venerdì 21 novembre 2014

"Adieu au langage", ad oltre cinquant'anni di carriera e ottanta di età Godard è ancora e sempre l'instancabile e provocatorio Godard

Nonostante abbia superato gli ottant’anni (il 3 dicembre ne compie 84) e cinquant’anni di carriera, Godard è sempre Godard, anzi con “Adieu au langage” l’instancabile maestro francese colpisce ancora. Il suo cinema ‘sperimentale e provocatorio’ non cambia, appunto, casomai si adegua ai tempi che corrono, ma continua a ‘infrangere le regole’ del cinema come fin dalla sua, folgorante, opera prima “Fino all’ultimo respiro” (1960), un film che davvero toglieva il fiato allo spettatore rivoluzionando il cinema mondiale, partendo proprio dalla narrazione e dal linguaggio cinematografico, appunto.
Vero apripista della Nouvelle Vague – insieme al François Truffaut dei “400 colpi” -, Jean-Luc Godard è stato uno degli autori più prolifici (con Claude Chabrol) e indiscussi della (anti)scuola francese che ripudiava il ‘cinema di papà’, il mitico Jean-Luc ha rivisitato i generi (da “Made in Usa” ad “Alphaville”) e/o ispirandosi e citando classici della letteratura (dalla ‘Nanà” di Emile Zola in “Questa è la mia vita” a “Il disprezzo” da Alberto Moravia nel film omonimo) per finire negli anni Settanta nel cosiddetto cinema militante (da “Due o tre cose che so di lei” a “La cinese” e “Crepa padrone tutto va bene”).
Premio della Giuria al Festival di Cannes, “Addio al linguaggio” fin dal titolo fa i conti con le nuove tecnologie partendo dall’uso volutamente disturbante e dissacratorio, soprattutto per lo spettatore che deve, come di solito con le sue pellicole, essere attento al fluire continuo di immagini e parole (riferimenti e citazioni, ora letterarie ora filosofiche, ma non solo).
Fedele al suo principio per cui la sceneggiatura non è altro che un soggetto di poche righe, e perciò va scritta sul set con le riprese, è impossibile raccontare una ‘trama’ che in realtà non c’è, ma quello che conta sono i personaggi (le persone) che pian piano compaiono, compiono delle azioni e dicono delle cose. In questo caso, una donna sposata e
un uomo s’incontrano (e saranno quasi sempre nudi), fanno l’amore, discutono, volano i pugni; poi compare un altro uomo, parallelamente un cane percorre città e campagna, le stagioni passano, l’uomo e la donna s’incontrano di nuovo, l’ex marito distrugge tutto e, forse, un secondo film comincia… “eppure no, dal genere umano si passa alla metafora, finirà con degli abbaiamenti e dei pianti di neonato”, Godard dixit.
Il tutto (in soli 70 minuti) scritto, narrato, diretto e montato dallo stesso maestro che passa dalla realtà alla metafora, dalla razza umana alla modernità, introducendo il film con una scena in cui tutti o quasi sono alle prese con un pullulare di cellulari, ipod, tablet e tecnologicamente dicendo, tranne che parlare fra loro, e si procede citando personaggi e artisti illustri, da Proust a Mary Shelley, da Duchamp a Monet. Non solo.
Sicuramente si tratta ancora e sempre di un ‘film d’autore’ tout court e chi non ama il vecchio (solo all’anagrafe) né il suo cinema, o non vuole essere ‘trasportato’ in un viaggio che costringe ogni spettatore a diventare attivo e riflessivo, ad interpretare e pensare di fronte ad un gettp continuo di immagini (dalla dissolvenza alla sovrapposizione) ed idee, è costretto ad evitarlo. Come dice lo stesso Godard “rinunciate alla libertà ed ogni cosa vi sarà restituita”. Forse. Il cinema (e ogni linguaggio) è morto; viva il cinema (di Godard)!.
Nel cast Héloise Godet (Josette), Kamel Abdeli (Gédéon), Richard Chevalier (Marcus), Zoé Bruneau (Ivitch), Jessica Erickson (Mary Shelley), Alexandre Païta, Jean-Philippe Mayerat, Florence Colombani, Nicolas Graf, Christian Gregori (Davidson), Marie Ruchat, Jeremy Zampatti, Daniel Ludwig, Gino Siconolfi, Isabelle Carbonneau, Alain Brait, Stéphane Colin, Bruno Allaigre. José de Arcangelo
(3 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 20 novembre distribuito da Bim Film (a Roma in 2D, a Milano, Firenze, Bologna in 3D, e a Torino dal 1° dicembre in 3D)

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