giovedì 14 maggio 2015
Dal Festival di Cannes alle sale italiane, approda "Il racconto dei racconti", un suggestivo e inquietante viaggio nel mondo delle favole di Basile firmato Matteo Garrone
Sul grande schermo all’insegna del meraviglioso più che del cosiddetto fantasy, perché è quella la radice di tutte le fiabe nate e sviluppatesi nella vecchia Europa – tra regni, principesse, labirinti, streghe, draghi e orchi - proprio prendendo spunto dallo scrittore napoletano (1575-1632), pubblicate postume tra il 1634 e il 1636.
“I racconti di Giambattista Basile li ho sentito subito familiari – esordisce Matteo Garrone che ne ha tratto “Il racconto dei racconti” ovvero “Lo cunto de li cunti”, alla presentazione romana prima della partenza per il Festival di Cannes, dove il film è in concorso –, mi ha colpito la bellezza dei personaggi, la ricchezza umana, la qualità delle storie. La mia è stata una scelta masochistica, incosciente, da mettermi nei guai col fantasy; perché nei miei film di solito parto dalla realtà contemporanea per poi arrivare sulla soglia del fantastico. Qui, invece, partivo da racconti magici per approdare a una dimensione più concreta. Io vengo dalla pittura e mi piace la mescolanza, non solo dei colori, ma tra reale e fantastico, drammatico e comico. Sono felice di esplorare un genere nuovo, prendendo spunto da un autore conosciuto da pochi e che ho scoperto tardi, però che merita di essere letto in maniera più ampia, perché è stato il primo a scrivere le storie di Cenerentola, del Gatto con gli Stivali, della Bella Addormentata, che hanno dopo ispirato i fratelli Grimm, Perrault, Andersen e tanti altri”.
‘Li cunti’ di Basile, e soprattutto quelli scelti dal regista, sono fiabe cupe che sconfinano nell’horror – come del resto tutta la tradizione ispirata a lui –, ma queste non prevedono nemmeno il classico ‘e vissero felici e contenti’, anzi Garrone ne ha prese tre che prendono spunto dai desideri, dalle ambizioni e dall’amore, o dalla sua assenza. E se è stato un caso che al centro delle vicende ci siano le donne, è anche vero che nelle fiabe tradizionali sono loro le protagoniste.
Un suggestivo viaggio nei meandri della mente umana che come i corpi muta, si trasforma e si rigenera, sempre in bilico tra passione e desiderio, sogno e incubo, bene e male, odio e amore.
La regina di Selvascura (Hayek) desidera un figlio ad ogni costo, tanto da fare un patto col diavolo per averlo, ma dovrà mangiare il cuore di un drago marino, cotto da una vergine adolescente. Il re (John C. Reilly) sacrificherà la sua vita però i figli saranno due, uno per ognuna, ma albini e quasi gemelli:
Il Re di Altomonte (Toby Jones), dopo la morte della sua amata ‘pulce gigante domestica’, la fa scuoiare e concederà la mano della figlia Viola, che scalpita per lasciare il castello, a chi saprà riconoscere a quale animale appartiene quella pelle. Il bello è che proprio l’orco indovinerà.
Il Re di Roccaforte (Cassel) s’innamora di una voce celestiale ignaro che essa appartiene alla vecchia tintora/lavandaia Dora (Hayley Carmichael), la quale velata cede alla corte del re libertino, ma scoperta e buttata giù fuori dal castello verrà salvata dal caso e ‘miracolata’ da una strega: tornerà la bellissima ventenne di una volta (Stacy Martin) che il regnante troverà nuda e addormentata nel bosco.
“Ogni reparto si metteva in gioco – prosegue Garrone sulla lavorazione vera e propria –, quando giri con dei ‘green’ intorno (gli sfondi che poi vanno sostituiti con quelli veri della location ndr.) e tecniche nuove non è facile, e io non ero preparato, ma quando l’avevo scritto ho sentito che mi sarei divertito a farlo. Nasce come un film per il pubblico, però il rischio è cercare di imitare gli americani e gli inglesi, il mio film doveva essere spettacolare e intrattenere con la nostra autenticità, la genuinità delle nostre radici. E sono stati gli attori a venire a lavorare nel nostro paese. Abbiamo girato per otto mesi in Italia sulla linea guida di luoghi reali che sembrassero finti e ricostruzioni straordinarie, tanto realistiche da sembrare vere. E’ un cinema di artificio, artigianale, che dà credibilità all’immagine. Le fiabe si muovono su archetipi che sono sempre moderni e universali. Il desiderio è la guida importante che muove questi personaggi; così come la trasformazione del corpo che sono un po’ le mie ossessioni; la sorprendente modernità di questi racconti lo avvicinano al fenomeno odierno della chirurgia estetica, del lifting. Sono tre storie al femminile, su tre generazioni diverse (adolescenza, maturità e vecchiaia ndr.). Salma (Hayek) l’ho vista giusta come regina del ‘600 spagnolo, (Vincent) Cassel sul doppio filo comico-drammatico in un personaggio che un po’ mi ricordava Gassman, ma non credevo raggiungesse quella dimensione. E’ possibile ricavarne una seconda serie di racconti o un altro film perché sono davvero tanti. Visivamente per l’inizio ho trovato ispirazione nei ‘Capricci’ di Goya per un racconto ironico e grottesco”.
La splendida resa visiva ha tanti riferimenti pittorici, dal sopracitato Francisco Goya a Pieter Bruegel il Vecchio e Bosch, e servono a ricostruire il lato oscuro delle fiabe, sempre in bilico tra il fascino e la minaccia nascosti o velati dietro ogni desiderio e ogni forma d’amore. E conta con location ‘da favola’ come i castelli veri e italianissimi, scoperti tra Puglia e Sicilia. Dal castello di Adria a quello di Donnafugata, “alle gole dell’Alcantara, alle Vie Cave, al Bosco del Sasseto, che sembra una scenografia preraffaellita”, precisa Garrone.
Tutto i lavoro di scenografia ed effetti speciali è stato di tipo artigianale, campo in cui il nostro cinema era stato all’avanguardia negli anni Sessanta, soprattutto grazie al mago (direttore della fotografia, trucco ed effetti speciali e, infine, regista) Mario Bava - e il regista cita come riferimenti il suo “La maschera del demonio”, il “Pinocchio” di Comencini, “Il Casanova di Fellini” e “L’armata Brancaleone” di Monicelli, e l’uso del digitale come integrazione finale.
“Matteo aveva in mente tanta roba – afferma Leonardo Cruciano, socio e responsabile degli effetti speciali per Makinarium – come se la pittura dovesse diventare carne e sangue, ed è stato fondamentale per me vedere gli annali delle illustrazioni del Seicento per farle diventare vive, reali e concrete sul set. Anche per la creazione del drago marino, che è una sorta di dinosauro-salamandra, e la pulce gigante che porta il carretto, fino all’albero. Ma devo ammettere che l’orco fa più paura dal vivo, aveva sopraciglia enormi che abbiamo dovuto radere”.
“Nel lavoro con gli attori, di solito parto dal personaggio – dice Garrone -, ma questo è un film al femminile, di consueto ci sono più uomini. Comunque, il mio modo di lavorare è dare grande libertà espressiva, nonostante stavolta personaggi e tempi fossero abbastanza blindati, ho dato alle attrici totale libertà nel costruire i personaggi sulle loro caratteristiche, infatti, la componente femminile l’hanno portato loro, sulla guida della sceneggiatura (scritta dal regista con Edoardo Albinati, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso ndr.)”.
Tutte offrono il meglio del loro talento, mentre la giovane Bebe Cave, nel ruolo della principessa Viola, è una vera rivelazione.
“Abbiamo scelto l’inglese – chiarisce l’autore – perché è un modo per restituire ‘Lo cunto de li cunti’, cioè il libro da cui hanno avuto origine alcune delle fiabe più celebri del mondo, al pubblico più vasto possibile. La fantasia della favola supera ogni confine, Basile in questo è davvero un autore universale. Inoltre, l’uso dell’inglese permette di non localizzare in maniera immediata i paesaggi che fanno da sfondo al nostro racconto, e di non dover inchiodare a uno specifico colore dialettale i suoi personaggi”.
Comunque, ogni racconto ha una dominante, il nero per il primo, l’azzurro per la principessa adolescente, il rosso per l’anziana. E sul Festival di Cannes in cui si trova con Moretti e Sorrentino, confessa: “E’ un motivo d’orgoglio essere in tre, ma credo i nostri siano tre film completamente diversi, non si somigliano affatto”.
Il film è dedicato a Nico e Marco, il primo padre che “non è stato solo un critico teatrale – dice Garrone – ma anche uno scrittore e regista, e tutto lo devo anche a lui, mentre Marco è il mio ‘secondo papà’ ed è sempre presente sul set”. E bisogna ricordare che Garrone è diventato produttore di se stesso e trovato alleati in produttori come Jeremy Thomas, Jean e Anne-Laure Labadie, perché nonostante la collaborazione di Rai Cinema, il sostegno del MiBACT, Eurimages, Apulia Film Commission, Regione Lazio – Fondo Regionale per l’audiovisivo, nessuna banca italiana ha voluto anticipare i soldi e si è dovuto rivolgere a quelle francesi. Perché il film comunque è costato 12milioni di euro.
Nel cast anche Christian Lees (Elias), Jonah Lees (Jonah), Alba Rohrwacher e Massimo Ceccherini (saltimbanchi), Laura Pizzirani (madre di Jonah), Franco Pistoni (negromante), Jessi Cave (Fenizia), Giuseppina Cervizi e Giselda Volodi (dame di corte); Guillaume Delaunay (l’orco), Eric MacLennan (medico), Nicola Sloane (damigella), Vincenzo Nemolato, Giulio Beranek e Davide Campagna (figli circensi), Shirley Henderson (Imma, sorella di Dora), Kathryn Hunter (strega), Ryan McParland (lacchè), Kenneth Collard (arrotino) e Renato Scarpa (barbiere).
José de Arcangelo
(4 stelle su 5)
Nelle sale dal 14 maggio distribuito da O1 Distribution
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