mercoledì 11 maggio 2011

Tre fratelli algerini in Francia alla ricerca di libertà: "Uomini senza legge" di Bouchareb

In concorso al Festival di Cannes dell’anno scorso e candidato all’Oscar 2011 per il miglior film straniero, è arrivato finalmente nelle sale italiane “Hors-la loi” (titolo originale) di Rachid Bouchareb. Sceneggiato dallo stesso regista, con Olivier Lorelle, è un dramma, anzi una saga familiare ambientata fra l’Algeria e la Francia, nel periodo di decolonizzazione e alla vigilia della guerra d’indipendenza. Un film discusso fin dalla sua prima proiezione perché, prima ha scatenato polemiche per via del contesto storico, di fatti ed episodi misconosciuti agli stessi francesi; ma poi ha anche
diviso la critica tra sostenitori e denigratori: chi lo considera un gangster movie di stampo televisivo; chi un solido, coinvolgente e lucido dramma.
Ma, come di solito, la verità sta nel mezzo, perché si tratta prima di tutto di un dramma sulla disgregazione di una famiglia algerina che, per forza di cose, affronta anche fatti storici, in questo caso delicati e nemmeno tanto noti. Sicuramente l’opera non è del tutto equilibrata e ha qualche caduta nel melodramma, anche quando evita la retorica, ma è soprattutto la storia di tre fratelli alle prese con destini e sogni (di libertà) diversi.
Proprio nel 1945, dopo aver perso la loro casa in Algeria e mentre nelle strade scoppia la rivolta, tre fratelli si dividono e vanno a vivere in diversi paesi del mondo. Messaoud (Roschdy Zem) si unisce all’esercito francese, impegnato a combattere in Indocina; Abelkader (Sami Bouajila) diventa leader del movimento di indipendenza algerino; Said (Jamel Debbouze) si trasferisce a Parigi - insieme alla madre - per cercare fortuna nei club e nei locali di Pigalle dove si combatte la boxe. Gradualmente, i loro destini tornano si ricongiungono nella capitale francese, dove la libertà è una battaglia da combattere e vincere.
Citazioni e riferimenti sono alti e confermati dalle stesse parole dell’autore di “Days of Glory di cui questo è il sèguito ideale: “Dopo quel film è stato il passo successivo più ovvio – dice -, ‘Indigènes’ (Days of Glory) finisce nel 1945, e poi ha”,
inizio un’altra storia. I soldati del luogo spesso parlavano degli anni dopo la Liberazione, il periodo della decolonizzazione. Il mio co-sceneggiatore ed io abbiamo intervistato molti testimoni oculari di questi eventi, abbiamo fatto ricerche di archivio e abbiamo visionato documentari. La memoria è una fonte molto affascinante da cui attingere per fare un film. Ad esempio, abbiamo incontrato un falsario francese che produceva documenti di identità falsi sia negli anni della Resistenza che, successivamente, durante la Guerra d’Algeria. Abbiamo incontrato tante persone incredibili. ‘L’Armata degli eroi’ di Jean-Pierre Melville mi ha ispirato moltissimo (e si vede ndr). Ho incontrato lo stesso tipo di persone, che hanno dedicato la propria vita ad una causa”.
E’ anche vero che il pur bravo Bouchareb – anche premiato regista di “London River” (2009) - non riesce a uguagliare i suoi maestri, ma comunque ci prova contaminando la sua pellicola con altri generi cinematografici più spettacolari, come l’action movie e il gangster film, appunto. Fa vedere contraddizioni e repressione, speculazione e voglia di libertà, ingiustizie e pregiudizi, illusioni e dilemmi. Quindi, l’esistenza degli immigrati negli anni a cavallo tra i ’40 e i ’50 – periodo in cui lui stesso è nato a Parigi -, in oltre due ore di grande spettacolo (133’).
“La Rivoluzione mastica le persone e poi le risputa fuori – aggiunge l’autore. La repressione fa esattamente la stessa cosa. Una delle scene del film prende ispirazione dallo stesso ‘L’Armata degli eroi’, quando alcuni membri della Resistenza francese devono eliminare un compagno francese. E’ una scena sconvolgente. Credo che in qualsiasi battaglia per la libertà avvengano delle terribili tragedie umane. Volevo che il film possedesse una qualità epica. Ho sviluppato dei personaggi che fanno la rivoluzione nello stesso modo in cui Al Pacino gestiva la famiglia nel ‘Padrino’. Questo mi ha dato una certa libertà dal punto di vista storico. Il mio film non è un documentario. Io faccio film”.
Giustissimo, ma il regista è il primo ad affrontare l’argomento al cinema e lo fa dal punto di vista degli immigrati, tanto che uno dei pochi film sul tema è proprio “La battaglia di Algeri”, capolavoro di Gillo Pontecorvo – ambientato però nel paese nordafricano -; mentre l’infaticabile Jean-Luc Godard l’aveva fatto, proprio mentre era in corso la guerra, con “Le Petit Soldat” (1960) che fu proibito in Francia per due anni e la critica di sinistra non gradì che (anche) gli algerini venissero
mostrati come dei torturatori.
“Quando fai dei film come ‘Indigènes’ o ‘Hors-la loi’ – conclude il regista - di cosa dovresti avere paura? I francesi, gli algerini, i nordafricani e gli africani, specialmente le generazioni più giovani, hanno bisogno di conoscere il passato coloniale. E’ questa una delle funzioni del cinema. Ma la gente va a vedere un film, non legge un libro di storia. Tu devi raccontargli una storia. Forse, dopo aver visto il film gli verrà voglia di approfondire i fatti anche attraverso i libri. Da questo punto di vista, il film lancia un dibattito in cui ognuno potrà dire la sua. Coloro che hanno preso parte a questi eventi possono dare un contributo: essi rappresentano la memoria. La questione è mettere il tutto insieme e rispettare ogni punto di vista diverso. Ma ci sono eventi storici che devono ancora essere spiegati. Ci sono ancora dei testimoni oculari la cui esperienza contribuirà a comprendere meglio la Storia. Per quanto riguarda gli eventi accaduti a Setif nel 1945, ad esempio, gli storici francesi e algerini devono lavorare assieme in completa libertà per descrivere le esperienze francesi e algerine, senza l’intrusione di controversie riguardo alla Guerra d’Algeria”.
Bello ed efficace il cast, capeggiato dal trio Debbouze,
Zem e Bouajila, noti anche da noi perché interpreti di tanti drammi e commedie francesi degli ultimi anni: Bernard Blancan (colonnello Faivre), Chafia Boudraa (la madre), Ahmed Benaissa (il padre), Sabrina Seyvecou (Hélène), Assaad Bouab (Alì), Thibault de Montalembert (Morvan), Samir Guesmi (Otmani), Jean-Pierre Lorit (Picot).
José de Arcangelo

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