venerdì 17 giugno 2011

L'orribile odissea della "Venere nera" nella civiltà (bianca) occidentale

Scioccante e lucido dramma sullo sfruttamento esasperato, l’opera di Abdellatif Kechiche – presentata in concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2010 - dove il regista era stato premiato qualche anno fa –, che ricostruisce la storia (vera) di una donna africana, diventata fenomeno da baraccone e vittima di ogni sorta di umiliazioni/torture fisiche e psicologiche, nella ‘civiltà bianca’.
Un film che fa ‘vedere’ e ‘sentire’ allo spettatore non solo le umiliazioni e le sevizie della martire sudafricana (il suo calco e i suoi resti sono stati restituiti al Sudafrica nel 2002 e ne vediamo le immagini sui titoli di coda), ma anche – a disagio - i sensi di colpa della civiltà occidentale verso il diverso, ieri come oggi e sempre. Sarà proprio per questo che parte del pubblico (e della critica) lo rifiuta, visto che il regista franco-tunisino illustra questa storia di duecento anni fa senza filtri né retorica, senza giudicare o prendere posizione. E’ lo schermo ad esprimere tutto l’orrore subito da una donna intelligente esibita come fenomeno da baraccone e repressa, anzi costretta a recitare la parte della selvaggia. E Saartjie ha lo sguardo dell’attrice afrocubana Yahina Torres che proprio con gli occhi e le espressioni del volto esprime tutto il suo disagio, la sua solitudine, la sua paura, il suo orrore. Perché “Venere nera” non è nemmeno un dramma psicologico ma il lungo racconto (rispetto alla copia presentata a Venezia il regista ha tolto 9 minuti nella versione internazionale, riducendola a 2 h e mezza). E, naturalmente, essendo il cinema un fenomeno voyeuristico il film finisce per esaltare ‘la visione rubata’ del suo corpo.
Parigi, 1817, Accademia Reale di Medicina. “Non ho mai visto testa umana più simile a quella di una scimmia”. Di fronte al calco del corpo di Saartjie Baartman, l’anatomista Georges Cuvier (l’ottimo François Marthouret) è categorico. Un parterre di illustri colleghi applaude la dimostrazione. Sette anni prima, Saartjie (poi Sara) lasciava l’Africa del Sud con il suo padrone, Hendrick Caezar (il bravo André Jacobs), per andare ad offrire il suo corpo in pasto al pubblico londinese delle fiere e degli zoo umani. Da lì finirà a Parigi guidata da Réaux (Olivier Gourmet, l’attore preferito dai fratelli Dardenne), nei salotti della nuova borghesia, perversa e famelica di piaceri. Donna libera e schiava al tempo stesso, la “Venere ottentotta” era l’icona dei bassifondi, sacrificata al miraggio di un’ascesa dorata...
“Sartjie è un personaggio misterioso – dichiara l’autore dell’inimitabile e pluripremiato “Cous Cous” -, perciò mi ha subito conquistato. Per raccontarla non ho seguito un approccio psicologico, l'immagine da sola rivela molte più sfumature della natura umana. E’ stata una donna violentata da tutti: guardandola la gente vedeva solo la sua caricatura. E’ vero che gli uomini hanno sempre oppresso molto le donne, ma una donna nera dal corpo ‘diverso’ riassume in sé ogni tipo di oppressione”.

Oltre il razzismo, la pellicola affronta un altro tipo di sfruttamento, forse più orrendo, quello scientifico: “Un orrore assoluto – dice Kechiche. Non si può, col pretesto della ricerca, perdere così la propria umanità".
José de Arcangelo

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