martedì 17 giugno 2014
"Le cose belle" di Napoli e della società contemporanea in tredici anni divita di quattro giovani d'oggi, 'inseguiti e spinti' da Agostino Ferrente e Giovanni Piperno
Presentato alle Giornate degli autori al Festival di Venezia e ora in anteprima al Taormina Film Fest, l'originale e bel documentario "Le cose belle" di Agostino Ferrente e Giovanni Piperno approda nei cinema.
La fatica e la bellezza di crescere al Sud in un film dal vero che narra tredici anni di vita, Quella di Adele, Enzo, Fabio e Silvana, raccontati in due momenti fondamentali delle loro esistenze: la prima giovinezza nella Napoli piena di speranze del 1999 ("Intervista a mia madre") e l'inizio dell'età adulta in quella paralizzata - non solo dalla crisi - di oggi.
"E' la storia di un racconto nato molto tempo prima - esordisce Ferrente - tant'è che al montaggio ci sembrava di stare alla 'fabbrica di San Pietro', uno dei motivi che ci ha fatto pressione è che resteranno giovani. Una carriera di attenzione, di critica importante, ma non era previsto il tempo d'uscita. Dopo Venezia abbiamo potuto chiudere il montaggio definitivo ed esce in questa versione".
"La proiezione di Venezia è stata un nuovo inizio - ribatte Piperno - e dopo il film, con la canzone di Enzo è stato organizzato un piccolo concerto, tant'è che neanche chiedemmo a lui di cantare. Vedere un palco e un pubblico sentir cantare 'Passione', ci fece venire l'idea, tra Venezia e Roma, di aggiungere qualche ciak della canzone, solo nel finale, e poi anche all'inizio, è stato un lungo processo".
"L'attesa non era aggiornata - riprende Ferrente -, Fabio è diventato papà da poco, questo aggiornamento non l'abbiamo fatto, nel corso del tempo il film gridava ad un aggiornamento continuo, visto che racconta la vita lungo tredici anni, e abbiamo cercato di aggiornarlo comunque. Quando subentra una scadenza tutto cambia, nel '99, per "Intervista a mia madre" (da cui prende ispirazione e protagonisti ndr.), eravamo pagati e la messa in onda in prima serata su Raitre era fissata; avevamo una scadenza e questo ci aiutava. L'altra faccia della libertà dell'artista è che non finisce mai l'opera".
"La produzione l'hanno fatta i registi insieme a me - afferma la produttrice Antonella Di Nocera -, ma tanti ci hanno dato una mano, li abbiamo voluto ringraziare nei titoli, perché siamo riusciti a portarlo a termine grazie a loro. La sera in cui Enzo cantò a Venezia, non cantava dai tempi del documentario, anzi non ha più cantato, il tempo ha inciso sul film e questo sui ragazzi. Il dato della vita vera è stato tanto interessante quanto il film per i ragazzi".
Poi la produttrice ci racconta di un messaggino inviato da Silvana, in cui dice che non ce l'avrebbe fatta ad arrivare alla presentazione romana del film, perché ha un nuovo compagno, una casetta e non è sicura di volersi rivedere nel suo passato; anche per Adele la vita è andata avanti, oggi è in Sicilia con un lavoro stagionale, e andrà sicuramente a Taormina, all'anteprima.
"Il film mi ha cambiato tantissimo - dichiara Enzo stesso -, un po' ha realizzato il mio sogno, allora cantavo con mio padre, ora da solo, e in due settimane ho imparato a suonare la chitarra, perché papà non può più. Questa è una cosa bella".
"Rivedermi nel passato - confessa Fabio -, ora che ho una figlia, mi aiuta a non farle fare gli stessi errori, a insegnarle il meglio, a non perdere mai di vista com'ero e come sono. Il passato mi ha aiutato a vivere, la perdita di un fratello, una famiglia divisa dal divorzio. Il bello è il piacere di vedere i bei momenti avuti da piccolo".
"Ci ispiriamo al documentario antropologico - aggiunge Ferrante -, la nostra maniera di girare è un po' clandestina, non ci limitiamo a registrare ma aiutiamo, spingiamo. Fabio aveva voglia di lavorare, e ho pensato di unirli, quello che è successo dopo è la verità. L'Orchestra di Piazza Vittorio l'abbiamo raccontata e 'creata', Enzo non voleva più cantare poi ha deciso di riprendere; Silvana ha lottato tanto per resistere alla precedente relazione (che non abbiamo mai inquadrato), lui è tornato aveva deciso di cambiare vita, quando Silvana aveva trovato un'altra storia con un uomo che lavorava, e grazie al film ha capito che era lei a dover cambiare vita. Forse il documentario risulta utile, visto che nel nostro piccolo possiamo intervenire. Ora stiamo cercando di creare un piccolo spettacolino musicale interpretato da Enzo".
"Nel '99 eravamo molto più fortunati - prosegue Piperno -, avevamo tempi stretti, e furono utilizzati per il casting, ad agosto alla ricerca di ragazzi napoletani, tra i parchi acquatici e le spiagge. Abbiamo visto e intervistato tantissimi ragazzini, quando abbiamo scelto i quattro protagonisti abbiamo scoperto la loro intensità: mentre tutti gli altri volevano diventare calciatori e modelle, loro erano gli unici quattro che non volevano farlo. E la battuta di Agostino, era 'che ci facciamo con 55' di documentario'. Nel 2009, decidemmo di riprovare, di concedere a loro e a noi stessi la tanto desiderata seconda possibilità. Antonella era riuscita ad ottenere un piccolo finanziamento dalla Regione Campania, con cui poter mettere in piedi una prima trance di nuove riprese che poi, sia per scelta artistica che per difficoltà finanziarie, potemmo completare nell'arco di quattro anni".
"Credo che un film non finito porti sfiga - riprende Ferrente -, io ho pagato le tasse sempre. Provare a fare cinema e mettere in forma la realtà offre, penso con umiltà, l'opportunità di esprimere concetti oltre il territorio in cui è ambientato, in questi tutti i popoli del Mediterraneo si riconoscono. Napoli è un 'format', bisogna stare attenti a confrontarsi con questo tipo di idee. Non andavamo all'inseguimento della spazzatura, di fatti tragici che si ritrovano ovunque, eravamo innamorati dei personaggi e volevamo restituire l'impressione che abbiamo avuto noi. Una realtà ignorata dalle istituzioni, i fiori che nascono tra le rovine, pur avendo la camorra ad un metro di distanza, e loro hanno resistito, anche quando hanno cambiato 247 lavori, questa è la loro bellezza, e non va tutto bene, il contesto c'è".
"Abbiamo lavorato sulle parole - aggiunge la Di Nocera -, la bellezza della dignità umana che si conserva comunque. L'altra responsabilità è dell'assistente alla cultura, la responsabilità del mondo degli adulti, nei film su Napoli, credo non si vedano le 'cose belle' della città, sulle scuole, sul lavoro che non c'è. E' la responsabilità degli adulti, rispetto alle cose che si fanno, quella produce una realtà. Abbiamo speso tanti anni per poter realizzarlo, solo due sostenitore hanno risposto all'appello, la Regione Campania con 18mila euro, e Pasta Garofalo, però tutti hanno partecipato. Un progetto nel nome della responsabilità verso i ragazzi stessi, su cui Cicutto ha creduto nella possibilità di un'uscita in sala. Una responsabilità verso il cinema indipendente, la dignità e responsabilità stessa del film".
"Siamo tornati dieci anni dopo e l'abbiamo trovata invasa dall'immondizia - dichiara Piperno -, mentre anni fa sembrava rinascere; ma l'idea che prima tutto era meglio, gira fin dai tempi dei romani, anzi degli egizi. Però dopo la catastrofe bisogna fare passi in avanti. I nostri protagonisti avevano chiaro il fatto che il futuro non sarebbe stato roseo, di progetti non pensavano proprio a farne, però alcuni semi c'erano, e oggi ci sono un sacco di 'cose belle' ancora. Nell'agosto '99, pure noi l'abbiamo mitizzata, vedere oggi Napoli così fa male, ma c'è tanta gente che lavora spinge resiste. La tanto citata 'Gomorra', un'immagine di una Napoli ostaggio dell'immondizia e del sistema di ecomafia che la gestiva, cresciuta a livello internazionale, ma la vita va avanti così. In 'Sacro Gra', anche a Roma ci sono le città invisibili, se poi sono inferno, lo diventa anche quello che inferno non è".
"Il titolo era venuto fuori durante 'Intervista a mia madre' - dice Ferrente -, sul come ti immagini la vita, vuol dire che l'idea di tornarci era inconscia. Abbiamo voluto inserire la scena dell'uccisione (esecuzione camorrista vista in tivù ndr.) perché il contesto è anche quello".
"Sono scene di ordinaria follia a Napoli - conferma Fabio -, forse accadono in altre città, ma quando accade da noi sembra scritto in grassetto. Alla finale di Coppa Italia ho avuto vergogna di tifare per una squadra, mi sono vergognato di tutto quello che è succeso. Il fatto di un omicidio non ti deve fare impressione, è un fatto di tutti i giorni, o chiudi gli occhi o resti a guardare".
"Sono stato a Reggio Calabria - ribatte Ferrente - ma che fosse invasa dalla spazzatura non avevo letto nemmeno una riga. L'Istituto Luce è stato l'unico a crederci in una distribuzione; il mestiere dei registi è quello di lamentarsi con i distributori, per il poco budget che ha, ma noi essendo esperti siamo andati a nozze coi fichi secchi; per un passaggio in tivù ancora non sappiamo. Pensare ad un altro film, dato che sul numero di ore siamo molto parsimoniosi e che questo l'abbiamo realizzato nell'arco di tre anni, non so. Ma non avendo soldi ci rimane parecchio tempo. Comunque, ci deve essere qualcosa a provocarci, e poi il nostro modo di far cinema è un'alternativa ai nostri colleghi che fanno film di sottrazioni, il nostro è di addizione".
"Forse andrà su Sky - precisa la produttrice -, di 'cose belle' a Napoli ce ne sono e lo sanno tutti, perché è una città piena di stranieri; anche rispetto a 'Gomorra', un pannello va fatto, racconta fatti accaduti in un periodo, rapportare quello alla realtà quotidiana è un transfert che non andrebbe fatto. Non è un problema di ripensamento sulla distribuzione, nessun film ha degli esordi notevoli, nel rapporto qualità e numero di copie. Oggi girano tutti col digitale, bisogna vedere com'è cambiato e rispondere alla novità che c'è. E' un tema del paese, distinguerei il massimo sforzo del Luce. Tutto è cambiato, si è rinnovato, i film viaggiano da soli all'estero, mentre in Italia non si trovano le sale, quello che non funziona è il sistema".
"Per chi si occupa di opere straordinarie è un regalo - dichiara Roberto Cicutto, amministratore delegato dell'Istituto Luce - Cinecittà - nei novant'anni di documentari del Luce non ci si stacca minimamente come lezioni di regia, né sull'atteggiamento antropologico di registrare la realtà. Questo titolo è quello che sta meglio tra tutti quelli del nostro listino perché, se guardate bene, c'era nei documentari Luce un punto di vista della regia, qualcuno che consentiva all'immagine di raccontare da un punto di vista personale. Il film esce in dieci copie, per un problema semplice, succede anche con le opere prime, questo sistema non consente di trovare spazio al passa parola né il proprio pubblico, secondo me tra i 10 e i 50 anni, ma anche con i nuovi media, è ora che finisca lo scandalo di canali tivù pubblici e privati che non danno spazio al documentario".
"Perciò sarà un'uscita in tutti gli spazi possibili, nelle arene, nelle scuole, da far vedere ai giovani studenti che sono una platea enorme. A Ponticelli c'erano ventimila ragazzi venuti a vedere il film. E' un film didattico. Una riflessione sul rapporto col cinema vero".
"Riprendiamo le cose vere che ci piacciano - aggiunge Ferrente -, non l'osservazione secondo la categoria documentario, se mi innamoro di un personaggio perché è molto disordinato e poi trovo casa sua ordinata, lo obbligo a ricostruire. Bisogna non essere neutri, ma ricostruire il linguaggio della fiction quando è necessario quel tipo di emozione di cui ci siamo innamorati quando abbiamo conosciuto il personaggio. Soprattutto in una città come Napoli, dove esiste una grande teatralità, tutti vogliono mettersi in scena, risinnescare la regia dei personaggi stessi".
"Siamo stati testimoni del primo bacio - ribatte Piperno -, le scene sono vere, lui ci disse 'oggi pomeriggio non posso girare, ho appuntamento con una ragazza' e noi 'siamo con te'. Le abbiamo rubato col teleobiettivo, li abbiamo lasciato in nostra assenza e anche con la complicità di Eva. Sono verissime".
"Non abbiamo grossi budget per la pubblicità - conclude Ferrente -, la sopravvivenza del film è dovuta al fatto che se ne parli, è inutile lamentarsi che produttori e distributori sono 'poco coraggiosi', perché le sale potrei pure prenderle, ma se la gente non lo sa che c'è, basta almeno un po' di passaparola".
José de Arcangelo
(4 stelle su 5)
Nelle sale dal 26 giugno distribuito da Luce / Cinecittà
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