sabato 16 ottobre 2010

Un riuscito thriller hitchcockiano ambientato dentro una bara: "Buried" con Ryan Reynolds

Un thriller mozzafiato ambientato in una bara, un unico protagonista, un accendino, un cellulare, 90 minuti d’aria. Questo è “Buried” (Sepolto) il film-fenomeno del 37enne spagnolo Rodrigo Cortés, da una sceneggiatura di ferro firmata Chris
Sparling che, per oltre un anno, tutti i gli studios e i produttori americani consideravano eccezionale ma impossibile da realizzare.
L’autista Paul Conroy – autotrasportatore civile in Iraq - si ritrova rinchiuso in una cassa di legno tre metri sottoterra con in tasca un telefonino, una matita e un accendino Zippo. Grazie a questi tre elementi, deve capire come è finito in quella bara, per quale motivo e come fare a guidare i soccorritori fino a lui per poterlo liberare. Mentre i 90 minuti di aria a disposizione scorrono, mantenere la calma è sempre più difficile…
Se lo spunto non è originale – dalla “Sepoltura prematura” di Edgar Allan Poe e il film “Sepolto vivo” di Roger Corman all’episodio diretto da Quentin Tarantino del serial “CSI”, in cui Nick finisce in una ‘situazione’ molto simile, mentre i colleghi fuori cercano di rintracciarlo –, il modo in cui viene affrontare il tema e di girare in tempo reale questa angosciante storia sono nuovi ed emozionanti, e lo spettatore – superato il panico e la claustrofobia del primo quarto d’ora insieme al protagonista – resta incollato alla poltrona identificandosi con il malcapitato Paul. Anche quando la pellicola ‘non’ è ispirata ad una storia vera.
“Ho constatato che era impossibile cercare di fare qualcosa in modo tradizionale – ha dichiarato a Roma Cortés -, bisognava fare qualcosa di diverso, sperimentale, tentare di realizzare ‘Indiana Jones’ all’interno di una cassa. La sceneggiatura era perfetta, ma non è stato facile trovare l’attore giusto. Avevo visto Ryan Reynolds in ‘The Nines’ di John August (un film indipendente presentato al Sundance FilmFest 2007 e poi, in una sezione parallela, alla Mostra di Venezia, unica proiezione italiana ndr.) che pochissime persone hanno visto, inclusa la madre di Ryan. Ho intravisto in lui un interprete capace di offrire un ventaglio di emozioni e dotato di un senso dei tempi cinematografici simile alla musica, che solo Cary Grant aveva. Poi la storia ha quella forza perversa che nella struttura è una commedia, come ‘L’appartamento’ di Billy Wilder o ‘Fuori orario’ di Martin Scorsese. Quella sorta di piacere nel far soffrire il protagonista, maltrattandolo nel peggior modo. Ryan mi ha confessato che era il copione più straordinario che gli era mai capitato ma che non l’avrebbe fatto, perché era come buttarsi sulla montagna russa. Poi ha visto la mia opera prima ‘Concursante’ (The Contestant) e mi ha detto che voleva leggerne ancora. Gli ho mandato una quindicina di pagine e, alla fine, ci siamo incontrati a Los Angeles e a quel punto ci siamo dati la mano”.

Quindi, come lo definisce l’autore stesso, “è un thriller di suspense e azione in una cassa di legno. Un’esperienza fisica che va vissuta non solo con gli occhi, ma con le ossa, la pelle, il sangue, al punto che la gente esce dalla sala con la sensazione di aver bisogno di un massaggiatore e con due chili in meno. La prima cosa da dimenticare era il buon senso, la logica; non dovevo pensare alla cassa, alla restrizione. Quello che bisognava fare era concentrarsi sulla storia e sulle emozioni”.
E se tutto funziona e la tensione non cala, nemmeno quando la situazione diventa tragicomica – le assurdità burocratiche che affrontiamo ogni giorno -, è perché il regista non ha rinunciato a nessun tipo di ripresa, né al travelling né alla camera a spalla, riuscendo a fare tutto all’interno di una scatola di legno. Infatti, sono state costruite ben 7 casse diverse per ogni ripresa possibile: una lunga, una con le pareti mobili, una capace di sopportare il peso della sabbia, un’altra ancora girevole… Del resto non si trattava dei 6 magnifici minuti di Tarantino in “Kill Bill” ma di ben 94 minuti! Però Cortés si è ispirato al maestro per eccellenza, il grande Alfred Hitchcock, quello delle grandi scommesse, cioè l’autore di “Prigionieri dell’oceano”, nove personaggi in una barchetta in mezzo all’oceano, e “Nodo alla gola” tutto girato in piano sequenza. E ha fatto lui stesso il montaggio, dando al film un ritmo serrato
“Il bello di ‘Buried’ – conclude l’autore - è che hai un personaggio di cui non sai niente finito in un buco nero, ma alla fine del film sai tutto di lui. Lo spazio fisico e il tempo fisico non contano, ma contano soltanto lo spazio e il tempo cinematografici. E ne viene fuori una sorta di ‘Intrigo internazionale’ in una cassa!”.
Un lavoro difficile ed estenuante soprattutto per Ryan Reynolds (marito di Scarlett Johansson dal 2008) tanto che alla fine delle riprese era coperto di escoriazioni sulla schiena, con le dita bruciacchiate dall’accendino, e dei graffi ovunque provocati dal continuo strofinio contro legno e sabbia. Ma anche soddisfatto perché n’era valsa la pena: riesce ad offrire tutte le sfaccettature del personaggio sfoderando l’intero catalogo espressivo delle emozioni umane.
Per il pubblico che ama le emozioni forti, la suspense e l’alta tensione è questo il film giusto, quello che ha attirato l’attenzione di Steven Spielberg, Christopher Nolan, Mel Gibson e Shyamalan. Anche perché non è più angosciante di quello che sembra, anzi, va gustato come i thriller del maestro che l’ha ispirato, il vecchio caro Hitch.
L’autore spagnolo – con diversi cortometraggi alle
spalle, tra cui uno pluripremiato (57 riconoscimenti) in tutto il mondo: “15 Days”, un finto documentario diventato il corto spagnolo più premiato di tutti i tempi – ora sta preparando un thriller sul cervello umano “che non è uno strumento troppo attendibile perché in realtà è condannato a mentire”.
José de Arcangelo
4 stelle (su 5)
Nelle sale italiane dal 15 ottobre distribuito da Moviemax

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