martedì 13 dicembre 2011

La trasformazione di un giovane mite e intellettuale in leader carismatico: "Il principe del deserto"

Arriva per Natale il nuovo film di Jean-Jacques Annaud "Il principe del deserto", un colossal dall'impostazione classica, comunque coinvolgente, che ricorda il cinema di una volta tra avventura esotica e realtà, tradizione e religione, politica e sentimenti, guerre fraticide e interessi economici. Il film, in uscita il 23 dicembre è coprodotto e distribuito dalla Eagle Pictures in 300 copie. Protagonisti Tahar Rahim, la rivelazione de "Il profeta", Antonio Banderas, Mark Strong e la sempre più in ascesa Freida Pinto.

"Sono desolato perché non parlo italiano - esordisce Annaud alla presentazione romana -. Il passato è eterno, col cinema ho fatto sempre dei viaggi in luoghi dove non posso recarmi solo con un biglietto aereo, amo le favole che abbiano una distanza dall'oggi, siano nel passato o nel futuro, e amo soprattutto che il cinema mi faccia sognare".
"Sono stato lusingato dalla proposta di Jean-Jacques - ribatte il giovane protagonista Rahim -, ho letto la sceneggiatura, ho amato la storia nel suo lato positivo, la rappresentazione che fa del Medio Oriente. E' troppo difficile trovare ruoli così, il personaggio mi dava delle possibilità enormi, una grande ampiezza di intervento e di sfumature. Ho fatto bene a farlo e spero di fare presto un altro di questo tipo".
"Da quindici anni evito di rivedere 'Lawrence d'Arabia', un film che all'epoca mi era molto piaciuto e mi ero prefissato che un giorno avrei fatto un film nella regione. Ma ho volutamente evitato di girarlo negli stessi posti, in particolare in Giordania. Ma quelli che mi hanno segnato di più sono stati i sovietici come Puvdokin, Ejzenstein, e i giapponesi come Kurosawa. Il cinema americano e i film di Sergio Leone sono arrivati più tardi. Da 60 anni non sono mai più girati film in quella regione, rimasta un po' occultata dal cinema, da una qualità epica e meravigliosa in senso fisico".
"Omar Sharif ha ragione non è facile cavalcare cammello - afferma Rahim -, ma è ancora peggio con i cavalli, mi sono allenato per più di un mese, anche quando si crede di sapere tutto ma non sai mai come andrà finire, non è come uno scooter. Stavolta è successo che, dopo un'esplosione il cavallo non ti ascolta più, sono anche caduto, e ne ho pagato le conseguenze, tanto che la caduta finale del film è reale".
"E' stata la più orribile giornata della mia vita - ribatte il regista -, corro per vedere se si è fatto male, tremava dappertutto, l'abbiamo portato in ospedale e non è morto, avevo paura di averlo ucciso. Arrivava al galoppo, il cavallo si spaventava, ho visto cadere e diceva mi sono fatto male, e ho capito che non era uno stuntman ma lui, e per fortuna stava bene".
"Tanto che non abbiamo nemmeno ritardato la lavorazione - afferma l'attore -, e abbiamo deciso di intodurre nella storia la mia ferita e il fatto che io zoppicasse. Per la scena successiva io volevo lo stesso cavallo ma me l'hanno impedito".
"E' una regione molto divisa - prosegue Annaud -, il regime regola il problema tra la modernità e la tradizione, ma è popolata da tantissimi tribù perciò la caduta di un regime non basta per risolvere il problema. Le elezioni in Libia hanno avuto dei risultati del tutto inattesi in Occidente, perché l'unificazione delle tribù rimane un grosso problema. Perciò credo che il mio film affronta un tema attemporale, senza averlo scritto in quel periodo, penso sia valido ancora oggi".
"Dopo tanti anni sono stanco di ricevere sceneggiatura che parlano di un giornalista o un'infermiera americana che scopre un determinato paese, mentre ci sono tantissime storie meravigliose raccontate da altri, da un altro punto di vista. Perciò tempo fa ho fatto che vedeva la guerra anche da russi e tedeschi. Qui ci voleva un principe che fosse dell a regione per impedire interferenze nella storia e sui personaggi".
"La sceneggiatura prevedeva un personaggio positivo - riprende Rahim-, per cui individuare moltissime chiavi, quasi il
contrario di Malick (quello del 'Profeta' ndr.), un selvaggio che mette in azione i suoi neuroni in modo intellettuale; mentre Auda attraverso i libri riesce a superare ogni difficoltà e a diventare un leader carismatico. Jean-Jacques mi ha aiutato, ma anche la fotografia, i costumi, gli animali mi hanno fatto capire quanto fosse diverso dal 'Profeta'. Il personaggio è una persona che parla attraverso di te, del tuo corpo, della tolleranza e della bontà. Qualità che tutti abbiamo nel nostro interno e devi tirare fuori".
"In realtà io decido in base all'istinto - aggiunge Annaud -, sempre di raccontare una storia di trasformazione un monaco ('Nel nome della rosa'), un orso, una tigre, una giovane amante (i personaggi dei suoi film famosi ndr.), sono sempre personaggi che sento molto vicini, non amo limitarmi ad un genere, non voglio stancarmi. Racconto storie diverse ma che hanno un fondo comune".
"Sono stato prudente - dice sul raccontare un popolo che non è il suo -, una visione la più onesta possibile che sapevo di dover rappresentare. La più documentata possibile nella scrittura, nelle riprese, nel montaggio e mi sono ispirato al Corano e alla società civile araba, come avevo fatto a suo tempo in Tibet e in Cina. Mi sono ispirato nel corso degli anni nei viaggi in quella regione, ma non mi sono mai confrontato con episodi di contrasti della regione che applicano la cultura della tolleranza. A molto mi è servita l'esperienza personale nella società civile in questi anni".
"Il personaggio di Auda è nel libro (di Hans Ruesch "Paese delle ombre corte" su cui è basato il film ndr.), in fondo è un altro modo di vedere quello che si può vedere nei miei film fin dal primo: la trasformazione. L'influenza di Tarak Ben Ammar (il produttore ndr.) si è limitata nel comprare i diritti romanzo che poi è stato adattato (dallo sceneggiatore Menno Meyjes ndr.) con estrema libertà, come l'autore suggerendo delle modifiche sul personaggio sul testo scritto. Credo di individuare nei miei film un andare incontro agli altri senza rinunciare alle cose che non condivido".
"Devo dire che la collaborazione con Jean-Jacques si è fatta giorno per giorno - ribatte l'attore -, nel ricreare le scenografie, nel mettere in bocca il testo agli attori, nell'influenza sul comportamento sugli animali. E' qualcosa che deve vincere rispetto all'aspetto teorico, questa libertà di intervenire senza snaturare il film né la storia. Credo che il grande pericolo sia quello di limitarsi solo a 'filmare' una scenografia".
"Una collaborazione estremamente organizzata - continua Annaud - dalla necessità di poter intervenire attraverso il cuore e l'anima dei miei protagonisti. Il film ha avuto un grande e inaspettato successo nella regione. Ero abbastanza preoccupato di come avrebbero reagito il pubblico del Maghreb e del mondo
arabo, esiste sempre il rischio sul come un occidentale racconta una storia. Al Festival Marrakech la gente era molto felice perché per una volta non erano visti come i soliti terroristi, in modo positivo. Si divertono, ridono spesso delle controversie sull'Islam, soprattutto per quel dibattito contemporaneo sul 'divorzio' dove l'iman racconta quello che fa piacere al re".
José de Arcangelo

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