venerdì 31 gennaio 2014
"Smetto quando voglio" di Sydney Sibilia: una commedia all'italiana che è una vera, felice, sorpresa, con Edoardo Leo e C.
Un'opera prima in commedia che si è rivelata una vera sorpresa: "Smetto quando voglio" di Sydney Sibilia parte all'insegna di "meglio essere ricercati che ricercatori..." in un'Italia che cambia sempre, in peggio, e dove il precariato ormai coinvolge tutti e non solo i 'giovani'. Visto che lo spirito è quello dolce-amaro della miglior commedia all'italiana, realistica e corrosiva, parodistica e comica, la produzione (Fandango con Rai Cinema) e la distribuzione (O1) hanno deciso di lanciarla in oltre 250 copie dal 6 febbraio.
Se l'ispirazione è venuta a Sibilia dopo aver letto un trafiletto sul giornale, "Quei netturbini con la laurea da 110 e lode", la storia è inventata ma poggia su basi tutt'altro che irreali, anche quando la realtà supera la fantasia e diventano persino poco credibili.
Pietro Zinni (Edoardo Leo) ha trentasette anni, fa il ricercatore ed è un genio, ma questo non basta nemmeno per fare il precario all'università. Infatti, viene licenziato in tronco e cosa può fare per sopravvivere se nella vita non ha fatto altro che studiare?
Mettere insieme una banda come non se ne sono mai viste e 'creare' una nuova droga 'legale'. Recluta i migliori tra i suoi ex colleghi, che nonostante le competenze vivono ormai ai margini della società, facendo chi il benzinaio, chi il lavapiatti, chi il giocatore di poker, chi il capo operai al comune. E Macroeconomia, Neurobiologia, Antropologia, Lettere Classiche e Archeologia si riveleranno perfette per scalare la piramide malavitosa e il successo non si farò aspettare...
"No a Montecitorio non lo faremo vedere - risponde Sibilia all'idea lanciata da una collega alla conferenza stampa di presentazione -, la satira sociale è relativa, volevano soprattutto far ridere gli spettatori".
"Il linguaggio forbito fa molto ridere - dice sugli attori -, mi piace quando Valerio cambia voce, lui e Lorenzo sbocciavano in lingue madri, passavano dal latino a sanscrito, schippavano tra una e l'altra, merito loro naturale, sono orgoglioso di come l'hanno messa in scena".
"Durante la scena dal benzinaio, appunto - ribatte Leo -, mentre loro parlano latino ed io del mio campo, ad un certo punto si sono incastrati, e io me ne stavo davanti con un cartello sul torso. Era una difficoltà di tutti perché recitavamo a memoria, io per le formule chimiche mi sono aiutato con un piccolo depliant. Non sapevo nemmeno cosa dicevo, mentre ero davanti a disegnetti astratti, visto che la matematica e la chimica non sono il mio forte. Ed è stato divertente anche per questo".
"E' tutto vero - riprende Sibilia -, il latino è delicatissimo perciò mi sono detto, andiamo in un posto dove si parla solo latino (è citato tra i ringraziamenti), dove vengono studiosi dalla Francia, dal Giappone, ma visto che si parla solo latino, non ci è servito molto".
"Col cingalese? L'ho studiato su What's Up - confessa Valerio Aprea che è Mattia -, ma siamo andati anche all'ambasciata perché qualcuno mi aiutassi, e ho perso una settimana".
"In realtà parlavamo una sorta di grand bleou" ribatte Lorenzo Lavia.
"Mentre facevo i numeri mi sono doppiato - confessa Libero De Rienzo, nella parte del matematico Bartolomeo - perché non capivo nulla di quello che dicevo, ma non c'è differenza, chi se ne frega se non abbiamo capito tutto".
A proposito della serie americana che parte da uno spunto simile, il regista dice: "E' venuta in un secondo momento (l'idea per il film è nata nel 2010 ndr.), il fatto è che loro si concentravamo su un delinquere senza delinquere, una droga che in realtà non esiste e perciò non è illegale, ma il film è strapieno di citazioni... tredicimila".
Naturale visto che affronta temi attuali e/o sempre verdi, si può partire persino da "I soliti ignoti", anche se lì erano disoccupati ma nessuno aveva la laure, nemmeno le medie, per finire con "7 uomini d'oro", dato che anche loro sono in sette.
"Se parti dal sociale - spiega l'autore, co-sceneggiatore con Valerio Attanasio e Andrea Garello - mi sembra di abbassare il profilo, sul serio, la commedia si sgonfia; se prendi certi aspetti diventano paradossali, infatti, ci sono alcune storie talmente assurde (ma vere ndr.) che non potevi inserirle".
"Oggi è più difficile ottenere un successo commerciale - afferma il produttore Domenico Procacci -, per fortuna posso continuare a fare film, ma sono soprattutto film importanti; prima avevamo più esordi ora di meno, ma voglio continuare a lavorare su opere prime, in modo di lavorare di più con persone che hanno fatto qualcosa o sono all'esordio in un ruolo diverso. Se si lavora sempre con gli stessi pochi attori, registi, scrittori, i film si assomigliano sempre di più fra di loro. Sulla commedia si può cercare l'originalità, sul sociale mai, cercheremo tranquillizzare Sibilia, e di non somigliare ad altri film. L'idea sembra mia, ma se vedete qualcosa di diverso, originale, è questo il nostro lavoro. Matteo Rovere (il coproduttore ndr.) ha portato il progetto a noi, al cinema il seguito".
"Il progetto parte da due fronti - ribatte Rovere -, un giovane regista, Sydney, che viene da un percorso classico di corti apprezzati, che lo propone al piccolo produttore, poi passa a Domenico che ha la forza di Fandango e si unisce a Rai Cinema. Così è stato possibile fare un cast forte ma variegato, senza i soliti due o tre nomi. L'energia di una produzione che ci ha sostenuto può pagare qualcosina. L'energia fresca che Sydney aveva, del tipo di film che dovevamo fare e diventare hanno fatto il resto. Da una parte ci sono autori che vogliono fare opere prima e trovano difficoltà finanziarie perché noi siamo orami un po' vecchi. Molti fanno le web series, costano poco e le possono vedere tante persone, a teatro può confrontarsi col pubblico subito, mentre il cinema ha bisogno di un trade union tra la realtà produttiva meanstream e l'altra. Non è semplicissimo che quel corto possa diventare un film senza essere identico ad altri".
"Volevamo fare una cosa su una banda, un film corale - riprende Sibilia sul cast - e, intanto, che gli attori non si prendessero troppo sul serio, altrimenti diventava subito un dramma sociale. Così ho pensato ai più brillanti che c'erano in giro, che avevano voglia di divertirsi con me. Anziché i provini ho stampato delle card con le loro facce che ruotavano sul tavolino e mi sono messo a pensare chi può fare chi, partendo da Edoardo che è arrivato prima ed era sicuro al 100 per cento, fisso, senza di lui non si fa mai".
"E' un dittatore, vessatore" lancia Procacci.
"Devo fare un ringraziamento - ribatte Leo -, perché quando mi ha proposto il film non potevo farlo per qualche mese, perché impegnato. Di solito un regista non ti aspetta, ma questo pazzo è riuscito a spostare addirittura il film. 'Sei sicuro?, dicevo, prendi un altro'. Di solito i film saltano per i motivi più impensati, è stato molto bello che aspettassero me tanto tempo".
"Non c'è messagio, è un paradosso, come in 'Ocean's Eleven', deve far ridere", riconferma il regista, per paura che il film venga considerato impegnato, forse.
"La formula della molecola è vera - chiosa Valeria Solarino che è Giulia, ignara compagna di Pietro -, creerebbe una droga molto potente. Come il personaggio di Pietro Sermonti (che si finge non laureato per trovare un posto in un officina meccanica ndr.)nella carriera, ai provini, ho finto di saper fare delle cose, come andare a cavallo mentre non sono mai salita su uno, ho persino negato di aver fatto l'accademia. Credo che per trovare lavoro si faccia un po' qualsiasi cosa".
"Io al contrario ho falsificato il curriculum - dice Leo -, ho dichiarato di aver fatto la scuola di teatro a 'La scaletta' che non so nemmeno dove sia, con la paura che scoprano che non sono mai stato; altrimenti mi dicevano ma nel tuo cv non c'è niente, nemmeno la data di nascita".
"Gli attori sono precari sempre - afferma Lavia -, ci si inventa e si rinventa tantissimo, non abbiamo uno stipendio fisso e bisogna scrivere carte falsa, reinventarsi".
"Io confesso di aver fatto veramente la scuola 'La scaletta' - dice Aprea - quando era in via del Collegio Romano, poi si è scisa nel Conservatorio Teatrale di via Mameli".
"Io mi sono proposto per un ruolo femminile - dice Stefano Fresi che è Alberto - e ho fatto il provino con la barba, il bello è che poi ho girato il ruolo con la barba".
"La cosa più assurda che ho fatto - dichiara Sermonti che è Andrea - è stato un provino di sport stremo e il giudizio di una persona che sai di non stimare ti lascia segni indellebile. In realtà sognavo una vita artistica in Uruguay, ma adesso con Google mi è capitato un periodo in cui sognavo spesso, e ho capito che è meglio essere il protagonista di un bel sogno che avere una particina".
"Lavoravo poco e dovevo fingermi un altro attore - afferma Paolo Calabresi nel ruolo di Arturo - e mi sono finto Nicolas Cage per andare a vedere la partita calcio, poi mi sono finto qualcun altro. E voglio tranquillizzare Sydney che ha paura che diventi un film pesante, ma tutti i film più grandi s'ispirano alla realtà sociale, vedi "Guardie e Ladri", ci si diverte ma lui (Totò ndr.) finisce in carcere. Se la storia è credibile funziona, e il precariato del film è molto credibile".
"Io invece ho scambiato Arnoldo Foà per Dario Fo - ribatte De Rienzo -, e ultimamente Barbara De Rossi con Barbara D'Urso".
"Avevo pensato ad una donna nella banda - conclude Sibilia -, ma in realtà la storia è priva di riferimenti sessuali".
E i ragazzi che comprano la droga nel film? "Erano i più bravi per quel ruolo".
E nel cast anche un inedito Neri Marcorè nel ruolo del 'cattivo' di turno. Vedere per credere.
José de Arcangelo
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