martedì 4 novembre 2014
Ermanno Olmi sul grande schermo di tutto il mondo con "Torneranno i prati", una toccante opera sul dolore della guerra senza un perché
Un film sull'assurdità della guerra, “non realistico ma evocativo”, realizzato in occasione del centenario dell’inizio della Grande guerra, che Ermanno Olmi costruisce prendendo spunto dalla frase del pastore Toni Lunardi: “La guerra è una brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai” e partendo dai racconti del padre sulla guerra dove era stato, e a lui dedicato.
L’autore, rimasto bloccato in ospedale a Milano per degli accertamenti dopo una brutta polmonite, ha mandato per la conferenza stampa un video dove fa delle riflessioni e ci parla del film “Torneranno i prati” che - dopo la presentazione in anteprima il 4 novembre in quasi 100 paesi, promossa dalla Struttura di Missione per gli anniversari di interesse nazionale della Presidenza del consiglio - approderà in sala il 6 novembre, distribuito da O1 in più di cento copie.
“Mi avete sempre posto una domanda cardine: perché ha fatto il film? Il perché uno non lo sa, di solito è per una sorta di stordimento, come quando ci si innamora, un pre-sentimento che poi si trasforma. Non è stato così stavolta, ma bensì la proposta di fare un film (da Rai Cinema tramite Cecilia Valmarana ndr.) sulla Prima guerra mondiale, e il primo pensiero è andato a mio padre che mi raccontava la sua vita da soldato durante la guerra; è nato dalla percezione della realtà da bambino, ma allora non avevo capito che con quella guerra era stato compiuto un grande tradimento nei confronti dei giovani, dei civili, di milioni di persone alle quali non hanno spiegato perché sono morti a migliaia. Ma si sa, coi morti e con i bambini non si può barare. Li abbiamo traditi, ma non possiamo celebrare se prima non sciogliamo questo nodo d’ipocrisia, che diventa vigliaccheria, restare sempre nella fascia neutrale è già un tradimento. Mi auguro che per il centenario, con riflessioni sul tradimento si trovi motivo quantomeno per chiedere scusa. Ho in mente un ammonimento di Albert Camus: ‘Se vuoi che il pensiero cambi il mondo, prima devi cambiare te stesso’. Infatti, se il il proposito è cambiare il mondo, prima dobbiamo cambiare noi stessi”.
“Erano andati a combattere per la patria, ma trovarono l’emozione di una guerra seppelliti sotto la neve, mentre intorno la natura celebra la vita, e quando tutto sarà finito, lì dov’è morta tanta gente torneranno i pascoli come se nulla fosse accaduto. Ecco li, la natura dà l’idea dell’alleanza, le immagini parlano da sole, agli attori ho detto di reagire misurando il più possibile il colore, al di là del vostro tempo drammaturgico, le indicazioni erano sulla poesia, perché l’idea di patria oramai si è disciolta nel corso della storia, credo non esista più, l’amore per la terra dei padri a cui i giovani avevano creduto per poi constatare che era stata una grande bugia, una truffa. Cosa è stato il pensiero dell’uomo? Una dimostrazione di consapevolezza verso un gesto di grande viltà basato sul fondamento della cultura, del progresso tecnologico e scientifico per produrre morte, ora rischiamo più che mai un’esplosione di inciviltà. I nemici non sono nella trincea di fronte, ma quelli che ti hanno mandato a colpire altri come te”.
“Ermanno credo sia un luminare – esordisce Claudio Santamaria, il volto più noto, nel ruolo del maggiore -, lavorare con lui è come lavorare col Dalai Lama. Sul mio primo dialogo mi diceva: ‘veniamo al sodo, perché sei venuto qua?’, e fino all'ultima battuta, ‘parlate di questo fatto come strategia militare pura e semplice, perché non è un film sulla guerra, ma sul dolore della guerra, il dolore per quelli che moriranno o sono già morti. E’ capace di tenerti sul filo di lana, sottile e fragile, non vuole attori ma esseri umani. Un’esperienza vera, profonda, instaura un rapporto molto intimo con gli attori, tirando fuori la loro parte poetica, attraversati dall’idea di avere intorno delle persone che possono morire da un momento all'altro. ‘Quando parlate guardatevi negli occhi perché è l’unica gioia, potreste morire e bisogna guardarsi veramente’. E’ un film sul dolore della guerra, in cui i giovane si ritrovano senza sapere perché, è un invito alla presa di consapevolezza, di coscienza.”
“E’ stata la mia prima esperienza – ribatte Francesco Formichetti, il capitano -, dopo un inizio a piccoli passi, track, arriva la batosta, lavorare con Olmi, però questo mi ha permesso di vivere un’esperienza di vita e professionale che non mi sarei mai aspettato. Non avrei mai immaginato un lavoro di una difficoltà enorme ma, a parte il ruolo del capitano, tutti i santi giorni dovevo portare le lenti a contatto per avere gli occhi arrossati dalla febbre, però c’era una tale concentrazione che freddo lenti polvere svanivano; sia con modi irruenti o delicati Olmi ti sa guidare sulla strada giusta. All’inizio è stato difficile poi pian piano ho raggiunto la sicurezza. ‘Tira fuori il capitano che hai dentro, continua a stare sulla strada della rassegnazione e del dolore. Tornati in albergo ancora per due ore avevamo addosso quella emozione, uno strappo dentro di te, per niente forzato”.
“Io o piango o canto – confessa Andrea De Maria, il conducente di mulo -, dall'inizio delle riprese fino a quando si sono accese le luci dopo la proiezione ho pianto. E’ la prima cosa che ci veniva dal cuore, è difficile spiegare la poesia che Ermanno è riuscito a tirar fuori. La prima volta sul set piangevano tutti, poi ho capito e mi sono messo a piangere anch'io. Il mio personaggio è abbastanza poetico, Olmi mi disse ‘tu sei l'unico che vince guerra, vai’; non c'erano altre parole. E’ il modello ideale di pace, si parla di piccole tregue, in cui cantavano tutti, soprattutto a Capodanno. Le canzoni le ho registrato in montagna di notte a duemila metri, con le stelle in bocca. Ermanno era in macchina con le cuffie. Finita la canzone (‘Tu ca nun chiagne’, ndr.) mi abbraccia e mi dice: se il mondo ricominciasse a cantare canzoni napoletane tutto tornerebbe a funzionare”.
“Una grandissima intensità – dichiara Alessandro Sperduti, il tenentino -. Un giorno, dopo cena, mi hanno detto ‘Ermanno ti deve parlare’, e mi sono chiesto che succede adesso. Olmi mi disse ‘Da questo momento in poi sappi che tu devi prendere il commando. Hai paura spero, quando tu vai sugli sci se hai paura è matematico che cadi, sul set devi avere ancora paura. Sei trascinato in un posto di emozione pura, senza nessuna costruzione in testa, e con tenacia e dedizione assoluta ho tolto tutto. Alla fine, ro stremato, ma è stata un'esperienza unica, dal primo all'ultimo giorno, come vivere una magia”.
“Sono stato fortunato perché è il secondo film con Ermanno, dopo ‘Cantanto dietro i paraventi’ – afferma Camillo Grassi, l’attendente -, è il modo di lavorare di lui, io faccio molto teatro, e facendo cinema con Olmi, apparentemente possono sembrare due mondi separati, lontani, invece con Ermanno andiamo all’essenza, e il modo di approcciare il lavoro è identico. Gli attori sono anime che si mettono a disposizione e in sintonia con un grandissimo direttore d’orchestra. Al diavolo le battute e ogni cosa, ci vuole una disponibilità totale e umana, tutto è dentro di noi, non c’è niente di esteriore. Anche nella costruzione del film mette tutti in condizioni molte difficoltose. Un gruppo di soldati in trincea, solo se veniva fatto li a 1800 m di altezza; la poesia viene fuori nel percorrere la strada, nella magia che pone a tracciarla. Tu sei lo sguardo del popolo – mi diceva -, uno di poche parole, pieno di tutto il resto”.
“E’ stata una battaglia, non in senso negativo ovviamente – conferma Elisabetta Olmi, la figlia produttrice -, ma con grandi sentimenti, la truppa ha risposto al nostro capitano con tanti stimoli e sentimenti, nessuno si è tirato indietro né lamentato, nonostante le avversità; uno stimolo a continuare, venuto anche dalle comparse. Merito tutto di Ermanno - i coproduttori ci hanno fornito i giubbotti per cui eravamo protetti - che ci ha condotto perbene. L'impresa è stata messa in difficoltà dalla quantità di neve caduta, in misura anomala, ma si vede il grandissimo effetto sulle immagini, ma il film è stato girato nei tempi previsti, in modo assolutamente eccezionale, date le condizione atmosferiche”.
Infatti, le trincee sono state ricostruite in località Dosso di Sopra Val Formica - Cima Larici, a 1800 mt. Gli interni trincea a Sant’Antonio e a Via Villa Rossi - Valgiardini, a 1100 mt. Altre riprese all’Altopiano dei Sette Comuni - Asiago, Vicenza.
“Uno sforzo produttivo molto importante – dichiara Paolo Del Brocco di Rai Cinema -, perché possiamo vedere in tivù tutti i giorni la guerra, ma dove tutto viene spettacolarizzato, mentre il film indaga anche sull'uomo, nel più profondo, ed è più di altri necessario”.
“E’ stato interamente girato in pellicola – chiarisce il regista Maurizio Zaccaro, già allievo e qui collaboratore alla regia di Olmi -, la decisione è stata presa da noi, dopo una serie di riflessioni. Essendo un film di Olmi, abbiamo concluso che la pellicola riesce a conservarsi più del digitale, son convinto che il digitale avrà dei problemi, non solo perché le riprese dello storico sbarco sulla luna è ormai diventato una nebulosa. Dopo lo sviluppo abbiamo fatto in digitale la color correction, come se fosse il backstage del Gladiatore, e lavorato sul finale”.
“Sapete tutti qual è la nostra collaborazione – prosegue - visto il percorso ben preciso fatto fin qua, la somma finale della sua esperienza valica le frontiere stesse del cinema verso nuovi territori narrativi, siamo su un altro pianeta, ed è sempre un piacere vedere giorno per giorno come viene costruito un suo film, mi basta un’occhiata per capire cosa vuole. All’improvviso si sono aperte nuove frontiere, un’esperienza rarissima che ti porta a crescere, non vuol dire che farei cose come fa lui perché è devastante, ma ci sono altre possibilità, oltre a quelle che usiamo quotidianamente e regolarmente”.
E, infine, aggiunge: “Prima del film, avevo girato un documentario ‘Come voglio sia il mio futuro’, dentro c’era la storia di un ragazzo di 18 anni di Asiago, che nei boschi lavorava tra i recuperanti, quelli che ricercano pezzi di armi, divise, ma anche cose pericolose, c'è un po' l’origine, perché la storia non è finita, fino all'altro ieri c’è stato un incidente per una bomba inesplosa. Restano tracce di quello che stato a 1800 m, un luogo frequentato da sciatori verso valle sopra Trincia, infatti, sotto c'era stata una Grande guerra e un numero imprecisato di morti, e ha lasciato delle tracce”.
“Il messaggio per tutti quanti – chiosa Sperduti - è di non far svanire il sacrificio di persone che non erano state nemmeno sentite, in una guerra programmata, e tutti in trincea erano contadini e giovanissimi.
“La cosa bella di questo film – dice De Maria - è che noi siamo stati come fratelli bisognosi di raccontare le emozioni e la tragedia di persone morte per qualcosa che non le riguardava”.
“E’ giusto ricordare una guerra che riguarda 100 anni – aggiunge Formichetti -, vedere il tradimento, saperlo riconoscere, e farci ragionare meglio per ponderare meglio tutte le guerre”.
“E’ costato 3milioni e 200mila euro – conclude il produttore Luigi Musini -, è un film molto importante, e abbiamo fatto un grande sforzo per farlo arrivare nelle scuole in questi anni del centenario”.
Mentre la Edison s.p.a., che ha collaborato al film applicando il protocollo Edison Green Movie, ricorda il “grandissimo legame con Olmi, che all’inizio carriera ha lavorato sulle dighe, puntando l’attenzione dei documentari sulla fatica dell'uomo, sull’incontro tra persone di diverse origini. Nello specifico si è trattato di applicare le regole del protocollo mettendo particolare attenzione all’uso dei materiali per le trincee - da cui è rimasto un percorso turistico -, la raccolta differenziata, ecc”.
José de Arcangelo
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