venerdì 16 gennaio 2015
La giusta cinquina di attori per il nuovo, riuscito, film di Francesca Archibugi "Il nome del figlio", ispirata alla commedia teatrale e cinematografica francese "Le Prenom"
Bentornata Francesca Archibugi! In uscita il suo nuovo film”Il nome del figlio”, tratto dalla pièce (e film francese) “Le prenom” di Alexandre de la Atellière e Matthieu Delaporte, con una cinquina di attori giusti per una commedia, se vogliamo generazionale, che mette l’accento più sui vizi che sulle virtù non solo degli italiani. Quindi, ecco Alessandro Gassman, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, Rocco Papaleo e Micaela Ramazzotti in una ‘cena di famiglia’ graffiante e divertente che mette alla berlina il modo, anzi i due modi, di essere italiani, nelle sale dal 22 gennaio in 280 copie, prodotto (Indiana Production, in collaborazione con Motorino Amaranto, Rai Cinema e Sky) e distribuito da Lucky Red.
“Sono contentissima di aver fatto questo film – esordisce la regista alla presentazione stampa, ‘moderata proprio’ da Virzì -, di avermi spinto a mettermi al lavoro (lo dice per i produttori Paolo Virzì, soprattutto, Lorenzo Gangarossa e Stefano Massenzi ndr.), perché si parla di amicizia e di legami che hanno un valore - anche se talvolta sono tormentati -, e questa storia ci illumina proprio su questo. E’ stato un vero viaggio transoceanico, perché abbiamo fatto delle prove prima, anche se delle vere star si sono comportate come attori alle prime armi. Un lavoro che è stato veramente duro ma soddisfacente, abbiamo lavorato in modo pignolo e meticoloso su ogni cosa per lasciare gli attori liberi all’improvvisazione e sono riusciti tutti a dare il meglio. Eravamo un po’ nella burrasca perché hanno tutti una provenienza e un approccio differenti. Di solito gli attori non riescono a unificare il modo di recitare con gli altri, invece loro sono riusciti ad amalgamarsi, sono veramente affiatati”.
“Partire da una fase di scrittura così alta, aiuta tantissimo – ribatte Alessandro Gassman che è Paolo, estroverso e burlone agente immobiliare -, il gioco è stato più facile, certo, mi è capitato a volte interpretare personaggi che avevano qualcosa a che fare con questo, dato che rappresenta una fetta molto alta degli abitanti della nostra Penisola, simpatici per alcuni versi, ma è uno dei mali primari di questo paese, perché in realtà non sai chi sono. Faccio cinquant’anni a febbraio e in questo personaggio ho messo la mia ‘ lordosi’, quello che mancava ai personaggi di mio padre”.
“Il fatto di aver avuto anche lui un padre mitologico l’ha aiutato”, ribatte Virzì.
“Sandro è concentrato su di sé, sulle sue cose – dichiara Luigi Lo Cascio -, come se si spalancassi nei momenti degli altri, invece, si rinchiude nell’attività introspettiva del ‘twittare’. Le cose di cui si occupa non interessano nessuno, i suoi saggi non li leggono nemmeno, vive in una totale sordità altrui. E’ una sorta di sua vendetta, con cui nasconde la sua fragilità. In questo incontro non solo avviene il riconoscimento di se stessi, ma qualcosa conosceva e teneva lontano dalla conoscenza. Il fatto di essere tutti cinque sempre tra di noi, è stato bellissimo, non dico divertente perché, si dice, quando si divertono attori, il film non è divertente. E la direzione dell’Archibugi ha fatto in modo che venisse fuori una sinfonia”.
“Credo che oggi, 16 gennaio, verrà ricordato come ‘il giorno della gratitudine – ironizza Rocco Papaleo che è Claudio, eccentrico musicista e amico d’infanzia degli altri tre -, e io non mi sottraggo ai ringraziamenti. Sono entusiasta, è sempre un regalo della vita fare un bel lavoro che ti offre l’attenzione e la possibilità di frequentare persone intelligenti. Questo film mi ha confermato che un lavoro di precisione è la qualità fondamentale del cinema, e visto che normalmente, quando mi rivedo, mi faccio cacare’, con l’Archibugi mi è sembrata l’occasione per stare in bilico, un personaggio che non è una cosa soltanto, ma doppio triplo, con la passione di essere un po’ ambiguo. Avevo lavorato con Alessandro un paio di volte, ma Valeria e Michela erano i miei miti, e penso torneremo alla vecchia relazione”, scherza ancora.
“Francesca è la donna più importante della mia vita – rincara Micaela Ramazzotti -, penso di amarla, se non avesse sposato Virzì, forse, sarebbe stata l’Archibugi; nel primo film (‘Questione di cuore’ ndr.) facevo la mamma, con lei ho fatto due donne incinte, racconta la grande maternità, ci ha adottato tutti, amato, come penso abbia coccolato tutti gli attori e le persone che incontra nella sua vita. La sua amicizia è una grande fortuna, un privilegio, tant’è che sono gelosa di una cosa, infatti, sto convincendola a scrivere dei twitt solo a me. Simona è una donna un po’ sciocchina che poi diventa la tigre di Casal Palocco, si arrabbia con tutta se stessa, pancione compreso. Al terzo strato scopriamo che è un vero talento. Quella notte d’estate, quella serata particolare, è come se quel racconto l’avesse scritto un po’ lei. Infatti, apre e chiude il film con una sua frase”.
“Francesca la rincontro dopo tanti anni, quasi 18 anni (‘L’albero delle pere’, 1998) – ribatte Valeria Golino che è Betta, sorella di Paolo e moglie di Sandro, insegnante con due figli -; poi abbiamo cercato di lavorare insieme senza riuscirci, tant’è che quando me l’ha proposto l’avrei fatto senza se e senza ma. Anche il fatto di far ridere con lei, capita poco spesso sceneggiature che facciano ridere, e poter far ridere, mi allarmava e al tempo stesso mi eccitava. Betta è affettuosa, dolce, remissiva; si adatta agli altri, all’energia degli altri, cerca un’armonia in modo di mettere d’accordo tutti e che tutto vada bene. Questo suo pregio/difetto la trattiene dall’essere una persona compiuta, ma la rende amabile, e ha vari strati anche lei, non solo la mamma affettuosa o la moglie apprensiva. Parlavo molto con Francesca del disagio di Betta, del fatto che i maschi parlano escludendola, senza di lei. I film sono un’esperienza di vita per chi li fa, e io mi sono rivista e divertita”.
“Naturalmente l’abbiamo scritta partendo da puntelli ben congegnati – dice l’autrice, sceneggiatrice con Francesco Piccolo -, il lascito della commedia teatrale è tutto il fil di ferro, noi abbiamo scritto tutto il resto, solo così si può lasciare spazio all’improvvisazione, sono scelte fatte durante la scrittura”.
“Se gli attori si mettessero a fare degli assolo, io direi ‘me ne vado’ – afferma Piccolo -. Avevamo comunque una pièce e un film, ma poi siamo andati per fatti nostri, abbiamo lasciato gli eventi, i personaggi li abbiamo ricreati noi, in modo che gli attori potessero improvvisare su personaggi costruiti in maniera solida. Allo stesso tempo, avere una sceneggiatura buona se poi non si trovano attori così bravi non serve a nulla; vedere questi personaggi fatti da loro mi diverte e mi commuove molto, loro danno vita a questi personaggi, anzi dagli attori e da Francesca. Ho cercato di raccontare una storia che arriva da un’altro film come fosse nostra, come ci appartenesse e, credo, sembra appartenerci tantissimo”.
“Io e Paolo siamo amici da vent’anni – confessa l’Archibugi -, ci telefoniamo, da anni ci scambiamo i copioni, il fatto è che avendo fatto il produttore è stato un vero sostegno in un momento in cui mi sentivo più fragile, però anche con tanti altri registi e sceneggiatori ci vediamo, ci scambiamo delle lettere, e-mail, l’ultima al ministro sul fatto del fumo al cinema e nella fiction, siamo proprio un gruppo. Il nostro cinema un’identità ce l’ha, solo che la vedono più all’estero che da noi; ci dicono ‘fate un grande cinema in Italia’, ma considerato così male nel nostro paese, certo, noi veniamo dopo i ‘grandi’, ma cerchiamo di mantenere la sala, combattiamo tutti quanti con gli attori, sceneggiatori, tutti insieme perché venga piantata la bandiera del film in sala, perché il cinema che va in sala non muoia, dobbiamo perdere la vanità autoriale, il nostro lavoro è fare film per la sala”.
E poi chiarisce il doppiaggio per la giovanissima Betta: “La ragazza che fa Valeria da piccola è bravissima, l’abbiamo doppiata perché la voce di Valeria è inimitabile, ad un certo punto ho avuto il desiderio di farlo per avvicinarla, l’ha alzata di tono, un cambiamento su cui abbiamo lavorato tanto, il cinema è una mediazione tecnica e ho la responsabilità di seguire tutto”.
“Ho messo in scena un gruppo di personaggi – dice l’autrice su mentalità e protagonisti -, volevo che una specie di luce illuminasse loro, non è uno spaccato, volevo che attraverso i contrasti raccontassero al meglio un modo di essere. Abbiamo raccontato non giudicato, amiamo tutti i personaggi, come diceva Renoir ‘anche i personaggi negativi hanno delle buone ragioni’. Se sei un nevrotico irrisolto che vuol aggredire tuo padre sono problemi tuoi, tanto che ad un certo punto viene detto ‘eravamo una famiglia ricca, elegante, che organizzava delle cene con gli amici come fosse quella la lotta di classe’. Io non ho mai parlato per bocca di un personaggio, è disdicevole se fatto da un autore”.
“Avevamo pensato ad uno scambio di ruoli – scherza Lo Cascio sul suo personaggio e quello di Gassman -, ma abbiamo visto che avevano solo tre settimane di riprese e non funzionavano, abbiamo dovuto ricambiare in poco tempo, poi però i costumi non ci stavano… All’inizio ero invidioso delle cose intelligenti che diceva. Rocco, invece, faceva del nonnismo sul set, parlava della ‘puzzina’, metteva delle puntine sulle sedie, dell’affinità tra l’umoristica e la dieta, secondo lui dipende da quello che si mangia essere più comici o meno”.
“Ho scelto questo film – riprende Piccolo -, forse, come mezzo di trasporto per raccontare una cosa che riguarda noi, un film per noi. I due modi di pensare che da vent’anni, ma in realtà da cinquant’anni, divide l’Italia. Abbiamo amore e simpatia per tutti, evitando nel possibile giudicare con più generosità quelli vicini e con meno quelli che non ci assomigliavano”.
“L’idea è stata di Francesca – afferma la Ramazzotti sul fatto di usare la sua gravidanza e persino il vero parto nel finale del film -, e io ho accettato pensando ‘e quando mi capita un’altra volta?’, ma poi ‘adesso chi lo dice a Paolo’. Lui invece disse: ‘fate voi, siete pazze’. Per me è stato un regalo, non avevo mai visto un parto, e penso sia la prima volta anche per lo spettatore”.
“Sono arrivata quella mattina in sala parto e ho girato io stessa con la telecamerina – dichiara la regista -, e Micaela ha detto persino la battuta ‘ma è femmina’! Considero Paolo un fratello, noi due amiche profondissime, lavorare con la mediazione tecnica, aggiornarsi è il nostro lavoro, sempre artistico, tanto da spingere con una mano Micaela e con l’altra il display che non vedevo dalla commozione”.
“Anche sull’ambientazione – prosegue -, cercavamo una casa grande, spaziosa, per due non ricchi, e che potesse accogliere tutta la troupe, tant’è che abbiamo dovuto portarci cinquemila volumi altrimenti i libri non si vedono. La conquista della periferia non è un fenomeno romano ma di altre capitali, da noi tutto è molto immoto, il Pigneto è periferia del centro storico, l’interesse da parte loro perché l’affare immobiliare era lì, e ci sembrava un tocco realistico”.
“Fabio Cianchetti è un eccellente direttore della fotografia – conclude l’Archibugi -, e io non guardo mai al monitor ma sono attaccata all’operatore e alla mdp sempre in movimento, gli ho detto solo una cosa: ‘voglio fare dei ritratti rinascimentali in movimento’, teniamoli per noi, poi ci sarà un momento in cui li inserirò; la luce, l’attenzione al volto umano, penso che ogni cosa sia significativa, ma la cosa più bella è l’essere umano, e Fabio è un talento; Esmeralda (Calabria, la montatrice ndr.) per me è una sorella, tra noi c’è accordo espressivo, abbiamo lavorato con accuratezza, conoscevamo a memoria i ciak degli attori, e volevamo dare un tono, un respiro, un passo su quello che avevamo lavorato sulla recitazione, queste cose non esisterebbero senza un massiccio apporto dei collaboratori, anche le musiche di Battista Lena, mio marito da trent’anni, lui ha collaborato con me fin dal primo lungometraggio, ha messo la prima nota sul mio lavoro. Questa è una commedia dove il tono allegro si unisce alla nota malinconica, a volte drammatica, per accompagnare i momenti che possono diventare più dolorosi”.
José de Arcangelo
(3 stelle su 5)
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