giovedì 6 novembre 2014

"Interstellar" di Christopher Nolan, un (deludente) viaggio tra vari sistemi solari attraverso un cunicolo spazio-temporale (wornhole), per Matthew McConaughey

Ambizioso ma deludente l’attesissimo nuovo kolossal esistenzial-fantascientifico di Christopher Nolan, apprezzato autore di film indimenticabili, da “Memento” a “Inception”, passando per la trilogia del “Cavaliere oscuro”.
Infatti, stavolta il regista non riesce a trovare l’equilibrio tra dramma familiare e avventura fantascientifica, tra film d’autore e blockbuster. Conquistano e coinvolgono le immagini che ci conducono in un viaggio tra sogno e incubo senza fine, ma Nolan – col fratello sceneggiatore Jonathan - non riesce a evitare stereotipi né di cadere in contraddizioni ‘scientifiche’, anche quando ha avuto la collaborazione del fisico teorico Kip Thorne riguardo la possibilità di viaggiare tra vari sistemi solari attraverso un cunicolo spazio-temporale (wornhole), e che costituisce la spina dorsale scientifica dello script. Inoltre, una lunghezza eccessiva (168’) – secondo noi non del tutto necessaria – e una sorta di post finale in regola col cinema hollywoodiano, non convincono del tutto, anche perché mancano le vere 'emozioni'.
L’ex pilota Cooper (un sempre sorprendente Matthew McConaughey, fresco di Oscar per "Dallas Buyers Club") collaudatore ed ingegnere formato secondo le regole delle Giovani Aquile che sfidano continuamente i propri limiti aspirando ad aprirsi una strada nella galassia, dopo una grave crisi che ha decimato l’approvvigionamento mondiale di cibo, è stato costretto a dedicarsi totalmente allo sfruttamento della terra con l’unica coltura praticabile: il mais. Insomma, a fare l’agricoltore ed a occuparsi dei figli, insieme allo suocero Donald (John Lithgow).
Ma, quasi per caso, Cooper scopre un gruppo scientifico che sta preparando l’audace missione di abbattere le barriere del tempo e dello spazio, nel disperato tentativo degli uomini di preservare la propria estinzione. E chi meglio di lui può potrebbe guidare quella squadra di futuri pionieri dell’universo. “Per me, l’esplorazione dello spazio rappresenta l’estremo assoluto dell’esperienza umana – dice Nolan. E’ per certi versi un modo per definire la nostra esistenza nell’ambito dell’universo. Per un regista, la straordinarietà di pochi individui selezionati che si spingono oltre i confini della specie umana, verso l’ignoto o dove possono eventualmente arrivare, fornisce una risorsa infinita di esperienza attraverso gli occhi dei primi esploratori che viaggiano verso l’infinito della galassia anzi attraverso tutta un’altra galassia. E’ come un viaggio talmente grande, difficile da immaginare e raccontare”.
Però il tentativo di farne una riflessione filosofica – il riferimento è il capolavoro di Stanley Kubrick “2001: odissea nello spazio”, citato e omaggiato – diventa dispersivo, anzi superficiale, sempre in bilico tra rapporti familiari (padre e figlia) e universali, esistenziali, appunto. Infatti, Nolan conferma che pur volendo immaginare un viaggio ambizioso verso l’ignoto, il concetto di famiglia rimane il fulcro attorno al quale ruota tutta la storia: “riguarda un po’ tutto chi siamo, dove stiamo andando ma per me, prima di tutto approfondisce il concetto di paternità. Sono tutti questi concetti messi assieme che fanno la storia del film, non si tratta unicamente di godersi un viaggio intergalattico solo per amore dello spazio”. Quindi, Nolan ha fallito là dove Alfonso Cuaron con “Gravity” ci è riuscito, riflettere e sorprendere, in parte sullo stesso tema, ma in meno di due ore.
Lode alla fotografia di Hoyte Van Hoytema, funzionali, ora classicheggianti ora ingombranti, le musiche di Hans Zimmer. Nel bel cast anche un’inedita e intensa Anne Hathaway (Brand), Oscar per “Les Miserables”; Jessica Chastain (Murph, la figlia adulta), due nomination per “The Help” e “Zero Dark Thirty”; Mackenzie Foy (Murph a dieci anni); Bill Irwin (voce di TARS), Timothée Chalamet (Tom), West Bentley (Doyle), che aveva esordito in “American Beauty”, Topher Grace (Getty), William Devane (Williams), ‘lanciato’ da Hitchcock in “Complotto di famiglia”, e due grandi, anzi due miti del grande schermo, la non dimenticata Ellen Burstyn, vincitrice, tra gli altri, di due premi, il Golden Globe per “Lo stesso giorno, il prossimo anno” e l’Oscar per “Alice non abita più qui” di Martin Scorsese, su ben cinque nomination; e il veterano Michael Caine (professore Brand), anche lui insigniti di due Oscar, purtroppo, entrambi per il miglior attore ‘non’ protagonista, per “Hannah e le sue sorelle” di Woody Allen e “Le regole della casa del sidro” di Lasse Hallstrom. José de Arcangelo
(2 ½ stelle su 5) Nelle sale dal 6 novembre distribuito da Warner Bros. Pictures Italia

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