sabato 4 aprile 2009

"Legami di sangue" spezzati dalla disperazione e dalla crisi in un film indipendente





Ancora un film indipendente italiano, vincitore del Premio Flaiano per la miglior opera prima e per la miglior attrice, già venduto in America - ma in attesa di uscire perché non era ancora stato visto dal pubblico italiano - è finalmente nei cinema (pochi) italiani perché distribuito dalla stessa casa di produzione Baby Films e quindi vittima della censura di mercato. Si tratta di “Legami di sangue” di Paola Columba con Giovanni Capalbo (Giovanni), la sorprendente e premiata Cristina Cellini (Luana), Andrea Dugoni (Andrea), Pino Rugiano (Peppe) e l’amichevole partecipazione di Arnoldo Foà nel ruolo cameo del padre.
Una storia del profondo sud che però ci appartiene a tutti, e che diventa universale, perché parla di rapporti familiari ed eredità, di sottomissione e libertà, quindi di soldi e d’amore che non vanno e non andranno mai d’accordo. Il tutto girato con uno stile realistico, quasi documetaristico, che ci ricorda il neorealismo che ha dato nuova linfa e fama internazionale al nostro cinema sessant'anni fa, e girato con una troupe che proviene dal documentario, dal direttore della fotografia Gianni Mastrovito al tecnico del suono in presa diretta Daniele Fornillo.
Giovanni esce dal carcere dopo aver scontato una pena per bancarotta fraudolenta. E’ pronto a ricominciare ma non ha un soldo in tasca. Così ritorna a casa, alla masseria dove vivono i suoi fratelli Peppe, Andrea e Luana, e decide di vendere il suo quarto di proprietà. Ma Peppe gli ricorda che lui non ha più niente a suo nome, visto che con il suo fallimento ha messo in pericolo i beni di famiglia e il padre, prima di morire, ha intestato la proprietà ai fratelli.
Ma Giovanni è convinto che Peppe voglia impossessarsi di tutto e ne ha conferma quando scopre che, su consiglio dell’amico notaio, ha preparato una richiesta alla Comunità Europea per avere i finanziamenti per creare un’azienda. Andrea, il fratello down, ha sempre voluto bene a Giovanni e si schiera dalla sua parte, quindi si rifiuta di firmare la richiesta. Luana, donna sottomessa e repressa, cerca comunque di mediare tra Giovanni e Peppe ma gli eventi precipitano e non riuscirà ad evitare la tragedia.
La regista - che proviene da una lunga gavetta teatrale - ha voluto lavorare con attori attivi soprattutto sul palcoscenico e che sono entrati nei personaggi attraverso un lungo periodo di prove e di ambientazione (il film è stato realizzato nei luoghi reali e nelle case contadine vere) nella campagna molisana. E così questa interessante opera prima è stata poi girata in soli 24 giorni.
“Mi sono ispirata ad alcuni fatti di cronaca – afferma la regista -, poi pensando e lavorando sugli attori, spesso sfruttando le loro origini contadine, è venuta fuori l’intera storia. Io ho alle spalle molti anni di teatro, amo lavorare con gli attori sui personaggi e, dato che ci conosciamo da tanti anni e abbiamo realizzato insieme anche dei cortometraggi, non è stato difficile. Siamo un vero e proprio gruppo di lavoro. Quindi con Fabio Segatori (il regista, qui produttore ‘per caso’ ndr.), che è anche co-sceneggiatore, abbiamo scritto i personaggi su di loro, tenendo conto delle loro qualità, valorizzando e potenziando le loro caratteristiche, lavorando molto sul dialetto. Anche se loro sono abituati alla disciplina e al rispetto del testo, non volevamo fare un film teatrale”.
E, infatti, sullo schermo gli attori sembrano dei veri contadini, mentre sul finale portato all’esasperazione, sfiorando la tragedia greca, l’autrice di origini siciliane confessa: “Ho voluto un finale estremo perché succede anche nella realtà, non volevo edulcorarlo. In famiglia, tra fratelli e tra genitori e figli, per soldi si litiga e ci si divide. Avviene nelle famiglie borghesi e in quelle nobili che hanno grandi patrimoni, ma anche all’interno di famiglie meno ricche. Oggi, inoltre, in un momento di grave crisi economica, si produce di meno, non c’è lavoro e allora ci si attacca al patrimonio familiare, anche alla piccola pensione di un genitore. Anche quando queste persone si amano, si vogliono bene. La fine può sembrare molto dura e cruenta, ma è questa la contraddizione della vita quotidiana”.
Un dramma di crudo realismo, quindi – presentato ai festival di Philadelphia, Los Angeles-Italia e di Salerno -, che però commuove e fa riflettere sulla situazione di gran parte degli italiani. Non bisogna dimenticare che la nostra società ha delle origini contadine molto forti e che molte famiglie – mentre altre emigravano all’estero - sono rimaste al loro posto per oltre un secolo, continuano a vivere ancora oggi come allora e l’unico collegamento col secondo millennio è la televisione, quando c’è.
“Questo film è indipendente nel vero senso della parola – ha detto Segatori -, non abbiamo avuto il sostegno di nessun network televisivo né ministero. Gli accenti di realismo fanno la differenza, anche perché scene come quella del bacio al prete o del bagnetto (la sorella che fa il bagno al fratello down, sfiora l’incesto ndr.), nonostante sia stata girata in modo delicato, non sarebbero passate e non si vedono certo nelle fiction. La nostra campagna non è quella del Mulino Bianco, però ormai tutti pensiamo alla realtà come ad una fiction. Perciò siamo andati nel posto dove i contadini vivono veramente per far riflettere sulla realtà non sulla reality”.
Nel cast della pellicola - girata in HD, trasferita poi su 35 mm e costata 350mila euro – ci sono anche Cristina Mantis (Rosy), Fulvio Cauteruccio (il notaio), Alberto Cracco (padre Alberto), Vanessa Galipoli (la dottoressa) e Aldo Gioia (il negoziante).
“Credo in un cinema che punta sulle proprie radici – conclude l’autrice – e parte da sentimenti semplici, ma forti: passioni, vendette, amori, odio. Un’idea di cinema non spettacolare, anche se come spettatrice amo ‘Die Hard’, un cinema di puro intrattenimento”.
José de Arcangelo
A Roma dal 27 marzo (al Filmstudio) e nelle successive settimane nelle città capoluogo distribuito da Baby Films in 10 copie

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