giovedì 2 gennaio 2014

Dopo le feste, l'Italia si tinge di noir ne "Il capitale umano" di Paolo Virzì con le coppie Bruni Tedeschi-Gifuni, Golino-Bentivoglio

Presentato a Roma prima delle festività natalizia è in arrivo nei cinema - dal 9 gennaio presentato da O1 Distribution in oltre 350 copie - "Il capitale umano" di Paolo Virzì, non più una commedia dolce-amara, ma un dramma tinto di thriller, anzi un'indagine sui rapporti umani, famigliari e non, sociali ed economici. Liberamente tratto dal romanzo noir omonimo dell'americano Stephen Amidon (anche lui presente in conferenza stampa) vanta nel cast due Valeria, Bruno Tedeschi e Golino; due Fabrizio, Bentivoglio e Gifuni, e i giovani esordienti sul grande schermo Matilde Gioli (una rivelazione) e Guglielmo Pinelli (scelti tra 2000 ragazzi selezionati), e Giovanni Anzaldo, che proviene dal teatro ma gi interprete di "Romanzo di una strage" e di "Razzabastarda" di Alessandro Gassman, premio Gallio al Miglior attore..
"Voglio ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a questo film - esordisce Virzì, che ha lasciato il posto da direttore artistico del Festival di Torino ma resta come 'guest director' -, l'autore americano che amo tantissimo, il suo è un bellissimo libro; l'Indiana Production, Rai Cinema, dopo che Medusa è scappata, e Manny Films (con la Motorino Amaranto l'hanno prodotto ndr.), a fare possibile la trasposizione dal Connecticut alla Brianza. E poi due persone che hanno contribuito all'atmosfera del film, mio fratello Carlo per le musiche e Cecilia Zanuso per il montaggio perché senza di loro non sarebbe stato possibile mai fare questo film che si prestava ad una rielaborazione successiva, di un racconto di per sé lavorato".
"Mi interessava far emergere questioni che coinvolgono questo paese - prosegue -, ma non in modo retorico; far emergere certi temi senza enfasi, un discorso su questi tempi apocalittici. Un romanzo appassionante con qualche elemento thriller e una galleria di personaggi, la ricostruzione di una sorta di puzzle, alla vigilia delle feste Natale, quando un ciclista viene investito e lasciato in strada (in fin di vita ndr.), che ci fa scoprire cosa c'è dietro dietro le persone coinvolte. Vita, desideri, sogni, delusioni emergono per prendere in considerazione lo stato delle cose. Un mondo benestante grazie al facile arricchimento attraverso la finanza anziché tramite investimento o lavoro. A volte gli autori vengono chiamati a dare i loro punti di vista del proprio paese, spesso ci chiedono opinioni su Renzi e sulla legge elettorale, ma credo che l'importante sia che ognuno faccia bene il proprio lavoro. Io ho cercato di fare bene un film".
"Il segreto è scegliere scrittori bravi, anche la storia de "La bella vita" era penosa e straziante - dice a proposito del 'passaggio' dalla commedia al noir -, può darsi sia un altro tipo di cinema, ma mi sento debitore di un film meticcio, ispirato ad un libro americano, di un autore moderno con lo sguardo da narratore sociale, dalla finezza psicologica, che da vero cinefilo ha amato la letteratura e il cinema europei. La Brianza è un paesaggio esotico per noi, soprattutto per me che non sono mai andato più su di Pisa. Un mondo ricco, minaccioso e affascinante visto con quel tipo di humour nero, che certe volte ricorda Claude Chabrol; la ricerca di un tono, col dovuto rispetto ai debiti tradizionali della commedia italiana classica. Qualcosa di nuovo in un puzzle, un enigma che fa scattare una specie di allarme nello spettatore anche sul nostro tempo". "Forse il più vicino potrebbe essere 'Una vita difficile' - afferma sull'accostamento al cinema di Risi -, ma non ci ho pensato mai a far l'erede di Dino Risi, anche perché sono molto amico di Marco e non vorrei creare malintesi. Il mio compito è cercare di fare cinema guardando un po' al futuro; dopo nutrite letture e visioni di immagini, il legame col nostro cinema si è un po' sporcato".
"Ho potuto trovare altrove una città ricca, nel romanzo si tratta di un borgo del Connecticut, di ville grandi, e immaginavo un paesaggio simile, anzi per me è la stessa cosa, da noi la Borsa sta a Milano, nel romanzo il protagonista va a New York". "Ho lavorato un po' come faccio sempre da vent'anni - ribatte Bruni Tedeschi - cerco di guardare il personaggio con onestà e riportarlo a me, vedere quale sogni, solitudine e bisogni ha, e come l'azione entri in lei; per trovare la guerra interiore del personaggio, poi queste cose sorgono da sole, durante le scene, mi lascio sorprendere da me stessa e da quello che succede prima. In questa donna c'è una grande solitudine, una che sui sogni ha messo il coperchio, un fatto che trovo commovente, mi tocca, qualcosa che conosco, anche sulla sua crudeltà. Sono reazioni che affiorano quando ci sentiamo annegare, anche queste conosco, sono cose che mi toccano. Sono felice di lavorare con i Fabrizio, Valeria e tutti gli attori. Mi sentivo molto essenziale perché lo sguardo di Paolo mi ha fatto sentire bella e lo ringrazio per questo".
"Dovevo dare credibilità al rapporto con un uomo così - dichiara la Golino sulla moglie dell'immobiliarista rozzo e ambizioso -, il personaggio di Fabrizio (Bentivoglio), Dino Ossola. Roberta è una donna coerente, buona, aperta, proprio per il lavoro da psicologo che fa. Dovevo trovare il bene tra loro, dov'era il loro volersi bene, trovare un vero legame tra due persone che non avrebbero niente da dirsi. Sul modo di essere di lui, lei fa finta di non accorgersene, di adattarsi a quello che le viene dato. E con la figlia di lui, Serena (Gioli) cerca di creare un rapporto che comincia straniato, distante, e che in poco tempo è pronto a cambiare; il suo è un rapporto materno, di protezione, questi sono i mei giochi. E' bellissimo lavorare con amici (del resto, Bentivoglio è stato suo compagno per anni ndr.), sempre curioso; è diverso lavorare con estranei, anzi quasi più facile. Gli amici hanno tanti bagagli ed è molto interessante lavorarci insieme. Sono tanto contenta di poter lavorare con Paolo perché da tanto tempo volevo farlo". "Il libro raccontava moltissimo del passato dei personaggi della finanza - riprende l'autore - perché negli Usa hanno ricchezze di prima generazione che si conquistano, e non ce la fanno a sortire da una patina di grottesco, che è anche il problema della nostra borghesia. Sono i puritani scacciati dall'Europa in America, il nostro rango famigliare ha un importante pedigree, elegante come Gifuni, un rango per cui ha investito un patrimonio familiare importante, non strutturale ma sociale".
"Questa sceneggiatura è stato il lavoro più impegnativo e appassionante - afferma lo sceneggiatore Francesco Piccolo (col regista e un altro Francesco, Bruni -, non solo sulla creazione dei personaggi e del loro sviluppo, ma su un gioco di scomposizione non fine a se stesso. Abbiamo creato una sorta di ministero degli ellisi, il pubblico capirà in lasso tempo che c'è stato, e nel nostro cinema, lavorare sul racconto non convenzionale, sono occasioni molto rare". "A proposito dei personaggi, nel romanzo vivono in un altro mondo - ribatte Bruni -, abbiamo avuto l'occasione di partire dal grado 0 e portarli in Brianze, che in ognuno ci fosse qualcosa che ci riguardassi, anche nell'ultimo personaggio c'è qualcosa che ci può ricordare. Aprire strade e non solo chiuderle, per poi andare da un'altra parte".
"Questo film mi piace moltissimo - confessa lo scrittore Amidon -, mi ha sorpreso vederlo per quanto è ben fatto. Parlando di influenze cinematografiche è molto complesso, però metterle su un libro e poi rivederle ritornare sullo schermo è gratificante. Penso che Paolo e i due Francesco sono riusciti a prendere la complessità del libro che li ha travolto per circa 4 anni, persino io avevo tentato di scrivere la sceneggiatura e non ero riuscito. Loro lo hanno risolto in maniera brillante, le strutture sono diverse se le esamini con attenzione. Hanno messo tanto lavoro perciò vi ringrazio dell'ottimo risultato".
"E' un bell'uomo - ironizza Bentivoglio sul suo personaggio, per certi versi estremo -, non ha letto niente, non sa che è un mostro. L'ho costruito pensando se c'è un capitale umano, c'è anche uno disumano, lui attraverso il confine ma lo fa senza accorgersene, crede di farlo a fin di bene, per la figlia, per la compagna. Non percepisce la sua mostruosità, ha sempre qualcosa fuori misura, come si veste, si muove smisuratamente. Quanto serve ad allontanarlo da noi, non capire quanto sia facile superare il confine tra umano e disumano, questa cosa è appiccicata a tutti, e credo questo limite vada sorvegliato". "Mi sono molto divertito a fare questo personaggio - ribatte Gifuni sul suo Giovanni Bernaschi -, tra i più eccitanti della mia esperienza cinematografica, perché raramente posso mettere in campo una parte più libida, oscura, storta o più sporca. La cosa più interessante nel lavorare con Paolo è che non ha mai messo in campo personaggi con un colore solo o due; poi la bella complessità della sceneggiatura, forse in corsa un pizzico di violenza in più non dispiaceva, perché viene anche dalla disperazione. Lui sa di essere molto controllato e di controllare tutto, vive di numeri, di algoritmi, e fa benissimo a prenderlo in un momento disperazione, quando il suo mondo crolla è più interessante. E dato che non vediamo la sua genesi, abbiamo cercato di aggiungere particolari che raccontassero un po' il passato, infatti la famiglia non era in sceneggiatura.
La telefonata e il finale danno un senso a cosa ha fatto questo personaggio, dal punto di vista umana si fa carico di questa lussuosa baracca, sui cui pesa il suo lavoro. I fratelli sono inadeguati ai ruoli che il padre ha attribuito loro. Una è in giro in India, ma vuole la casa in via Monte Napoleone; l'altro è nullafacente pieno di tatuaggi, e lui non considera il suo lavoro sporco. Il nostro sguardo offre un piccolo campioncino di umanità che ha invaso il mondo e con cui dobbiamo fare i conti, per me è stata un'esperienza divertentissima, anch'io avevo tanta voglia di lavorare con Paolo, e questa è stata l'occasione giusta, anche perché è un film diverso da quelli precedenti, più nero, libero e, comunque, amaro".
"Anch'io quando ho letto il personaggio mi sono chiesto perché Paolo vede questo in me? - chiude Luigi Lo Cascio che è l'intellettuale Donato Russomanno, scaricato dalla borghese annoiata -, perché non è descritto come un eroe, il suo squallore, la sua libido, non credo mi somigli. Non avendo un grandissimo sviluppo nella storia, appare con le sue caratteristiche, e poi scompare. Dovevo capire perché piace a questa donna, bella, ricca, affascinante. In questo caso sono io l'oggetto del suo desiderio, e la risposta me la sono data, il motivo è fuori campo, mentre assistono al film di Carmelo Bene, in basso a sinistra, solo un capriccio; lo strumento per farla entrare in contatto con la cultura che rappresento, la parabola che la porta alla disperazione e anch'io scompaio. Forse non è reale, ma il punto d'intersezione tra cultura e finanza"i.
Il film di Virzì è un Green movie, dato che il tempo del consumo è finito, ma non c'è stato - dicono - "nessun sforzo speciale ma solo accortezza nella produzione, soprattutto dal produttore esecutivo che ha distribuito pdf anziché copioni". José de Arcangelo

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