mercoledì 8 ottobre 2014
"Io sto con la sposa" di Del Grande, Augugliaro e Al Nassiry, un matrimonio finto per concludere felicemente una vera, tragica, odissea
"Io sto con la sposa", un documentario – anzi una docu-fiction - che diventa la vera avventura di un viaggio della speranza. Toccante ed emozionante, divertente ed allegro, per raccontare un matrimonio finto come felice conclusione di un’odissea vera. Infatti, il film di Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande e Khaled Soliman Al Nassiry racconta la storia del loro vero percorso per raggiungere la destinazione, (quasi) tutto lasciato all’improvvisazione e al ‘caso’.
Un poeta palestinese siriano e un giornalista italiano incontrano a Milano cinque palestinesi e siriani sbarcati a Lampedusa in fuga dalla guerra, e decidono di aiutarli a proseguire il loro viaggio ‘clandestino’ verso la Svezia. E per evitare di essere arrestati come contrabbandieri o altro, decidono di mettere in scena un finto matrimonio coinvolgendo un’amica palestinese che si travestirà da sposa, mentre una decina di amici italiani e siriani si travestiranno da invitati.
Così mascherati, attraversano mezza Europa, in un viaggio di quattro giorni e tremila chilometri carico di emozioni e sorrisi, scaturiti attraverso le storie e i sogni dei cinque clandestini, ancora in fuga, e dei loro speciali ‘contrabbandieri’, alla scoperta di un’Europa sconosciuta anche a noi. Transnazionale, solidale e goliardica che riesce a farsi beffa delle leggi e dei controlli della Fortezza con una mascherata che ha dell’incredibile, visto che altro non è che il racconto in presa diretta di una storia realmente accaduta sulla strada da Milano a Stoccolma tra il 14 e il 18 novembre 2013.
Passato in anteprima – fuori concorso – nella sezione Orizzonte del 71° Festival di Venezia, e prodotto da Gina Films, DocLab e 2617 Produttori dal basso, “Io sto con la sposa” è stato presentato a Roma in vista dell’uscita in sala dal 9 ottobre.
“E’ nato dalla voglia di far qualcosa – esordisce Antonio Augugliaro -, quando abbiamo saputo dei due tragici naufragi di Lampedusa siamo rimasti molto scossi. Gabriele e Khaleb parlano palestinese, così andavano in stazione per capire in che modo vengono organizzate le cose a Milano, visto che i siriani vi arrivano per raggiungere l'Europa, ma nessuno di loro vorrebbe restare in Italia. Quando incontrarono Abdallah e ha chiesto loro ‘dove parte il treno per la Svezia?’, gli hanno offerto un caffè e così ha raccontato che era passato in mare l'11 ottobre. A quel punto si discuteva, cosa facciamo perché si tratta di una situazione insostenibile. Ognuno diceva qualcosa: fare un finto autobus con finti cinesi, o finte suore. All'idea della sposa mi sono subito innamorato dell'immagine di lei accompagnata da un corteo. Dicevano sei matto, dovremmo noleggiare un’auto, trovare dei posti dove dormire durante la notte. E’ stato un viaggio costoso durato 4 giorni, ho dormito 3 ore a notte, ma siamo riusciti a portare cinque palestinesi in Svezia senza dover passare da contrabbandiere, e la richiesta di nazionalità persa per strada”.
“Non abbiamo passati mesi a scrivere, ma a cercare un finanziamento – spiega Gabriele Del Grande, scrittore e giornalista fondatore dell’osservatorio Fortress Europe -, dopo ci è venuta in mente l’immagine della sposa, dei rischi presi, la consulenza di un amico avvocato per capire quanti anni rischiavamo perché è un reato aiutare i clandestini, però abbiamo deciso di farlo lo stesso. Chi come me è stato Siria conosce la situazione, se sono tornato è per aiutare tramite Fortress, non è fiction, perché Abdallah doveva arrivare il prima possibile in Svezia per chiedere asilo e portare fuori dalla guerra la famiglia, i figli. Tutto perfettamente in linea con il progetto, arrivati i soldi per poter pagare il contrabbandiere lui ha avuto più fiducia, e disse ‘voglio raccontare la mia storia, mi serve dire quello che ho visto in mare, non mi riconosco’. Era sotto shock perché un mese dopo era stato tirato fuori tra i morti in mare. Alla fine ha detto: ‘mi sono sentito me stesso, capace di fare divertirmi sorridere ubriacarmi, non più un numero su tanti’.
“Abbiamo deciso di andare nei centri d’accoglienza – riprende Antonio - a chiedere chi volesse fare un film, inscenare un finto matrimonio, ‘ok’ ci dicevano e poi partivano alla ricerca di contrabbandieri. La prima versione durava 2 ore e venti minuti, poi la montatrice (Lizi Gelber ndr.) mi ha aiutato a ridurlo ad un'ora e mezza, era come tagliare un pezzo di memoria. Quando siamo tornati dal viaggio abbiamo passato una settimana buona a non proferire parola. C’è stata una grandissima atmosfera, tanta energia per riuscire a fare il viaggio e far uscire l’intimità di qualche personaggi”.
“Non abbiamo girato a casaccio – prosegue -, dato che ho un’esperienza di 15 anni (attualmente lavora per Sky e Discovery ndr:), e prima di partire ho fatto una sorta canovaccio, ho pensato a creare delle situazioni intorno ai personaggi che venissero meglio di altre; le sorprese del passo di Manar a Marsiglia (la scena del muro in cui Abdallah scrive la sua storia ndr.) è stata piuttosto improvvisato, anzi spontanea, tant’è che secondo me non eravamo riusciti a girare niente, anche perché nessuno parlava arabo tranne Gabriele, non sapevamo cosa stesse succedendo nelle altre macchine e nemmeno lì. Poi, tornando, è riuscito a raccontarci quello che era successo, infine l’abbiamo visto ‘tradotto’, e abbiamo riso e pianto tanto, rendendoci conto di quello che era successo veramente”.
“Il sogno è l'idea di questo film – ribatte Gabriele -, cambiare l’estetica della frontiera, passare dal raccontarci a gli altri che raccontano noi. Questo gruppo di amici - ci sono italiani palestinesi siriani – ed altri che arrivano direttamente sul nostro mare, sono nostre genti nostri morti; non volevamo fare un film sugli 'altri', la cosa straordinaria è che c’è tutto un mondo di sensibilità lì. Il Mediterraneo che può, più che denunciare racconta una bella storia, alla fine arrabbiano non invitato anche loro. Quanto è bello il mondo che abbiamo reso possibile, dimenticare le frontiere e raccontare l’odissea di gente che condivide lo stesso mare, con la leggerezza e l’ironia della mascherata; quindi, qualcosa di bello”.
“E abbiamo scoperto di non essere stati i primi – aggiunge –, nel 1943, degli ebrei per attraversare la frontiera senza destare sospetti, avevano inscenato un finto matrimonio con sposa, amici, festa fino all'alba sul Lago Maggiore e poi passarono in Svizzera. Se il diritto non è sempre neutro, le leggi si cambiano; il nostro è un atto provocatorio per invitare alla riflessione; loro non hanno altra legge che quella della nostra immobilità: paghiamo le spese di Mare Nostrum perché la nostra ambasciata chiude le porte a quella stessa gente. Infatti, Abdallah ha fatto metà viaggio via mare e per fortuna non è morto, altri sono rimasti in Turchia, bisogna cercare una soluzione a monte”.
“Chi ha il coraggio civile di prendersi i suoi rischi – dice Antonio -, pensa che tutto questo ha un valore, come quando si faceva la lotta per la legge sul divorzio e l’aborto, che oggi ci sembrano normali. E’ lo spirito di solidarietà collettiva con cui hanno saputo unirsi al di là dell’ideologia verso qualcosa che ci ha resi migliori. Questo film, secondo me escono felici di aver partecipato qualcosa di valore al di là semplice divertimento dello spettacolo. Credo che intorno al film si crei un passaparola, un senso di solidarietà nel credere in un ideale che ci accomuni, è la battaglia in comune che ha spinto CineAma a fare lo sforzo di farlo uscire”.
“Crediamo molto nel pubblico – prosegue - ma non abbiamo mirato né all’affissione né ai flani pubblicitari, deve crescere col passaparola, abbiamo concentrato il termine delle sale a 23, a Roma, Eden e Nuovo Cinema Aquila; a Napoli, Modernissimo; poi Milano, Firenze e allargare il più possibile e contiamo su una tenitura lunga. Una distribuzione dal basso, raccolto donazioni dalle associazioni in cambio delle proiezioni (tra i produttori-donatori ndr.), sono previsti 23 eventi ad ottobre, e sono in attesa più di 16mila persone chi si sono ‘prenotati’ su Facebook. Siamo abbastanza fiduciosi. Le proiezione nelle associazioni assicurano più di 80 persone tutte vogliose di un po' di battaglia d’impegno civile. A Venezia sono rimasti cento fuori dalla porta, la voglia e la curiosità sono tanta, forse per il valore simbolico, incuriosisce il fatto della sposa e Lampedusa, che per molte persone è un pugno sullo stomaco perché si blocca un sogno collettivo con centinaia di morti al giorno”.
“Non c’è stata nessuna reazione dalle istituzioni – afferma Gabriele - e per i parlamentari europei abbiamo organizzato una proiezione a Strasburgo, pensiamo di farlo diventare un caso, e dobbiamo ringraziare la stampa in generale, italiana ed estera, perché intorno ad un piccolo film c’è stata una copertura superiore di quanto ci aspettavamo. Credo si stia cominciando ad entrare in una sorta di coscienza collettiva dell’argomento. Abbiamo portato anche ‘la sposa’ (un’ottantina di ragazze vestite da sposa ndr.) sul Red Carpet, tant’è che quando il nostro musicista ha dimenticato lo zaino si è parlato di una bomba ed è diventato un caso con controlli per tre; poi un omaggio ai caduti lanciando bottiglie in mare con sms per i morti”.
“Vista la fatica accumulata quello che vorrei è una vacanza – chiosa Antonio –, però progetti ne ho tanti”.
“L’uscita in sala ci impegnerà ancora per vari mesi – riprende Gabriele -, soprattutto per far circolare il film nel mondo, partecipare all’IDFA di Amsterdam, per aprirci ai mercati televisivi e cinematografici europei; al Dubai Film Fest, per parlare al di là del Mediterraneo di questa piccola produzione per cui stiamo lavorando come dei pazzi da mesi, spingerla oltre il nostro coinvolgimento. E’ tutto assolutamente vero, ‘il muro, il passaggio della frontiera a piedi, anche con la memoria dei nostri, nel ‘62, in quella casa diroccata, era finito un italiano, gente di tutto il mondo, tutti quelli che vi dormivano la notte prima di passare il confine lasciavano un messaggio’. Avevamo già viste le scritte, i nomi, e vi abbiamo portato Abdal senza sapere cosa poteva venir fuori. Lui ha trovato un carboncino in terra, e a quel punto abbiamo improvvisato, preso di corsa le telecamere, dopo 12 ore di macchina al giorno. Partivamo con una cosa spontanea e, alla fine tutti erano commossi, persino l’operatore aveva i lacrimoni anche se non capiva quello che diceva. Bastava un niente, l’emozione si respirava, perciò poi c’è stata la festa a Marsiglia”
“E’ il racconto di un’umanità che si distacca dal pietistico sguardo dei consueti documentari – conclude Antonio -, volevamo venisse fuori un ‘noi’, ricreare un mondo da sogno attraverso un film, raccogliendo il messaggio di Hemingway: Non chiederti mai per chi suona la campana, essa suona anche per te”.
José de Arcangelo
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento