giovedì 18 settembre 2014

Tanto impegno e buone intenzioni per "La nostra terra" una commedia 'antimafia', firmata Giulio Manfredonia con Stefano Accorsi e Sergio Rubini

Tante buone intenzioni e un argomento importante, anzi due, mafia e antimafia in una commedia d'attualità, "La nostra terra" di Giulio Manfredonia, con Stefano Accorsi, Sergio Rubini, Maria Rosaria Russo e nutrito cast. Un film - nelle sale da oggi, 18 settembre, distribuito da Visionaria - Videa - sulla scia della fortunata opera prima di Pif, "La mafia uccide solo d'estate", ma purtroppo con meno mordente e col rischio di cadere nel 'troppo' leggero, anche perché non si può parlare di mafia accennando solo a minacce e ricatti.
Forse proprio perché come dichiara lo stesso regista in conferenza stampa - alla Casa del Cinema nei giorni scorsi - si tratta di "un argomento su cui non sapevo nullla, e all'inizio ho avuto qualche difficoltà dato che parla di mafia come modo di intendere la società e la vita. 'Libera' (la cooperativa nata su iniziativa di Don Ciotti che ha ispirato il fim ndr.) porta avanti una strana lotta lavorando e coltivando le terre confiscate alla mafia, e da loro ho avuto modo di conoscere l'esperienza e la testimonianza, e ne sono rimasto affascinato perché offre un 'modello diverso'. Il volontariato in senso più largo, un gruppo che dimostra che si possono fare delle cose contando sull'unità. Io ho avuto l'ambizione di raccontarlo in modo divertente, attraverso il lato leggero della situazione perché è un posto dove si ride molto".
Però Manfredonia non riesce ad evitare la consueta galleria di stereotipi, soprattutto nel disegno dei membri della cooperativa, e qualche luogo comune, proprio sul versante della commedia, quasi caricaturizzando i volontari dell'antimafia, facendo del gruppo una sorte di corte dei miracoli. Comunque, ben vengano film come questo che affrontano temi che l'Italia dei 'io non vedo, non parlo, non sento' (nemmeno al cinema) evitano di affrontare. "L'approccio è stato un po' come per 'Si può fare' - prosegue il regista -, quello di documentarsi frequentando le diverse cooperative in Sicilia, in Calabria, in Puglia, e a Messagne c'era proprio una masseria in cui la situazione è poco chiara perché, mentre il boss è in carcere, nella villa c'erano la moglie, il tesoriere e, dopo, persino lui agli arresti domiciliari. In questo modo ho cercato tutte le storie fondendole in una sola, attraverso uno sguardo lanciato in grande libertà".
"Questo tipo di iniziative e 'Libera Terra' le conoscevo attraverso i giornali - ribatte Stefano Accorsi, protagonista accanto a Sergio Rubini - o perché, in modo indiretto, ne avevo acquistato dei prodotti, ma ho avuto l'occasione di vederli al lavoro durante la preparazione del film e, al di là delle difficoltà oggettive, è stata un'esperienza interessante e molto utile per affrontare il rapporto di un uomo poco tagliato come indole per una lotta del genere. Affronta una grande difficoltà perché trova degli ostacoli davanti a sé che diventano pretesti per migliorare, infatti fa un percorso interessante e tramite lui racconto qualcosa che mi sta a cuore". "Quando facevo il film di Fellini - racconta Rubini - mi trovai in macchina con Marcello Mastroianni il quale raccontava che Marlon Brando passava un mese al camposanto perché doveva interpretare un morto. Anch'io mi preparo ai ruoli ma, avendo una formazione europea, lo faccio stando accanto a loro, in un campo di pomodori, però anche mio nonno è stato contadino e non ho fatto molta fatica. Il mio personaggio lo giudico bene perché in fondo è un ingenuo, un tonto, sta in una zona grigia perché il sud non è solo in luogo violentissimo come lo vedono alcuni né solo gentile e folcloristico come lo vedono altri. Il mio credo sia un personaggio centrato".
"Ho portato con me una zolla di terra - riprende Accorsi -, ho preso un ettaro di terreno, amo molto la natura. E' stato faticoso girare in campagna (nel Lazio) d'estate ma ero contento di tornare a Roma ogni sera, ho un rapporto solo bucolico con la natura. E' un lavoro molto faticoso anche se io non so nulla del sudore sulla fronte. La terra ti dà tanto ma prende anche tanto, è un rapporto di dare e avere che da cittadino non vivo quotidianamente". "Rossana è nata in quelle terre e per me interpretarla è stata una grande responsabilità - dichiara Maria Rosaria Russo -, perciò sono andata prima a prendere contatto con i contadini e i soci della cooperativa. Lavorare e vivere in campagna ti cambia la testa, il modo di pensare, di approcciarti alle cose; lì la vita ha un ritmo cadenzato, diverso, come rallentato, un processo che mi ha dato molto tant'è che il mio rapporto con la natura è cambiato, anche se poi è sempre bello tornare a casa".
José de Arcangelo

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