giovedì 15 gennaio 2015
Saverio Costanzo racconta l'angosciante storia dell'ossessione d'amore di una giovane madre che cerca di proteggere la purezza del suo bambino mettendo a repentaglio la sua vita
Come recita un detto in spagnolo "Hay amores que matan", ovvero 'ci sono amori che uccidono', questo è il succo di "Hungry Hearts", il film di Saverio Costanzo tratto dal romanzo "Il bambino indaco" di Marco Franzoso (Einaudi), presentato nel concorso ufficiale alla 71a. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, dove si è aggiudicato la Coppa Volpi per i due protagonisti, Alba Rohrwacher e Adam Driver. Nelle sale italiane dal 15 gennaio in 150 copie, alcune sottotitolate, distribuito da O1 Distribution
Storia di un'ossessione che inizia come romantica storia d'amore per trasformarsi pian piano in un incubo senza via d'uscita. Un dramma psicologico che scaturisce da diversi episodi e sentimenti, forse, mai espressi: dalla solitudine alla ricerca di sé, dai rapporti di coppia a quelli sociali, dall'ansia e dalla paura di una società sempre più caotica e minacciosa. Da qui il passaggio dal (claustrofobico) dramma da camera al thriller dei sentimenti per finire nell'horror dell'anima umana.
Jude (Driver) è americano. Mina (Rohrwacher) è italiana. Si incontrano per caso a New York, nello squallido bagno di un ristorante cinese. Dal colpo di fulmine a un'esistenza che si annuncia nuova e serena. Ma, fin dai primi mesi di gravidanza, Mina - vegana per drastica scelta - si autoconvince che suo figlio deve essere un bambino speciale. Il neonato deve essere protetto dall'inquinamento del mondo esterno e per rispettare la natura bisogna preservarne la purezza.
Però il suo 'infallibile istinto di madre diventa una minaccia più pericolosa della realtà che li circonda. Jude, per amore della donna, all'inizio l'asseconda fino a scoprire una terribile verità: il bambino non cresce ed è addirittura in pericolo di vita, deve fare presto per salvarlo...
"Dopo aver letto il libro, ho scritto molto sulla memoria - esordisce Costanzo, autore anche della sceneggiatura -, su quello che ricordavo della storia. Non è un preciso adattamento, il libro inizia con un flashback, come fosse raccontato in un bar, la seconda volta la lettura del libro è stato molto utile per i riferimenti e sui dati medici. Ho conosciuto l'autore, ma il punto di vista è mio, come ho detto a Venezia il giorno della presentazione".
"E' un film girato in super 16 - prosegue -, lavorato come una volta, in modo addirittura più semplice e leggero che lavorare con telecamere digitali, erano quelli i mezzi che avevamo, non per qualche intento intellettuale ma per provare a raccontare questa storia, e poi c'era un'esigenza particolare, farlo in fretta per rispettare gli impegni di Adrian Driver, abbiamo dovuto fare di necessità virtù, visto i poveri mezzi che avevamo. Ho girato come vent'anni fa, forse un po' meno, l'uso del grandangolo è stata una scelta di regia perché in questo modo vengono superati ostacoli fisici, avevamo una casa molto piccola a NY. Il grandangolo può sembrare una scelta riflettuta invece è stata un mezzo per superare una serie di ostacoli, per fare in modo che la casa si chiudesse intorno a loro. Al contrario dello studio, ci sono mura che non puoi togliere, così mi sono potuto permettere uno sguardo allucinato che non avrei fatto con un altro obiettivo".
"La scena iniziale non c'è nel libro - aggiunge -, ma sarebbe interessante andare a rileggerlo. E' ambientato a Padova, lei è straniera, proviene da Germania/Svizzera tedesca, c'è una dimensione di solitudine, di distacco dalle proprie radici, perciò volevo fare di Alba una straniera, sradicata dalla realtà originaria. Poi ho abitato a New York, quando feci la tesi laurea, e non riuscivo a visualizzare la storia a Roma, perché è un ambiente più felpato, a NY, invece, è più aggressivo, bisogna difendersi dal fuori. Ho una storia emotiva con la città, e mi è sembrato più semplice ambientarlo lì".
"Driver l'ho conosciuto in America, all'inizio era impegnato, ma poi non ho trovato nessuno adatto al ruolo, anche se tra gli attori c'è una media molto alta, Adrian è un fuoriclasse anche come persona, la lingua inglese è molto significativa, la musicalità è media molto alta, stavamo per tornare indietro con film non fatto, ma l'agente di Adam ha insistito e lui, letta la sceneggiatura, ha incontrato Alba e me, per lui sembravamo due che provavano a fare successo in America, siamo stati guardati dall'alto al basso dai suoi due metri di altezza, alla fine ci ha abbracciati".
"Adam è una grande persona che si trova sulla rampa di lancio - continua -, dopo una serie di grandissimo successo, ora sarà in 'Star Wars' e nel nuovo progetto di Scorsese, e visto che volevamo fare un film rischioso, tentativo che lì fanno di meno, e portare una testimonianza come questa è una cosa preziosa per gli attori, perché possono esprimere di più. Lui non sapeva niente di noi, ma si è fidato dell'incontro umano che c'è stato. Inoltre, il film non riuscivo a visualizzarlo a Roma soprattutto sul cibo, mentre a New York è difficile trovare verdure (fresche e biologiche ndr.) se non a costi altissimi".
"Ho cercato di volere bene il personaggio - ribatte Rohrwacher -, capire le motivazioni, all'inizio il suo atteggiamento è giusto per poi diventare un pericolo per il bambino stesso, una discesa lenta e graduale in cui lei diventa il nemico all'interno della famiglia stessa. La sceneggiatura non giudicava Mina, ma non è facile non giudicarla, e alla fine lascia intravvedere la possibilità di un cambiamento, si rende conto di essersi allontanata dalla realtà, portando nel viaggio in metro il bambino in riva al mare, davanti al sole. Rompendo la regola che aveva deciso di applicare nell'educazione del bambino dimostra che, forse, cambierebbe".
"L'ideologia è la quantità d'amore, qualcosa che non voleva, viene spaventata travolta dall'ecceso d'amore e, come spesso accade, per difendersi bisogna credere o crearsi una propria ideologia, un fatto che ci rende persone che credono di essere assolutamente nel giusto, una persona che, anziché ascoltare, smette; che cerca solo se stessa, non si apre ma si chiude. Il cibo serve anche per parlare d'altro, che la ricerca della purezza assoluta è impossibile, ma per lei diventa ideale poi dogma infine ideologia, regola, per questo diviene pericolosa".
"Ad Abu Dabi un critico indiano mi ha detto 'bello questo film ma non dovevi finirlo così, ma sul letto. Non so quante volte mi sono domandato, 'se fosse rimasta a letto', forse, guarita, mi sembrava una consolazione conformista, però è il sacrificio quello che porta la gente al cinema, fa in modo che le persone ritrovino quel personaggio tragico, di restare molto più tempo dentro loro, però indica anche una possibilità. Sarebbe stato più consolatorio per chi li incontra però meno indimenticabile, meno eccezionale. L'avrei preferito, ma non c'è l'ideologia della brutta fine".
"Nella versione ogirinale cantava Driver in italiano (durante il matrimonio ndr.), in questa è stato doppiato - conclude l'autore -, la sceneggiatura è molto precisa, noi lavoriamo con gli attori cercando di coinvolgerli, un bravo regista può farsi aiutare tantissimo da grandi attori, ma abbiamo improvvisato poco. Un po' per pudore, visto che abbiamo fatto una prima lettura con Adam il giorno che abbiamo fatto la fotografia del matrimonio, interrotti da riunioni di produzioni. Poi, una mattina da noi, di domenica, dato che avevano una casa molto piccola, l'abbiamo riletta, tipo quattro ore prima di girare il film. Loro due condividono un mondo. Adam voleva seguire la sceneggiatura, e non ci sono mai stati grossi problemi nel metterla in scena, le riprese andavano molto lisce. Dove fanno la foto sembravano molto vicini, forse troppo, ma non è andata così. Ad un livello molto intimo possono succedere tante cose e il contrario".
"Da una parte mi sembra improvvisato, invece - dice la protagonista -, dall'altra che non abbiamo inventato niente, lui faceva anche l'operatore di macchina, c'era uno strettissimo contatto fra lui e me, facevamo una sorta di danza a tre, eravamo molto liberi, ma nei limiti della scena. Lavorare coi bambini gemelli, soprattutto se sono diversi nel viso, è difficile perché avevamo poco tempo e richiedono una grande pazienza e un'attenzione che sul set non c'era. Alla fine si è rivelata un'esperienza emozionante, nel momento in cui ci sono tutto diventa autentico, dato che neanche Adam ha figli, ma dopo qualche ora li riuscivamo a gestire in maniera spontanea, sicura".
"Non ho mai pensato 'ora faccio un thriller un horror' - chiude il regista -, è stato abbastanza casuale (a momenti ricorda 'Rosemary's Baby', anche se Rohrwacher non è ancora Mia Farrow ndr.), intendo nel mestiere, nel rapporto col film cerco di trovare la mia onestà, sono libero di scegliere, a volte le scelte diventano maldestre, ma le mie le accetto. Il mio modo di raccontare è questo, è quello che sentivo di raccontare in quel momento, di vedere in quel modo la deformazione, e il cinema lo consente. Un modo di essere maldestri è usare il cinema, in fondo non è così serio come sembra, in un modo un po' scanzonato per staccarti da una morbosità che il film raggiunge. Il grandangolo ti aiuta a distaccarti, è più onesto, anziché affrontare quel momento di enorme tragicità con un 50 (l'obbiettivo 'normale'), ma non c'è una riflessione intellettuale dietro. E' un racconto per mostrare che in un arco di tempo le cose cambiano, e apparentemente anche il genere".
"Il nostro è un percorso con prodotti che non abbiano un centro geografico - dichiara il produttore Mario Gianani di Wildside -, ma narrativo. Saverio è riuscito a trasformare il libro in un film che aveva senso fare a NY, coerente con quello che fa oggi più la tivù, perché il cinema è rimasto un po' indietro. Mi è sembrato il percorso naturale, ho trovato Paolo (Del Brocco di Rai Cinema ndr.) e gli ho raccontato l'idea di un film che costa poco da realizzare non in Italia e in inglese, e ha dimostrato un'apertura che non è facile trovare da noi".
"E' stato molto facile contribuire al film - ribatte Del Brocco -, erano un po' preoccupati e ho deciso di partecipare a un progetto che parla di sentimenti con grandi attori, in cui non potevamo avere dei limiti, infatti, il fatto che costa poco è relativo. Non conoscevo tantissimo Saverio, ma il fatto che si cimentasse in una dimensione più piccola, bene denota l'intelligenza di un autore che sta nel cinema, di film che si possono fare più agevolmente. La promozione è iniziata fin da Venezia, dove sono successe cose molto belle, alcune persone hanno apprezzato fortemente il film, c'è stato un vero coinvolgimento emotivo, ma aveva bisogno tempo per cimentarsi, onestamente farlo uscire subito e non doppiato non ci era sembrato conveniente. Ora, in un momento in cui abbiamo in sala un film popolare, abbiamo pensato di dare un'offerta diversificata per un pubblico che, possibilmente, non ha molti film da vedere".
Per l'occasione, alla Casa del Cinema di Roma, sono stati consegnati da Laura Delli Colli, il Premio Pasinetti del SNGCI, alla regia a Saverio Costanzo e alla miglior attrice protagonista Alba Rohrwacher.
José de Arcangelo
(2 1/2 stelle su 5)
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