giovedì 18 settembre 2014
"Un ragazzo d'oro" di Pupi Avati con la coppia Scamarcio-Stone delude, nonostante una bella idea e la premiata sceneggiatura
E' un vero peccato, ma stavolta Pupi Avati con "Un ragazzo d'oro" delude, anche se il film - in uscita da, oggi 18 settembre, in 300 copie - parte da una bella idea e conta su un bellissimo cast, tra cui la presenza della diva americana Sharon Stone. Continuando ad indagare sul rapporto padre-figlio, il regista italiano più prolifico degli ultimi quarant'anni racconta la storia di Davide Bias (Riccardo Scamarcio), figlio di uno sceneggiatore dei cosiddetti film di serie B (leggi i famigerati generi, oggi rivalutati). Il giovane è un creativo pubblicitario col sogno di diventare scrittore, creando qualcosa di bello, di vero.
E, all'inattesa morte del genitore, Davide da Milano si trasferisce a Roma dove incontra la bellissima e matura Ludovica (Sharon Stone), un'editrice interessata a pubblicare la presunta autobiografia del padre di Davide che, forse, ha lasciato incompiuta.
Non trovandone traccia, il giovane decide di scriverlo lui stesso, come se a farlo fosse suo padre: questo lo aiuterà a riconciliarsi finalmente con la figura paterna, ma metterà a rischio la sua esistenza, soprattutto sul piano psicologico...
"La Stone mi è venuta in mente appena ho pensato al personaggio di Ludovica Stern - esordisce Pupi Avati -, una signora che si è data ad una nuova professione, mi sono ispirato a mie amiche ex attrici; una donna intelligente, carismatica, che al suo palesarsi il pubblico doveva rimanere stupito, attratto, sedotto, al di là delle capacità interpretative. Ma ci sono poche attrici che siano delle icone, ma se diciamo Sharon Stone tutti sanno a chi ci riferiamo. Così ho detto a mio fratello Antonio di contattarla mettendolo davanti ad un sacco di problemi, poi l'abbiamo proposto a Paolo Del Brocco dicendogli 'per lei penseremo a Sharon Stone', e lui 'non l'avrete mai'. Allora è iniziata una lunga serie di carte, lettere e documenti mandata a LA; un carteggio che se venisse pubblicato sarebbe un romanzo meraviglioso. E' stata la trattativa più difficile del mondo, qualcosa che rasenta l'impossibile. Raggiunto l'accordo, su un treno Italo messo a disposizione per l'occasione, siamo andati a Firenze a prenderla e portata a Roma. Un'ora dopo, poco più, abbiamo praticamente definito la sceneggiatura che, in questo caso, è come trovarsi davanti al notaio, e abbiamo condiviso un documento. Il giorno dopo era sul nostro set, c'erano qualcosa come 250 fotografi a Piazza del Popolo".
"L'abbiamo trovata sul binario sbagliato - ribatte il fratello -, seduta su una valigia, nessuno l'aveva notata, era con una gonna fiorata, noi l'abbiamo riconosciuta, baciata, ed è salita sul treno dove è stata riverita dall'equipaggio, e ha cominciato a sentirsi più Sharon Stone. E, alla stazione Tiburtina, l'aspettava una ventina di fotografi di quelli che violentano la privacy (non so come l'hanno scoperto), poi siamo arrivati all'Hassler nella suite più costosa dell'albergo, ha fatto colazione con Flavia Parnasi (la produttrice ndr.), e il giorno dopo ha girato la prima scena a Piazza del Popolo. Il suo atteggiamento da star è cominciato a crescere, aumentavano i piccoli capricci ma sempre controllabili, invece, l'ultimo giorno, prima dell'Happy Hour, quando dovevamo fare l'ultima inquadratura, quella del bacio con Scamarcio sulla panchina, si è accorta di un operatore che era a fianco della mdp ed è sparita. Dovevamo girare solo un'inquadratura - ora i fratelli raccontano contemporaneamente -, e ci siamo ritrovati in giro a cercarla per Roma e nessuno sapeva dov'era. Tempo dopo abbiamo ricevuto una telefonata da LA in cui ci dicevano che se non avessimo allontanato tutti i fotografi e l'operatore televisivo, non sarebbe rientrata. Abbiamo scoperto che era in macchina a dieci metri da noi, però mi ha fatto parlare al telefono con un americano per comunicarcelo. Siamo scesi dalla macchina e quasi con la violenza fisica siamo riusciti ad allontanare i fotografi e abbiamo girato allegramente la scena. E, a quel punto - afferma Pupi -, lei è diventata simpatica come il primo giorno, tant'è che quando le ho detto che c'erano tre funzionari di banca per il brindisi, si è messa parlare con loro e non finiva più, credo che abbia un atteggiamento bipolare".
"In 'Basic Instinct" - riprende il regista -, quando accavalla le gambe, ti rendi conto che non è stata un'idea sua, ma nel nostro immaginario, in quello di tutti, quella sequenza è rimasta indelebile".
"La nostra ostinazione riguardo il personaggio paterno - confessa -, è dovuta al fatto che non abbiamo avuto un papà, ne avevo 12 anni quando è morto, ma non c'è nessuno più presente dell'assente. Noi abbiamo avuto un grandissimo vantaggio, avere una madre che ha saputo supplire al ruolo, perché le figure materne sono più generose, accoglienti, ti lasciano immaginare e sognare di più, quella paterna ti riporta alla realtà, alla ragione. Se ho potuto coltivare sogni bizzarri è stato, probabilmente, perché non avevo un padre, il quale avrebbe voluto continuassi gli studi per avere una professione più seria e remunerativa. Ma nel diventare adulto la figura paterna è sempre più necessaria, e si dà il caso che proprio quell'ultimo anno, nostro padre sia venuto a Roma, a Cinecittà perché pensava di poter produrre un film, e voleva vedere come si fa, ma un evento traumatico gliel'ha impedito. Però io sono diventato addirittura presidente di Cinecittà. Questa è una singolare storia, una delle più belle che potesse immaginare: un figlio di una bellezza paragonabile al metallo, quindi d'oro, che mette a repentaglio la sua salute mentale a risarcimento della figura paterna perciò, in parte, ci siamo riconosciuti. E' stato molto particolare indagare, il rapporto tra due maschi, i pudori, le difficoltà. La madre alla fine gli dice tutto - con nostra madre non è stato così -, e mi auguro che anche con i miei figli si mantenga aperto questo fil rouge, perché questa identità è l'eredità".
"Io e Paolo (Del Brocco di Rai Cinema ndr.) condividiamo la passione per la Roma - dichiara Cristiana Capotondi, nel film Silvia, l'indecisa ragazza del protagonista, ma Scamarcio è assente perché sta girando a Londra -, e mi considera una specie di venere calciatrice, ma l'esperienza con Sharon Stone mi ha fatto scoprire un tipo divistico anacronistico che, forse, Giovanna (Ralli) ha conosciuto. Il divertimento è stato vedere come l'lindustria hollywoodiana si scontrava con l'artigianato degli Avati, io non riuscirei ad avere le carte di credito del produttore, lei sì. Ad un certo punto decide di fare acquisti per i suoi costumi nel film e, con la carta di credito della produzione, entra da Bulgari. Antonio è sbiancato, e io lo guardavo e gli dicevo anch'io farò lo stesso".
"Ho lavorato anche dopo - confessa la Ralli, che nel film è la madre di Davide -, ma a ottant'anni finalmente faccio un film di Pupi Avati, e sono più giovane di Sofia di tre mesi, e da tanto lo desideravo. E' stata un'esperienza nuova, un cinema nuovo, di emozioni nuove. Dovevo tirar fuori un personaggio, è stato come vedere una foto con la lente d'ingrandimento. Il mio ruolo è di una madre tradizionale che ama la famiglia e il marito, tant'è che è complice del suo tradimento, ne viene fuori il ritratto di una donna semplice come tante altre. E vede il cambiamento del figlio, che sempre più assomiglia al padre, fino a vedere la sua follia, quella che ognuno di noi ha. Pupi riesce a tirare fuori cose straordinarie dai suoi attori e tutti sono stati straordinari con me. Pupi mi è stato vicino in un momento particolare della mia vita".
"Non c'è nessuno che viva un disturbo psicologico, tanto da uscire dai comportamenti omologati e omologanti, io ho incolpato mia moglie, miei figli, mio fratello. Tante persone hanno problemi di questo tipo, io forse mi sono salvato perché sono un creativo. Spesso mi chiama una ragazza che si spaccia come tale, dice di avere 17/18 anni, ma attraverso i caribinieri ho scoperto che ne ha 57, parla con una voce da bambina, le è morta la mamma, ma dice che è con la nonna. Sono con lei morta, devi dire alla signora che proteggerò per sempre Lucilla, e lei 'la mamma ti ha sentito e ti ringrazia'. La creatività tracimera da stato mentale psicologico alterato, non bisogna rassegnarsi alle mode e alle regole della partita, del gioco".
"Tante cose mi hanno spinto a fare il film - dice la produttrice Parnasi -, la possibilità di lavorare con Pupi che è un maestro, una storia forte, il rapporto più difficile rappresenta il figlio maschio col padre, ma anche per una figlia; tant'è che mi sono identificata nella sceneggiatura, e poi produrre un film con Sharon Stone, dopo aver prodotto uno con Carmen Maura, l'anno scorso".
"Il rapporto tra padre e figlio l'abbiamo raccontato con mio figlio Tommaso, la sceneggiatura l'hanno scritta insieme e premiata al Festival di Montreal - conclude l'autore -, ma avrei potuto raccontare il rapporto padre-figlia come ho fatto in 'Al Bar Margherita', ma richiama un po' meno perché il nostro film riaguarda l'oggi".
E chiude con la diva Stone: "Ora ci lavorerei meglio perché conoscendola perfettamente so che alcune cose le fa e altre no, per evitare il rischio ti organizzi e fai in modo che quell'operatore non si metta lì, tanto ci sto pensando a richiamarla".
José de Arcangelo
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