giovedì 23 ottobre 2008

David Cronenberg, un artista al Festival Internazionale del Film di Roma



L’evento più atteso della seconda giornata del Festival Internazionale del Film di Roma, soprattutto per i cinefili, è stato l’incontro con il maestro americano, anzi canadese, David Cronenberg che ha incontrato prima la stampa e poi il pubblico, in una sala affollatissima ed eccitatissima in entrambe le occasioni.
“Sono stato allettato dall’idea di fare qualcosa che non avevo mai fatto prima – esordisce l’autore di “Videodrome”, a proposito dell’opera (lirica) ispirata alla “Mosca” -, non avevo mai curato prima la regia di un’opera né tantomeno di uno spettacolo teatrale. Un’operazione molto impegnativa, con decine di orchestrali, una sorta di enorme transatlantico che devi manovrare nel modo giusto prima di partire. Un’esperienza teatrale davvero appassionante ispirata alla ‘Mosca’ e musicata dallo stesso Howard Shore che ha scelto il mio film come base di partenza. Ma l’operazione in sé non è mia, perché parte dalla sceneggiatura originale di Charles Edward Pogue. E poi ha lavorato anche David Henry Hwang che aveva sceneggiato“M. Butterfly”, e ci sono più registi, dal compositore stesso a Placido Domingo che ha diretto orchestra e coro. Shore aveva scritto un pezzo per esprimere la rabbia del personaggio, infatti la rabbia è una forte componente di tutta la partitura, ma io avevo pensato di iniziare con più calma. In un mio film, invece, non permetterei mai a nessuno di metter bocca. Non è stata un’esperienza più facile di altre, ma bensì più significativa. Un’altra fatto molto diverso dal cinema è che siamo partiti da Parigi con due protagonisti e poi a Los Angeles sono stati sostituiti da altri. Al cinema non accadrebbe mai che un attore inizi un film e poi lo finisca un altro, in passato l’ha fatto solo Luis Bunuel.
Sulle sue tematiche, fra trasformazioni e mutazioni, confessa: “Noi esseri umani siamo in fondo degli animali che ci immaginiamo diversi da quello che siamo e quando abbiamo la possibilità di farlo, attraverso la trascendenza o la religione, oppure di andare al di là dell’umano, ci trasformiamo. Non è che lo faccia deliberatamente, ma è vero che è un tema ricorrente nei miei film.”
A proposito del cinema e dintorni, dopo racconta un aneddoto: “Ho avuto un incontro tanti anni fa con Bernardo Bertolucci a Montreal e lui mi diceva, riguardo “Il conformista”, che credeva di aver girato la cosa più importante della sua vita, ma dopo aver lavorato per molto tempo con il montatore aveva capito che il risultato finale dipende tantissimo dalla post produzione, tanto di aver deciso di modificare la struttura stessa del film. Per me era ovvio che fosse una fase fondamentale della lavorazione. Infatti, attraverso il montaggio e, soprattutto oggi, con il digitale puoi modificare ogni elemento. Ormai fa parte della tridimensionalità del film, è la qualità sonora che gli dà quella terza dimensione. Il mio primo film intitolato ‘Stereo’, che aveva solo una voce fuori campo, dava una sensazione strana, come se uno fosse sordo e il film bidimensionale. Un film senza sonoro, senza rumori, disturba, sconvolge lo spettatore. Con il sonoro puoi far sentire il peso del personaggio attraverso il rumore dei suoi passi, della superficie – legno, pavimento, terra o marmo – su cui cammina.”
“Non sono mai riuscito a catturare l’immagine dell’invisibile – aggiunge -, ad esprimere il concetto di quello che non è visibile. Non me ne occupo più di tanto, è possibile esprimere qualcosa attraverso i dialoghi. Sono concetti astratti che puoi trasmettere talvolta tramite la qualità visiva, la metafora. Ci sono tante possibilità. Io uso spesso il linguaggio del corpo, parto dal corpo umano, dall’essenza fisica di ciò che siamo.”
Su cinema e pubblico: “Non ho mai riflettuto sul problema pratico, la distinzione tra film d’elite e film popolare è qualcosa che ha che fare con il coinvolgimento del pubblico. Alcuni film sono legati al momento, e quindi di forte impatto; altri hanno una valenza universale e restano nel tempo. Il mio film ‘La mosca’ è stato quello che ha avuto maggior successo al botteghino, però vent’anni fa. Ma rispetto ai film da un miliardo di dollari col mio lavoro sono molto lontano. Il cinema è nato come intrattenimento popolare, si diceva allora per cameriere e commesse, non per persone serie. E’ stato in Francia che è stato considerato per la prima volta come una forma d’arte, ma in America ci è voluto molto tempo per accettarlo. E’ per questo che tanti bei film sono stati persi o distrutti. Ovvio che quando si realizza un film costosissimo, di più di centomilioni di dollari, esso sia destinato a un pubblico enorme, almeno nelle intenzioni. Ma io non penso per categorie, ma sono guidato dall’intuito.”
Ora il regista di “Inseparabili”, “eXistenZ”, “Il pasto nudo” e “La promessa dell’assassino” sta scrivendo un romanzo (su commissione): “Ho scritto soltanto 60 pagine. E’ un’esperienza interessante anche perché mio padre era uno scrittore e ho sempre pensato che lo sarei diventato anch’io. Invece mi ritrovo a fare il regista. Così quando in Canada, l’editrice della Penguin mi ha proposto di fare un libro, ho accettato al volo rispondendo ‘sono cinquant’anni che aspetto di farlo’. Ma sono in una fase delicata, non posso parlarne anche perché già è stato venduto in tanti paesi e si prevedono traduzioni in tutte le lingue, dallo spagnolo al tedesco, all’italiano (già ‘prenotato’ ndr.). Posso solo dire che non si tratta di un horror né di un romanzo di fantascienza. In questo momento sto leggendo molta letteratura russa. Particolarmente “Guerra e pace” di Tolstoj. Gogol e Dostoevskij, sono comunque i miei preferiti. E poi Burrows, Nabokov… Adoro la forma del romanzo.”
“Ho lavorato con moltissimi attori straordinari – conclude -, e ognuno ha la sua forma espressiva. Chi adotta il metodo, chi usa l’esperienza teatrale, ma sono sempre tutti molto legati al film che interpretano. Li lascio immergersi nel proprio universo, non mi impongo mai, cerco di seguire il loro modo di lavorare e di capire cosa serve loro per dare il meglio. Mi sono concesso e concedo loro di sperimentare. Adoro lavorare con attori che provengono da esperienze completamente diverse. E’ il corpo il loro strumento, ed entrare nei personaggi è come cambiare abiti, scarpe. Non si tratta di una trasformazione vera e propria, ma hanno la possibilità di evolversi”.
José de Arcangelo

Nessun commento: