venerdì 21 novembre 2014
"Diplomacy - Una notte per salvare Parigi", il maestro tedesco Volker Schloendorff indaga nei meandri del potere, della guerra e della mente
Dallo spettacolo teatrale omonimo di Cyril Gely “Diplomacy”, un coinvolgente dramma ‘da camera’ sul filo del thriller, in bilico tra Storia e finzione, tra verità vera e presunta, tensione ed emozione. Presentato al 64° Festival Internazionale di Berlino, il film è una riflessione su potere e dovere, etica e morale, sul dilemma della guerra e l’utopia della pace, sul dialogo che può/potrebbe cambiare la Storia e l’intera esistenza umana. Sulla ‘diplomazia’, come da titolo. Tutto in una notte, fino all'alba.
E lo firma un altro maestro, stavolta del ‘Nuovo cinema tedesco’ anni ’70-’80, Volker Schloendorff che torna alla carica, come l’ottantenne, attivissimo, Godard. Però l’autore tedesco ha sempre preferito la riflessione alla provocazione, l’impegno senza clamore alla militanza, ma con grande intensità, tra psicologia e sentimento, Storia e quotidianità contemporanea. Basta nominare tre titoli come l’opera prima “Il giovane Torless”, “Il caso Katharina Blum”, firmato con Margarethe von Trotta, allora sua moglie, e “Il tamburo di latta” che vinse la Palma d’oro al Festival di Cannes e poi il premio Oscar per il miglior film straniero.
Infatti, lo spunto è il medesimo del kolossal ‘all stars’ anni Sessanta firmato dall’illustre René Clement, “Parigi brucia?” (1964). Il 25 agosto del 1944, gli alleati entrano a Parigi. Poco prima dell'alba, il generale tedesco Dietrich von Choltitz (Niels Arestrup), governatore militare di Parigi, si prepara ad eseguire gli ordini di Adolph Hitler, radere al suolo la capitale francese.
Il drammaturgo Gely, dopo approfondite ricerche è riuscito a scoprire che i due uomini si erano incontrati e affrontati più volte, l’ultima proprio tra il 20 e il 24 agosto per negoziare uno scambio di prigionieri politici tedeschi con prigionieri della Resistenza francese che funzionò molto bene, tant’è che si erano poi accordati per una sorta di cessate il fuoco. E si sa anche che ponti e monumenti erano tutti stati minati e pronti ad esplodere, però sappiamo anche che, per fortuna, Parigi non è stata distrutta.
Per quali ragioni von Choltitz si rifiutò di eseguire gli ordini del Führer, nonostante la sua lealtà senza limiti per il Terzo Reich? Sarà stato il diplomatico svedese – nato però nella capitale francese - Raoul Nordling (André Dussollier), console generale a Parigi, a fargli cambiare idea? Probabilmente, l’ha spinto a riflettere, a dubitare e a valutare la possibilità di non eseguire gli ordini.
“La fiction gioca un ruolo fondamentale nel film – afferma Schloendorff che firma la sceneggiatura con lo stesso autore del testo teatrale -, ed è ciò che mi interessava di più. Alcuni fatti sono realmente accaduti e Cyril Gely li ha usati come punto di partenza: i due uomini si conoscevano realmente e avevano parlato del destino ultimo di Parigi. Ecco perché gli alleati avevano utilizzato il Console come tramite con Von Choltitz, chiedendogli di recapitargli una lettera, probabilmente scritta dal generale Leclerc, che conteneva una proposta per il Generale di abbandonare la città e liberarla senza distruggerla. Come mostrato nel film, il Generale Von Choltitz probabilmente respinse l’ultimatum. Abbiamo strutturato la narrazione partendo da alcuni fatti storici e cercando di capire lo stato d’animo del generale tedesco. La camera d’albergo con il passaggio segreto e la scala nascosta attraverso la quale passava l’amante di Napoleone III, sono una pura invenzione. Ho preferito alleggerire i toni e svincolarmi dalla fedeltà ai fatti. Inoltre, al contrario che in teatro, sullo schermo è necessario un punto di vista, sapere chi sta raccontando la storia e il motivo per cui la sta raccontando. In questo caso poteva farlo solo il Console”.
“Ecco perché il film inizia con una sua passeggiata di notte per le strade di Parigi – conclude -, ossessionato dalle immagini della distruzione di Varsavia e torturato da una domanda assillante: come convincere il generale ad evitare di far eseguire l'ordine di distruzione firmato da Hitler il giorno prima. Senza scrupoli. Se Parigi è in pericolo, tutto è lecito.”
E il regista riesce, nonostante un’ambientazione claustrofobica e un impianto teatrale, a dare ampio respiro alla storia, aiutandosi con il lavoro di due grandi attori che si affrontano e si confrontano in un vera sfida armati di parole e gesti, dialogo e discussione, messi in risalto da inquadrature ravvicinate e intensi primi piani. Il fascino, la storia e l’arte di Parigi sono palpabili perché la ville lumière si fa sentire dentro quell’hotel, invadendo l’atmosfera attraverso le portefinestre, irrompendo sopra i tetti dove si stagliano il Louvre, il Grand Palais, le Sacré-Coeur e l’Opera. E’ lei la terza protagonista, per cui parteggiamo anche se sappiamo che è rimasta ‘viva’, ieri come oggi.
Sono comprimari Burghart Klaussner (Capitano Ebernach), Robert Stadlober (Tenente Bressensdorf), Charlie Nelson (portiere d’albergo), Jean Marc Roulot (Jacques Lanvin), Stefan Wilkening (Caporale Mayer), Thomas Arnold (Tenente Hegger), Lucas Prisor (ufficiale SS1) e Attila Borlan (ufficiale SS2). La fotografia è firmata Michel Amthieu, mentre le scenografie da Jacques Rouxel, i costumi da Mirjam Muschel e il montaggio da Virginie Bruant.
José de Arcangelo
(3 stelle su 5)
Nelle sale italiane dal 21 novembre distribuito da Academy Two
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