giovedì 14 ottobre 2010

"L'estate d'inverno": un dramma da camera visto e premiato in quindici festival

Un dramma da camera originale ed insolito nel panorama del cinema italiano, un’opera prima indipendente che ha partecipato a una quindicina di festival nazionali e internazionali, da The European Indipendent FilmFest di Parigi, dove si è aggiudicato i premi per il miglior film e per la miglior attrice (Pia Lanciotti), al Lake County
FilmFest (Usa), dove ha vinto i premi per il miglior film e quello del Pubblico; dal Festival Internazionale del Film di Roma 2008 (L’Altro Cinema - Extra) al Maremetraggio di Trieste, dove è stato insignito con il premio per la Miglior attrice, e al Filmspray di Firenze dove ha avuto il riconoscimento per la Miglior Opera Prima.
“L’estate d’inverno” di David Sibaldi con Pia Lanciotti e Fausto Cabra ricorda qua e là opere d’autore vecchie e nuove, in primo luogo francesi; dal vecchio racconto morale “La mia notte con Maud” di Eric Rohmer (1969) - anche se lì la coppia protagonista parlava per un’intera notte di argomenti esistenzial-filosofici, mentre qui predomina l’esistenzial-psicologico -; a “Notte d’estate in città” di Michel Deville (1990 dove un’altra coppia – ma sempre chiusa in una stanza d’albergo e dopo aver fatto l’amore – diserta sul sesso e sull’amore, e sull), a possibilità di lasciarsi o meno.
Anche quando Sibaldi confessa di non averli visti, accade spesso che un’idea rifiorisce nella mente “di persone diverse in diverse parti del mondo in una sorta di flusso continuo”. Quello che colpisce è che si tratta del debutto di un giovane che ha scritto la sceneggiatura in un mese a 19 anni, la quale nel giro di due mesi è diventata un film. E stavolta, per evitare la solita attesa dell’uscita, produttori e autori hanno preferito portare il film prima in giro per il mondo per approdare ora, due anni dopo,
nei cinema italiani.
La scommessa è vinta, perché questo particolare scontro/incontro - tutto in un’ora abbondante nella notte - fra la prostituta ultra trentenne Lulù e il diciannovenne Christian nella camera di un motel di Copenaghen, entrambi alle prese con un doloroso abbandono, coinvolge lo spettatore senza annoiarlo né infastidirlo, anzi. Un dramma che si trasforma in una sorta di seduta psicoanalitica o in una confessione a due voci, dove i protagonisti si scambiano e si alternano nei ruoli.
Cinque giorni di riprese ma sette mesi di postproduzione, soprattutto al montaggio che, nonostante l’ambientazione e l’argomento, ha il ritmo del film d’azione. Niente tempi morti, anzi tempo reale a tutti gli effetti. Infatti, girato contemporaneamente con tre telecamere digitali, collocate in diversi angoli della stanza, delle oltre sessanta ore di girato sono rimasti allo spettatore soltanto 70 minuti. Un distillato di storia e personaggi.
Uno dei modelli del regista è il maestro John Ford che, dagli anni Trenta ai Sessanta, ha ambientato spesso i film in un’unica location, o nella Monumental Valley oppure all’interno di una carrozza come in “Ombre rosse”, e in tempo reale, appunto. Anche se ha anche riferimenti più recenti come “Quel pomeriggio di un giorno da cani” e “Collateral”. E ha voluto attori che provenissero dal teatro, cioè capaci di resistere 8-9 ore di palcoscenico senza interruzioni, quindi in sequenza perché i ‘tagli’ sono stati fatti al montaggio.
Anche il famoso Dogma 95 c’entra perché, a parte la musica, l’ambientazione e le riprese lo rispettano quasi nell’ottanta per cento, per ragioni di budget ma anche di stile, tanto che lo stesso Lars Von Trier ha visto e apprezzato il film. Mentre Sibaldi dice: “mi piaceva soprattutto l’effetto visivo di ‘Festen’ e di ‘Le onde del destino’, ma non ho mai pensato di rispettare
tutti i dieci precetti. Infatti, volevo una colonna sonora vera e propria (al contrario del precetto che bandisce la musica se non viene riprodotta da radio, stereo o altre fonti ‘naturali’ ndr.) per non fare un film troppo tagliente, riservato ad un pubblico ristretto, ma anche per diminuire la tensione. Volevo approfondire i personaggi, perciò ho ricostruito persino il loro albero genealogico, anche se per me i due fanno parte dello stesso corpo, la parte femminile e quella maschile che si trovano in ognuno di noi. Più che la psicologia mi interessava il fatto che il mentore di uno poi diventasse il mentore dell’altra”. E tutto ciò nel film si vede e si sente.
José de Arcangelo
Dal 15 ottobre nelle sale italiane distribuito da Iris Film

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