giovedì 28 maggio 2015

Da Cannes alle sale italiane "Louisiana" (The Other Side), lo sconvolgente documentario di Roberto Minervini che fotografa la nuda e cruda altra faccia dell'America contemporanea

Direttamente dalla sezione Un Certain Regard (in concorso) del Festival di Cannes, approda nelle sale italiane il documentario "Louisiana" (The Other Side) di Roberto Minvervini che offre un quadro sconvolgente dell'altra faccia dell’America contemporanea, nudo e crudo. Una sorta di rilettura dei classici del ‘cinema verità’
anni Sessanta -Settanta riportato ad un oggi sempre più cupo e nero, ormai senza speranza alcuna. Un mondo in guerra di tutti contro tutti, di solitudine e degrado, morale e fisico, in cui anche i ‘protagonisti’ diventano registi di se stessi con le loro azioni e atteggiamenti.
Infatti, Minervini è arrivato in Louisiana attraverso Todd Trichell, il padre del giovane protagonista di “Stop the Pounding Heart” (ha appena vinto il Doc/it Professional Award per il miglior documentario italiano dell’anno), terzo capitolo della premiata “Trilogia del Texas”, scappato dalla Louisiana e facendo fortuna a Houston. E lo spunto e alcuni dei personaggi sono suoi familiari, come Lisa (Allen), sua sorella, fidanzata di Mark (Kelley), protagonisti del film.
Un racconto quasi ossessivo di un'emarginazione che si allarga a vista d'occhio e sulla quale il regista, giustamente non esprime giudizi. In questo territorio invisibile, ai margine della società, al limite tra illegalità e anarchia, (sopra) vive una comunità dolente che tenta di reagire a una minaccia (ormai globale): essere dimenticati dalle istituzioni e vedere calpestati i propri diritti di cittadini. Veterani in disarmo, adolescenti taciturni, drogati che cercano nell'amore una via d'uscita dalla dipendenza, ex combattenti delle forze speciali (quindi paramilitari) ancora in guerra col mondo, giovani donne e future mamme allo sbando, vecchi che non hanno perso la voglia di vivere. In questa umanità nascosta si aprono gli abissi degli Stati Uniti d’America di oggi e specchio della società contemporanea.
Da centinaia di ore di girato, un'ora e mezza di montato in cui azioni e discorsi si ripetono quasi fosse impossibile cambiare il ritmo delle cose e uscire da situazioni sgradevoli seppur vere, dedicate soprattutto a chi non vuol vedere. In questo senso, "Louisiana" è davvero ‘l’altra parte’ del Grande Paese e istiga a riflettere su una realtà che - come succede sempre più spesso negli ultimi anni - viene sottovalutata finché non esplode con tutte le sue forze, ovvero quando ormai è troppo tardi per trovare una soluzione vera e reale.
"Sono consapevole che il mio discorso - dice Minervini - non coincide col girato, ma con la sintesi proposta dal montaggio (firmato Marie-Hélène Dozo ndr.). Le immagini, anche quelle più forti, non possono chiarire tutti i dubbi, non possono raccontare tutto quello che c'è dietro. Spero che facciano riflettere, e non provocare. Mi auguro, comunque, che queste situazioni estreme facciano scatenare una discussione costruttiva del tipo: cosa c'è dietro queste immagini? Per me sono immagini vere e necessarie, sono indispensabili per la loro natura intrinseca. Mi riferisco a quelle sequenze che per la loro forza iconica diventano chiavi di lettura fondamentali per comprendere le storie che racconto nel film".
Squadra vincente non si cambia nemmeno stavolta perché Minervini l’ha sceneggiato con la moglie Denise Ping Lee, mentre il direttore della fotografia è sempre Diego Romero Suarez-Llanos. Il film è una coproduzione tra Agat Film & Cie e Okta Film con Arte France Cinéma, con Rai Cinema, con la partecipazione di Mymovies.it e col contributo del MiBAC e il sostegno del francese Centre National de la Cinématographie. A proposito del suo mestiere e sull’approccio documentaristico, l’autore confessa: “Penso che l’elemento essenziale del mio modo di fare cinema sia il farsi da parte. Farsi da parte innanzitutto significa far sì che noi, come equipe, acquistiamo le sembianze di una ‘non-equipe’, diventando parte integrante dell’ambiente”.
“La macchina da presa – conclude – è scorporata di tutti gli accessori. Utilizzo una lente sola e il monitor deve essere uno solo, di dimensioni ridotte, che poi condividiamo tutti. Pochi altri oggetti, pochi cavi a vista, possibilmente camera senza microfono. Questo avviene proprio perché dobbiamo assumere le sembianze di cineasti amatoriali, come se stessimo realizzando un home video. Questo mi permette di farmi da parte come autore, come cineasta onnisciente. Questa è la cosa più importante”. José de Arcangelo
(3 stelle su 5) Nei cinema italiani dal 28 maggio distribuito da Lucky Red

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