un album dei ricordi – afferma l’autrice nelle note di regia -. Come aprire una raccolta di fotografie vecchie di vent’anni e sfogliarle una a una, e guardare quella luce morbida e soffusa che sanno avere le giornate di maggio, in cui il sole sembra non dover tramontare mai”.
In sintesi, un ambizioso (mélo) dramma che però va gustato proprio come un album di immagini, queste sì belle, a metà tra malinconia e sogno-incubo, amarezza e nostalgia. E Asia aggiunge, non senza un po’ di presunzione: “Se a Bergman ho ‘rubato’ le strutture drammaturgiche è a Truffaut – da ‘I 400 colpi’, per la precisione – che mi ispiro per ritrarre il rapporto della bambina con la città, Roma – come la Parigi di Antoine Doinel (ma anche quella di “Zazie” di Louis Malle ndr.) – è la foresta incantata in cui si realizzano fughe, in cui trova il senso della parola libertà. Girovagare nei quartieri della città da soli era un lusso che esisteva negli anni ’80, noi della mia generazione lo ricordiamo bene, ma oggi si è completamente perso”.
Nel cast Charlotte Gainsbourg (la madre), Gabriel Garko (il padre), Carolina Poccioni (Lucrezia), Anna Lou Castoldi (figlia della regista, Donatina), Alice Pea (Angelica), Andrea Pittorino (Adriano), Riccardo Russo (Ciccio), Sofia Patron (Maria Teresa), Max Gazzè (Manuel), Justin Pearson (Ricky) e con l’amichevole partecipazione di Gianmarco Tognazzi. Da non dimenticare la fotografia di Nicola Pecorini che, per volere della Argento, si è ispirato proprio alle polaroid di quelli anni per ‘ricostruire quella sensazioni che davano le tapparelle abbassate col pulviscolo atmosferico che danzava nell’aria”. Così come il lavoro della scenografa Eugenia Di Napoli e della costumista Nicoletta Ercole, ricostruiscono l’atmosfera anni ’80 senza forzare la mano, vissuta attraverso sbiaditi ricordi. José de Arcangelo
(2 ½ stelle su 5) Nelle sale dal 5 giugno distribuito da Good Films

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