venerdì 16 dicembre 2011

Una romantica cura al cioccolato per gli "Emotivi anonimi" di Jean-Pierre Améris

Una commedia deliziosa (è il caso di dirlo) su uno dei problemi reali e comuni a (quasi) tutti perché si parla di 'emotivi' oltre misura, ma ha a che fare con timidezza, paura e ansia, messi insieme. Ed è girata con leggerezza del tocco, come fosse una favola contemporanea, e recitata a meraviglia.
"Il film è molto autobiografico - esordisce il regista e co-sceneggiatore (con Philippe Blasband) Jean-Pierre Améris -,
circa una decina di anni fa ho frequentato per due anni un gruppo di 'emotivi anonimi', esiste veramente, non so in Italia. L'ho scoperto su un giornale. Anche perché esistono tanti gruppi di anonimi. E questo funziona come quelli degli alcolisti, dei tossicodipendenti, dei sessodipendenti, persino dei debitori (cioè quelli che non possono fare a meno di chiedere soldi in prestito), tanti gruppi organizzati. Per ogni tipo di disturbo. Dieci anni fa avevo capito che timidizza, ansia e angoscia si stavano trasformando in un vero handicap, tanto che ero arrivato al punto di rifiutare gli inviti a cena, e persino ai festival perché bisogna andare ai cocktail, tra l'altro essendo alto sbucavo sempre fra tutti gli altri. Tutto era fonte di ansia e disperazione, tranne fare film".
"All'epoca non avevo mai immaginato di frequentarlo per poi fare un film - dichiara -, ma ho scoperto che questo problema riguarda persone di qualsiasi classe sociale e di ogni età. C'erano addirittura uomini d'affari che quando erano a una riunione importante rinunciavano a prendere la parola, quando toccava loro andavano a nascondersi in bagno, non riuscivano proprio a parlare. Anche riguardo l'amore il problema non tocca solo i giovani, ma uomini e donne di tutte le età. Tante belle donne raccontavano di avere una vita amorosa disastrosa: le sudavano le mani, arrossivano, facevano discorsi demenziali. E sono venuti fuori tutti piccoli grandi problemi. E' un vero problema sociale, e in queste belle riunioni ci si rende conto di non essere 'unici', ci sono tante persone che hanno una mancanza di fiducia in se stesse, timidezza, debolezze, difficoltà, e tra noi si rideva anche delle situazioni createsi. Perciò ho pensato ad una commedia che facesse ridere. La terapia migliore è stata che alla fine ridevamo tutti di queste nostre cose. Philippe Blasband, lo sceneggiatore belga, ed io abbiamo scritto la sceneggiatura in un 'salon de chocolate' (sala da thè - pasticceria) dove non facevamo altro che lavorare, così quando abbiamo pensato al mestiere dei personaggi non potevano essere altro che maestri cioccolatai, abbiamo ragionato parecchio su questo, anche perché chi soffre d'ansia spesso ne abusa e volevo ci fosse una differenza, allontanarmi un po' dalla realtà. Creare un piccolo universo a parte, così il mestiere e l'ambientazione sono diversi dal resto".
Infatti, racconta la storia di Jean-René (Benoit Poelvoorde), proprietario di una fabbrica di cioccolata, e Angélique (Isabelle Carré), cioccolataia di talento, che sono due emotivi al massimo grado.
La passione comune per il cioccolato li fa incontrare (lei va a lavorare da lui). Si innamorano senza però osare confessarselo, e purtroppo la loro cronica timidezza minaccia di allontanarli uno dall'altra...
"In queste riunioni c'erano tantissimi insegnanti - prosegue - raccontavano le difficoltà enormi per superare la loro timidezza di fronte alla classe, così anche degli impiegati di banca che avevano difficoltà nel rapportarsi col pubblico, ma non volevo che il film fosse troppo legato alla realtà. Volevo un universo più grazioso e a parte, proprio come la fabricca di cioccolato, che è poi il simbolo stesso del piacere, si offre all'altro, è sensuale. Inoltre lavorare il cioccolato per loro è quello che è stato il cinema per me, fin dall'adolescenza mi ha aiutato a superare le mie paure, a confrontarmi con gli altri. Solo una grande passione aiuta a superare le proprie ansie e l'incontro con gli altri. Tanti mi hanno detto spesso che ho evocato l'universo di Jacques Demy (autore de "Les parapluis de Cherbourg", perché il film nonostante non sia un musical, oltre all'atmosfera apparentemente senza tempo, prevede delle canzoni intonate dai protagonisti ndr.). Non ci ho pensato ma l'ho ponderata questa atmosfera, un mondo protetto, favolistico".
"Il produttore sarebbe stato lieto se avesse pensato a qualche marchio famoso di cioccolata, ma noi non
ci abbiamo mai pensato, anche perché doveva essere una piccola azienda, artigianale; un piccolo negozio e/o una piccola fabbrica, e niente glamour. Sicuramente la cioccolateria non assomiglia ai laboratori di oggi, che penso siano più asettici, probabilmente diversi. Anche per lo spirito del personaggio, lui è uno con la tendenza a lasciare le cose come stanno, di non cambiare. La fabbrica rappresenta l'universo dei genitori che lui ha lasciato così com'è".
"Credo che la commedia dia coraggio, aiuti a non sentirsi più in colpa, e io avevo molta voglia che potesse aiutare lo spettatore. Ho ricevuto poi tantissime lettere di persone che confessavano di cominciare a superare i loro problemi, di non sentiti più in colpa, perché molti lo nascondono, non hanno il coraggio di dichiararlo. E' una cosa brutta che ti impedisce di vivere, di correre rischi, e ci sono molti rimpianti, tanti non hanno fatto delle cose per paura, per mancanza di coraggio, hanno rinunciato a fare 'il cioccolato' per paura di fallire. Molti per mancanza di fiducia in se stessi non vivono la vita che vorrebbero e potrebbero vivere o fare. Oggi la società in tutto il mondo è ossessionata dalla prestazione, dal successo, e ognuno deve riuscire in tutto: lavoro, amore, vita. Si dice 'Non sarò mai quello che fanno queste persone, mai all'altezza di questi modelli', ma comunque ci sono persone più piccole, più modeste che arrivano a fare quello che vogliono fare, a raggiungere le loro passioni".
"Mi ha sorpreso soprattutto la reazione di una giovane donna che mi ha inviato una lettere dove mi ringraziava perché è riuscita a non sposarsi più. Erano già promessi alla vigilia delle nozze, ma dopo aver visto il film hanno deciso di non sposarsi, sono riusciti a liberarsi dalla situazione angosciosa creata dall'organizzazione del matrimonio".
"E' il secondo film che faccio con Isabelle Carré - afferma il regista -, quattro anni fa abbiamo fatto insieme un film-tv, "Maman est folle", è molto vicina al personaggio, anche lei ha molte paure. Tanti attori, anche famosi, sono molto emotivi, timidi e quando recitano si sentono a loro agio perché hanno le battute già scritte. Lei mi ha dato diverse idee, per esempio il fatto di cantare. Mi diceva che quando deve affrontare l'ansia alle conferenze stampa e riunioni, canticchia. Una è la canzoncina dei cartoni
animati, forse Candy Candy; l'altra è 'La confiance' (I Have Confidence – Io ho fiducia ndr.) che Julie Andrews canta in "The Sound of Music" (Tutti insieme appassionatamente) di Robert Wise. Ma entrambi i protagonisti sono molto vicini ai personaggi. Benoit di solito fa l'attore comico, noi abbiamo scritto il ruolo per lui, perché ero convinto che avesse qualcosa in più da offrire. Nella vita reale è estroverso, parla a voce alta, diventa centro dell'attenzione, la sua (e la nostra) è una strategia per trovare la giusta collocazione, per farci apprezzare, amare. 'La cosa migliore per nascondersi è fare tanto rumore' - dice Poelvoorde -, e così superare le piccole grandi ansie. In Francia alla conferenza stampa ha dichiarato: per superare la difficoltà guardavo il regista e lo imitavo, non c'è stato nessun problema".
"Sono ansioso per natura e trovo sempre un motivo per essere più ansioso. Ero appunto ansioso quando ho realizzato i film precedenti, ero addirittura angosciato e mi dicevo 'vedrai, non piacerà a nessuno', 'se facessi un film visto da un milioni di persone tutto cambierebbe'. Invece no (in Francia 'Emotivi anonimi' ha superato il milione di spettatori ndr.), non è vero che mi sono liberato dall'ansia. E' la mia prima commedia, ho fatto dei film molto dark, non allegri come questo, ma aver fatto un film che fa ridere è già un grande passo, far bene allo spettatore fa bene a me, e credo che se avessi visto 'Emotivi anonimi' a 15 anni mi avrebbe fatto molto bene".
"Ovviamente sono molto felice del successo, anche perché mi ha permesso di viaggiare nel mondo, dagli Usa al Giappone, dove mi hanno detto ' lei ha fatto un film sui giapponesi', cosa che non avevo mai creduto. Forse la loro millenaria gentilezza nasconde le loro ansie. Ma penso che la paura dell'altro e la mancanza di fiducia in se stessi accomuni le persone in tutto il mondo".
"La fobia sociale è l'ultimo gradino dell'ansia - aggiunge - ne soffrono quelli che non riescono nemmeno a uscire di casa; infatti alla riunione degli emotivi c'era chi diceva questa è la mia unica uscita settimanale. E' l'ultimo stadio dell'ansia, arrivati a quel punto non si fa più nulla né s'incontra nessuno. Non sono mai arrivato a quello stadio, magari evito di prendere l'ascensore per non incrociare delle persone; sono sul piano, aspetto che arrivi, e lo prendo, quando ho sentito i passi di quelli che sono usciti. Così come quando vado in un negozio non mi piace provare tante cose, compro qualunque cosa anche se non mi va bene, senza perdere tempo. Credo che siano tanti quelli che fanno così nei negozi di abbigliamento, dal parrucchiere. Mi sento troppo alto, troppo pesante, e cerco di fare prima possibile".
"Ma ormai ho 50 anni - confessa - e ho imparato a gestire la situazione, anche se non sono mai tranquillo. E' un anno che giro il mondo per la promozione, però credo di aver la paura che hanno gli attori prima di entrare in palcoscenico, e ciò oggi mi spinge a fare le cose, a non evitarle. Ho sempre sognato di fare il regista, e amato il cinema, nonostante la paura, anche perché sapevo che dirigere è fonte di stress. Credo di doverlo fare, se lo eviti si è sempre più soli e si ha meno fiducia in se stessi. Ormai è un mio alleato, quasi un gioco della paura che devo fare per non scendere ancora più in basso, verso la sfiducia".
"In Francia tutti mi dicono: 'ti è venuta meglio la commedia, devi continuare' - conclude -, ma non è più facile o spontaneo, non so cosa mi verrà meglio, se continuare, o conservare certi elementi del film. La cosa certa è che i miei film hanno un filo conduttore: la paura dell'incontro con gli altri, dell'impegno politico, di quello economico. Addirittura ho fatto uno su un giovane che si è autoaccusato di un omicidio per trovare un posto al riparo, un rifugio. Penso di essere positiva, le persone, in fondo in fondo, riescono a vincere la paura e ad andare incontro al legame con gli altri, che la si può superare".

Ci sarà il solito remake americano?
"Non lo so ma ne sarei felice. Mi immagino già i protagonisti, Anne Hathaway e Steve Carel, anche perché la mia commedia più che ispirarsi a quella francese proviene dai film americani anni '30-'40, quelli di Ernst Lubitsch, Billy Wilder, fino al suo 'Victor Victoria'. I film con Ginger Rogers (per Isabelle) o con James Stewart (per Benoit), le commedie americane di quelli anni. Ma è uscito da poco in America, e loro creano un universo diverso".
José de Arcangelo

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