martedì 14 ottobre 2014
"Fango e gloria " di Leonardo Tiberi ricostruisce la Grande Guerra con materiale d'Archivio (Luce e altri) e finzione con attori per ricordare e insegnare, anziché celebrare il centenario
Un film sulla Grande Guerra che fonde materiale d’archivio e fiction con attori per ricordare più che celebrare il centenario della tragedia europea in cui persero la vita soprattutto alcune generazioni di giovani di ogni condizione sociale e politica. Da celebrare invece, sono i novant’anni dell’archivio storico (non solo) dell’Istituto Luce che contribuisce con le immagini vere dell’epoca.
“Fango e gloria” di Leonardo Tiberi con Eugenio Franceschini, Valentina Corti, Francesco Martino e la partecipazione di Domenico Fortunato nel ruolo del padre, esce nelle sale il 16 ottobre, distribuito da Luce-Cinecittà che lo ha anche coprodotto con Baires Produzioni di Maurizio e Manuel Tedesco, sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, inserito nel programma nazionale delle commemorazioni del Comitato storico scientifico per gli anniversari di interesse nazionale e con il Patrocinio del Ministero della Difesa
Narra le vicende dei milioni di giovani coinvolti nel tragico evento bellico, utilizzando come simbolo proprio colui che sarà prescelto per rappresentare l’enorme schiera dei caduti anonimi: il Milite Ignoto. E’ la storia di Mario, dei suoi amici e della sua fidanzata, ragazzi come tanti della piccola borghesia di provincia, entusiasti e pieni di progetti per un futuro che a molti di loro verrà negato.
“Dopo lunga esperienza a fare documentari d'archivio – esordisce Tiberi alla presentazione romana alla Casa del Cinema -, ho deciso di fondere narrazione con attori e documentario. Vedere queste immagini accelerate, le riprese allora in 16 fotogrammi al secondo (anziché 24 come è stato il sistema adottato dopo per il cinema convenzionale sonoro ndr.) davano un senso di irrealtà, il digitale ci ha permesso, invece, di rubare tutte le informazioni possibili e offrire delle immagini più realistiche, di costruirne una storia vera. Volevo che la narrazione col girato e attori entrasse e uscisse dal materiale archivio. E’ stato un lavoro enorme dell'archivio Luce, delicatissima l’elaborazione di coloritura, da questa parte ci preoccupava molto, dato che la guerra si è svolta a colori, può essere che su alcuni personaggi sulla neve con macchine pesantissime l’immagine è un po’ sgranata, ma anche questo è un modo di fare cinema. Eravamo molto decisi ha avere la stessa resa sul girato e con Stefano Paradiso (il direttore della fotografia ndr.) abbiamo fatto delle prove con una macchina da presa di 50 anni fa e poi lavorato tanto sul montaggio. Marco Kuweiler, con il suo staff di grafici informatici per Dowlee, ci ha offerto i programmi con cui siamo arrivati ai risultati finali. Tutto ciò ha effetto sulla comunicazione, è un linguaggio che fa sentire agli spettatori più vicini, quasi come fosse accaduto non cento anni fa ma dieci. Anche per il sonoro stereo Dolby, la colonna sonora è stata molto curata, in questo modo crea più coinvolgimento, più compenetrazione tra girato e recuperato, sto parlando di un linguaggio più adatto ai d’oggi giovani, ma non edulcorato”.
“Anche se ho fatto commedia e teatro cosiddetto intellettuale, ho avuto una nascita artistica popolare – confessa Franceschini, da “Bianca come il latte” a “La luna su Torino -, vicino alla mia terra, il mio personaggio è schietto e diretto, mi ha aiutato tantissimo la sceneggiatura per passare ad un mondo completamente diverso, mi aiutato molto anche la ricostruzione storica che è alla base di tutto, un contesto non vissuto, che non conosci sennò attraverso libri e scuola. E non conosci nemmeno i modi di pensare, di vivere allora. Ad un attore sembra di esser buttato in mezzo al ciclone e si rischia di sbagliare tutto, ma ero circondato da persone perfezioniste che hanno fatto una maniacale ricostruzione storica, qualsiasi dubbio avessi, mi è stato chiarito anche dai militari dell’arma, perché non dipende solo dallo studio ma dalla vita; il contatto con il mondo militare vero ti trasmette un modo di essere diverso. Sono interessato ai mondi diversi dal mio, così distante da me, ma fondamentale per il ruolo”.
“E’ sempre interessante avere l’occasione stimolante di interpretare un ruolo storico – ribatte Valentina Corti, reduce di ‘Un medico in famiglia’ e ‘Don Matteo’ in tivù, ma soprattutto del ‘Romeo & Juliet’ di Carlo Carlei -, emozionante indossare costumi suntuosi, la maggior parte originali del periodo, i materiale, costumi fatti con un’attenzione diversa, contrariamente ai costumi che abitualmente indossiamo. La squadra ha aiutato tutti noi attori a fare un’immersione nel miglior modo possibile, distante nel tempo vissuto e geograficamente. Io sono romana e non conoscevo nemmeno i posti dobbiamo abbiamo girato, il mio personaggio, Agnese, una fidanzatina di allora, una delle tante donne segnate dall’attesa, spesso disilluse di poter riabbracciare la persona amata, sia un marito, un fratello, qualcuno d’importante. Ho cercato di fare mio il personaggio, anche se appartengo a tutt'altra generazione, quello di una ragazza legata a questi due ragazzi, in realtà molto moderna perché piena di sogni come tante, mentre la sua vita sta per cambiare completamente, e non possono fare nulla, perché è un evento più grande di loro. I sogni sono interrotti, congelati, lei è come ibernata, tant’è che decide di andare avanti lavorando come operaia della fabbrica di aerei (quella dell’ingegnere Giovanni Caproni celebrato da Miyazaki in “Si alza il vento” ndr.), mentre gli uomini sono impegnati al fronte, l'attesa interrotta da qualche lettera o da una visita improvvisa, e pensare che tante donne hanno vissuto tutto questo”.
“Veramente non mi ricordavo nulla della Prima guerra – ribatte Francesco Martino che è l’amico del cuore della coppia protagonista - perché ce l’hanno insegnato in maniera nozionistica, forse il film servirà a non commettere lo stesso errore nel presente. Farlo diventare una cosa vera, a colori, su ragazzi che hanno avuto la vita distrutta, può spingere a studiare la storia daccapo come ho fatto io. E già la sceneggiatura è stata una lettura emozionante (Complimenti). A Rimini, ogni cadenza è un modo di vedere vita, il mio personaggio rappresenta un po' il farfallone emiliano”.
“Dopo aver fatto un film così, ti senti orgoglioso – afferma Domenico fortunato -, perché è una molla per cui ti metti a studiare un'altra volta la storia, poi Leonardo mi ha chiesto una cadenza del nord, tra Emilia Romagna e Veneto, così ho dovuto ascoltare delle persone e registrare sempre, io sono lucano di Matera - e spero diventi capitale europea della cultura -, ma in Veneto siamo stati accolti benissimo, una troupe piccola ma tutti appassionati di far bene il proprio lavoro”.
“Quando ho detto Tiberi ha questo progetto per un film, mi hanno detto 'siete dei pazzi' – confessa il co-sceneggiatore Salvatore De Mola -, ripulire e colorare in modo non retorico le vecchie immagini, ma per raccontare la Prima guerra mondiale così com'è stata non si poteva sfuggire alla realtà, come ricostruire una tela che da qualsiasi parte la tiravi faceva difficoltà. Raccontarla con la voce stessa del milite ignoto, mi ha fatto pensare al film di Brian De Palma ‘Carlito’s Way’, forse nei suoi film alla fine spero che il protagonista non muoia. Abbiamo voluto togliere la polvere da questa storia, allontanarci da tutto quello che nel cinema si è fatto sulla Prima guerra (da “Orizzonti di gloria” di Stanley Kubrick a ‘Uomini contro’ di Francesco Rosi ndr.); rivedere Kubrick non sarebbe stata una cattiva idea, ma Leonardo aveva fatto una base con le immagini di repertorio usato per poi inserire la storia, una specie di controprova reale di quello che voleva raccontare e sarebbe servito a loro per un confronto continuo con quello che si è nel 2014, avendo un resoconto reale di un secolo fa. Un film, al di là dell’aspetto didattico e documentario, di grande forza emotiva”.
“Un prodotto storiografico a tutti gli effetti – dice il professore Marco Pizzo, direttore dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano – e lo dico in quanto custode del Vittoriano, del morto più famoso della storia contemporanea. D’altra parte se il film di Kubrick si inseriva nel discorso critico verso lo establishment militare, noi volevamo utilizzare il cinema per considerare la Prima guerra mondiale come un Mario Rossi, l'uomo qualunque che ha fatto la guerra in modo inconsapevole, di soldati di cui si sono perse le tracce. Ho detto bene a Leonardo ‘fai bene ad usare il colore’, tant’è che da piccolo ho visto delle foto della Prima guerra mondiale colorate a mano, poi il bianco e nero è oggi poco appetibile, ma già allora la propaganda si faceva a colori. Da una parte il documentario, d’altra la fiction, legare le due parti ha fatto che sembri un film anni '30, l'unione di diverse fonti offre un approccio differente da parte delle tre istituzione (Luce-Cinecittà e Vittoriano) e una fruizione diversa della Storia”.
A proposito del film di Olmi, “Torneranno i prati”, Tiberi dichiara: “Sapevo di diverse iniziative sul tema, e penso che il film di Olmi sarà un capolavoro, ma siamo andati sulla nostra strada, questa miscela messa assieme ci dava indicazione molto precise, e abbiamo lavorato su un prodotto pre-confezionato in funzione cronologica che ci serviva per ricavarne la storia. L'idea è incalzante”.
“Contavo sull'abilità di Luca Onorati nel montare in maniera strettamente filologica le scene ricavate da fonti originali diverse, su un'ora e mezza di film, solo 30' di fiction e 60' dal vero, e le restituiamo dove si sono svolte veramente, sul fronte alle pendici del Monte Baldo (limite 1676), le trincee preesistente non mi hanno convinto, davano l’idea di un antico rudere. La scena veniva preparata una settimana prima, tutta la gente del posto ci ha lavorato, inclusa la Protezione civile, un entusiasmo che io dal Veneto non mi sarei aspettato, la sensazione è stata di un evento unico. Abbiamo girato in parte in una cittadina per l’interno della casa di Mario, gli esterni a Verona e Villafranca, il treno ci è stato dato come partecipazione dalle FFSS, e abbiamo girato in Toscana. Il repertorio proviene dall'Archivio Luce, ma non è tutto suo, ma anche provenienti da donazioni o dati in affidamento al Luce, come quelli dell’archivio fotografico del cineoperatore Luca Comelio, altri dal reparto cinefotografico dell’esercito o da acquisizioni fatti a Belgrado, o dell’Archivio Serbo, soprattutto riguardo la parte di Sarajevo, le scene col Papa e la regina. Alcune scene sono tratte da ‘Camice nere’ di Achille Forzano. Quella della corazzata che si capovolge è stata girata dagli stessi austriaci, che non immaginavano di uscire dal mare sconfitti dal grande Luigi Rizzo, ed è stata girata da una nave gemella della Santo Stefano e poi ritrovato dalla Marina italiana, che l’ha usata per una fiction sul vero Rizzo e tutto l’equipaggio e ricostruita da loro stessi. La parte fiction, dopo le solite prove del casting, è stata girata in due settimane e poi è stato molto una fase di montaggio molto faticosa e la postproduzione, nell'arco di 10 mesi”.
“E’ stata fondamentale il contributo di Banco Desio (ai sensi delle norme sul Tax Credit ndr.) che ci ha aiutato chiudere il budget – dichiara Maurizio Tedesco, produttore col fratello Manuel -, ente accetta. Il 24 maggio il film andrà in onda su Raiuno. Leonardo ha capito di fare film sulla Grande guerra, e poter raccontare l'inizio, ed eravamo avvantaggiati sugli altri. Il fatto che fosse una sorta di lezione di storia, poi ha pensato al rapporto dei ragazzi col cinema, colorando le immagini in BN. Infatti, mio figlio ha sempre respinto il bianco e nero, in questo modo il film è ‘molto facile e fruibile. E anch'io mi cimenterò portandolo in venti caserme italiane il 20 novembre con ragazzi fantastici”.
“Il film fa parte di quello che facciamo quotidianamente per dare valore all’archivio e mantenerlo vivo – conclude Maura Cosenza delegato di produzione del Luce -, come la Mostra sui 90 anni del Luce (proprio al Vittoriano di Roma e poi a Torino ndr.), altrimenti resta nelle teche e nei magazzini. I passi fondamentali di questa pagina è che ho comprato i diritti ancora prima che fosse girato, sulla carta, perché offre emozioni”.
E Tiberi chiude confessando: “Il titolo è di mia moglie, l’ispiratrice dell’intero progetto”.
José de Arcangelo
(2 ½ stelle su 5)
Dal 16 ottobre distribuito da Istituto Luce - Cinecittà
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