mercoledì 25 giugno 2014

"Tutte le storie di Piera" di Peter Marcias, il ritratto di un'attrice straordinaria per chi 'le parole' danno consolazione e affetto

Sulla scia della presentazione al Torino Film Festival - dove ha ricevuto il Premio Maria Adriana Prolo 2013) - e del successivo Premio Speciale 2014 ai Nastri d'Argento arriva nelle sale e nelle arene "Tutte le storie di Piera" (Degli Esposti), firmato Peter Marcias, che racconta, attraverso un bel ritratto, più privato che pubblico di una delle più grandi attrici italiane viventi. Un documentario particolare nell'approccio, ma tradizionale nella forma - con intervalli stile anni Settanta di tre giovani donna (le tre grazie?) che danzano sulla spiaggia -, su una donna e un attrice straordinarie, tant'è che nelle proiezioni/evento a Bologna il 9 luglio (nell'ambito di Cinema sotto le stelle), alla Versigliana il 12, così come durante l'uscita in Sardegna si arricchirà con i suoi interventi dal vivo. Il tutto raccontato, completato e 'rifinito' dagli interventi di personaggi che la conoscono, l'hanno diretta o ne hanno instaurato una vera, decennale, amicizia: dalla scrittrice/autrice/regista Dacia Maraini al regista Riccardo Milani, da Giuseppe Tornatore a Nanni Moretti, da Paolo Sorrentino a Lina Wertmuller. "A Roma verrà programmato al Nuovo Cinema Aquila, e la prima di giovedì 26 giugno alla presenza di Piera - annuncia il regista alla presentazione stampa alla saletta Trevi della capitale -, e successivamente in gran parte delle città italiane, da Milano (al Mexico) a Firenze, poi ad Ascoli Piceno, specialmente in eventi estivi, speriamo anche a Napoli, e in Sicilia. Ma lo si vedrà anche all'estero perché è stato acquistato, al market di Berlino e Cannes, da Israele e Russia. Saranno spettacoli fra teatro e cinema, con brani tratti dal film, e interventi di Stefano Guzzetti - che ha curato la colonna sonora -, per sottolineare la questione della 'parola' che è la cosa più importante di questo film. Saranno interventi mai sempre uguali, soprattutto a Bologna, città natale di Piera, dove si farà una riflessione sulla città". "La mia città che ho avuto il dispiacere di lasciare e mi ha fatto la sorpresa di venirmi dietro - afferma la Degli Esposti -, quando recitavo, fin dall'inizio, durante le prove, mi venivano in mente le strade; quando temevo un piccolo vuoto arrivavano gli scorci della mia città. Durante le serate farò qualcosa che ha a che fare con la poesia, finché la sua figura verrà fuori, e fra teatro e cinema, io rappresenterei il teatro e il film il cinema. Ringrazio tutti i registi viventi che mi hanno guidato, perché invece molti altri con i quali ho lavorato a teatro, come Aldo Trionfo, Giancarlo Cobelli, Massimo Castri, sono scomparsi. E, dato che il teatro era assente come filmato, Marcias lo fa vivere ugualmente attraverso foto e cose ritovate qua e là, e tramite me. A volte con Dacia, quando si presenta un libro, lei dice 'nessuno parlerà', ed io 'pazienza, molti di loro non hanno letto il libro né visto il film". E a proposito del rapporto con Ferreri, confessa: "Prima c'era la moglie poi pian piano ho avuto il coraggio di dichiarare il mio innamoramento anche fisico. Una volta dissi a Lina (Wertmuller) 'mi piace molto', e lei, 'un momento, come regista?' 'Come uomo' risposi. Il periodo che sono stata con Marco è stato il più felice, quando avevo un appuntamento con lui, o lavoravamo a 'Storia di Piera' e 'Il futuro è donna', è rimasto dentro di me. Volevo dirlo in cinema, attraverso il suo ambiente, così forte così buono; secondo Dacia lo imito benissimo. Lui ci diceva: 'Sto' a lavora' con le Sorelle Bandiera' perché 'avete le bandierine in testa'. Quando lui si arrabbiava e ne avevamo paura, lui apriva la porta e ci chiedeva: 'che state a dì?', mentre Dacia si domandava 'ci si può innamorare di un preside così?".
Sul tempo, invece, dichiara: "Come dico nell'ultima frase del film (unico intervento contemporaneo dell'attrice, a parte la voce narrante ndr.), il fatto di abitare vicino a Piazza dell'Orologio, che non si muove perché di pietra, avevo l'impressione che il tempo non passasse mai, un desiderio che abbiamo tutti, perché lo rallenti, come a teatro dove lo si rallenta ripetendo la stessa scena a Napoli, a Roma, a Genova. Sempre a far la stessa scena, a teatro mi sembra di stare sempre ferma, ma poi vedi tir che portano scenografie e costumi e ti rendi conto che è un'illusione. Affermo che non ho mai perso il treno, per la paura che aveno quando venne Eduardo a vedermi, ero andata a telefonare al povero Tommaso Chiaretti (di La Repubblica). Allora facevo Joyce, il monologo di Molly Bloom dall'Ulisse', e lui mi aveva detto 'ma viene gente?', ed io 'sì moltissima', 'e ride?' 'Sì, certo'. Ma c'erano i borderò che mi smentivano e lui fece venire pubblico finto preso al bar, cose da pecoroni, però dietro la gente finta venne quella vera e, alla fine, il teatro era pieno. Dopo tanta paura, è stato tanto calore. Tutti dicevano hai fatto bene a farlo venire, e io pensavo ai treni. Il cinema non lo volevo fare, però mentre ero stata bocciata all'accademia e nessuno mi voleva, al cinema ho avuto l'onore di un bellissimo personaggio in 'Bisturi - Mafia bianca', e Luigi Zampa mi diceva hai una faccia da cinema. Per me il cinema è troppo centimetrale perché mi muovevo poco. Uguale per l'ancella della Callas per Pasolini (in "Medea" ndr.). Oppure in 'Sotto il segno dello scorpione' dei fratelli Taviani; avrei voluto fare più cinema, poi essendo più vecchia, visto che potevo stare più calma, ho accettato che la macchina da presa mi guardasse, e mi piaceva di più essere in prima fila, poi è stato il successo improvviso, ho accettato di fare Beyoncé, la televisione, perché ho una bella paghetta ma non sono mica Berlusconi. A 65 anni ho detto vado via, vado a casa. E il direttore dello Stabile mi chiese: dove? Al cinema dove scaraventano via le quarantenni, io tenace ho inisistito e sono stata quasi subito premiata, è stato un piccolo raggio, da 'L'ora di religione' di Marco Bellocchio, a 'Diritto di difesa' in tivù". "Nessuno ha mai amato 'Riccardo III' - aggiunge sul ruolo in abiti maschili che sogna da una vita - perché ha compiuto quello che ha compiuto, ma è un grande quando chiede alla madre di sposare la figla a cui ha ucciso il padre, e lei 'come osi'. E lui 'dille che il re che la potrebbe comandare, la prega. E poi l'inizio, con 'l'inverno del nostro scontento'... Allo psicologo dicevo 'oggi sono Riccardo', perché la rabbia, l'ira ce la teniamo dentro tutti perché non siamo re né regine. Anche per questo, la sua gobba ci ricorda questo grande campione che ha vinto da un'altra parte, ed è un pozzo pieno di noi. Tanto che Glauco Mauri mi chiese 'perché non volevi fare Riccardo III', perché lo sta sempre facendo qualcuno - e non volevo le parti femminili -, e non li vado nemmeno a vedere, credo che ora lo faccia Alessandro Gassman". "Condivido il lavoro di Marcias perché si bassa su un'assenza di me, tranne nell'ultimo momento. L'ho visto per la prima volta a Torino. A volte mi considero un caso, perché mi sono liberata della mia famiglia, della mia città, in qualche modo, faccio l'attrice in maniera casalinga, faccio cerchi come i pittori, perché ho cominciato senza accademia. La passione nasce nella mia famiglia, nell'adolescenza è tutto insieme, essere attrice, babbo, mamma. Non ho avuto figli, non ho voluto mariti, mai; ho avuto abbastanza uomini ma non eserciti, e sono rimasta molto legata a mio padre che avrei voluto sposare. Quando ero piccola e dfficile, pensavo: 'non sono il suo tipo', e tiravo sempre in ballo Limone sul Garda, dove si sposano cugini con cugini, fratelli con sorelle. Mi dicevo perché non cambiamo casa, visto che eravamo sempre insieme e potevamo non far passare il tempo. Ho scelto il ruolo della 'dea' perché in verità è una dea che attende che succeda un qualcosa così come a Limone sul Garda che è il posto dove ci sono più centenari, prima o poi ci andrò a vedere, perché racchiude il caso che lo sono. Dacia Maraini mi dice sempre 'metti il cappello sul discorso' perché parti sempre senza, ma potrei dire le ragioni perché dico la battuta così. E' il discorso immortale della dea, con cui ho avuto il premio con Bellocchio. Un gesuita ha detto perché lui non ci crede nell'aldilà - e Bellocchio non ci crede - e a me: 'Lei cosa ne pensa' mi chiese, e io 'la cosa non mi riguarda perché mi considero immortale'. E Bellocchio: 'solo tu, ma cosa fai per essere immortale?".
"Le persone vanno apprezzate mentre sono vive - ribatte Marcias -, bisogna trattarle meglio da vivi, infatti, non ho mai pensato di fare i 'coccodrilli' e nemmeno solo ricordare un ventennio, un trentennio. Questo è il percorso di una grande personalità partita da dispiaceri che ha trasformato in arte. Non mi piace fare la spettacolarizzazione della vita, perciò mi sono focalizzato nelle parole. Quando l'ho conosciuta, era tornata a Cagliari anni dopo la morte di sua sorella Carla, e mi fa piacere che si sia riappacificata con la città. Di una personalità così grande non c'è tanto materiale teatrale in archivio, è rimasto solo il cinema, così ho lavorato sulle parole. Ho ripreso con quattro microfoni tant'è che sul set sembrava di essere nello studio di una radio, e le interviste sono il punto di forza del racconto di qualcuno che ce l'ha fatta perché ci credeva. Grazie ai maestri che ho intervistato, viene a galla una carriera ben cadenzata, dall'altra parte mi interessava la vita e come afrontare il lavoro. Abbiamo così tanto materiale che ne esce un film a puntate 'Piera uno due tre' come 'Heimat' di Edgar Reitz". "Non tutti sono ossessionati dall'affetto - riprende la grande attrice -, pensano più al danaro, alla popolarità, alla bellezza. Io ho un pensiero costante, avere affetto attorno a me; è dimostrato che se hai persone che ti vogliono bene, hai sempre paura di rimanere senza; così come chi ha tanto danaro ne vuole sempre di più. Io ho paura di restare senza affetto. Per me è fondamentale sentire che una persona ha dell'affetto per me, anche sul lavoro, sono rimasta colpita dalla frase di Tornatore (nel documentario ndr.), che dice 'lei capisce se tu le vuoi bene o no (e se lo avverte, l'hai conquistata per sempre)'. Mi sono trovata benissimo a girare con lui, intanto mi ha accudito nella scena della caduta dalle scale (in 'La sconosciuta' ndr.), era difficile da far vedere, io dovevo cadere nei primi scalini e poi dagli ultimi, io sono sempre ubbidiente sul lavoro, un'allieva, ma avevo gli occhi della paura, e lui 'speravo tu fosse cattiva'. Sul set c'era anche Lucherini che rideva come un matto perché Bellocchio mi fece uno scherzo, dicendomi che avrei dovuto cadere giù per l'intera scala. E cominciavo proprio nell'attimo che mi faceva cadere. Poi quando in fondo alle scale con gli occhi sbarrati mi disse: 'potresti non respirare, vorrei che il pubblico creda che sei morta, ma lo diceva con tale dolcezza... E Ksenia poi: 'a me non dice mai brava'. Tornatore mi chiedeva: 'Hai avuto molta pazienza nella vita, vero?, e, finita la scena disse: è la prima scena a Trieste girata da Piera Degli Esposti' e tutti giù ad applaudire. Una grande emozione perché tu sei proprio lì, e sono tanto contenta quando sento un complimento. Sorrentino è una persona bravissima, ma è più distaccato. Inoltre, quando vado a queste manifestazioni dove continuano a darmi premi, a me sembra il seguito del lavoro perché è quello che si premia, e non devi dire 'sono felice per me'; e l'atmosfera di affetto non è mai di troppo".
"In me non è un fatto narcisistico - conclude -, non dico la mia età perché non la dimostro, e sono stata ricompensata dal fatto di poter consolare la gente col mio lavoro. Ho fatto 'Maria', la madonna, nel 2000, con la regia di Antonio Calenda, a Roma ai Fori Imperiali, ma la prima rappresentazione è stata all'Aquila, visto che si tratta di una Jacopa Aquilana, c'erano molti vescovi, e tra me e il parroco c'era un separé. Invece, la sera della prima a Milano, il Cardinale Martini mi disse: 'lei dà molto ma ne riceve anche'; poi mi si avvicina un giovanotto: 'mia madre vorrebbe salutarla', e dato che la portava per mano ho capito che era cieca. Mi sono ricordata che da piccola andavo a leggere per i ragazzini ciechi, e non sapevo perché ma ero molto felice di andarci. Il giovanotto aggiunse: 'la vuole salutare perché gli ha ricordato una bambina che leggeva per loro', la madre aveva riconosciuto la mia voce nonché fosse cambiata'. La consolazione era rimasta così impressa in quelli che ascoltavano la bambina che ero. Perciò ho pensato di andare in quelle ore bruttissime negli ospedali a leggere per i non privilegiati. Noi stiamo bene parlando d'arte, mentre là un malato aspetta una sentenza, ho pensato di portarla nelle ore più dure e di andare con un musicista per dire qualcosa nelle ore più difficili, prima di dormire. Il mio bisogno di consolazione e di portarla perché commuova, fa di me una dea un po' professoressa, fatta in altro modo. E' il risultato delle 'parole', perché quando ho recitato per un pubblico di ragazzi ho scoperto che si emozionano".
E chiude sul suo amore platonico, anzi impossibile, per il grande Mitch: "Io avevo scritto una lettera a Robert Mitchum vent'anni prima, tanto che avevo costretto tutti in famiglia a camminare con i piedi in dentro come lui. Allora non venivano con tanto facilità in Italia le star di al di là dell'oceano, così costringevo mia cugina (alla quale piaceva invece Gregory Peck) a vederlo nei film. E non ho mai cambiato idea, tant'è che a volte mi dicevano avresti potuto venire a Campione, ma non sapevo che amavi Mitchum; poi lui era stato a Bastià (Corsica) dove gli avrebbero consegnato un premio, ma purtroppo stavo poco bene e non sono potuta andare. Tentativi per incontrarlo ne ho fatti parecchi, ma mi è riuscito solo grazie a Lina Wertmuller: mi ha mandato un messaggio scritto, mentre recitavo 'Madre coraggio', dove diceva che avrei cenato con Robert Mitchum, e avevo pensato ad uno scherzo. Invece quando sono arrivata Lina mi ha detto: 'Hai visto cosa ho fatto per te cocca'. Era proprio il Mitchum che aveva recitato con Marilyn Monroe e Ava Gardner, e non gli sono dispiaciuta. L'incontro è reale (nel film ci sono solo le foto ndr.), mi sono seduta sulle sue ginocchia e ci siamo anche baciati, davvero". José de Arcangelo

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