giovedì 14 maggio 2015
"Nomi e Cognomi" di Sebastiano Rizzo, un'appassionata opera prima dedicata a tutti i giornalisti che hanno sacrificato la loro vita per la loro professione e la ricerca della verità
Un argomento tanto importante quanto scottante per un film indipendente, impegnato e, quindi, per non dimenticare “dedicato a tutti i giornalisti e ai cronisti che hanno esercitato la loro professione con coerenza e amore incrollabili, senza scendere a compromessi” e spesso vittime della mafia. Da Peppino Impastato a Giuseppe Fava, da Giancarlo Siani alla russa Anna Politkovskaja.
Questo e altro in sintesi è “Nomi e Cognomi”, opera prima di Sebastiano Rizzo, attore teatrale e di popolari fiction televisive, oltre che autore del corto “La Ricotta e il Caffè”, videoclip e documentari. Sostenuta soprattutto da una grande passione civile e da buone intenzioni, purtroppo, la pellicola – ovviamente low budget prodotta da Corrado Azzolini per la pugliese Draka - risente di una resa formale convenzionale, anzi di stampo televisivo, appunto, e non riesce a coinvolgere fino in fondo lo spettatore più esigente, né aiuta una certa retorica di fondo né una recitazione troppo impostata da risultare poco credibile, così come i dialoghi (un difetto che il nostro cinema medio si trascina da qualche decennio) ‘fatti a tavolino’ e, quindi, lontani dalla naturalezza e dalla spontaneità del parlare quotidiano.
Sceneggiato da Camilla Cuparo, sulla scia della tragica storia di Fava, narra la vicenda umana e professionale di Domenico Riva (Enrico Lo Verso), stimato giornalista, che lascia Milano e rientra con la sua famiglia – moglie (Maria Grazia Cucinotta) e due figlie piccole - nella sua terra di origine, in un piccolo paese del sud. Direttore della più importante testata locale, Riva tenta il progressivo risveglio della coscienza civile del paese che negli anni ha tacitamente accettato un pericoloso status quo: loschi traffici travestiti da legalità.
Infatti, tutto è incentrato sui fatti di una discarica abusiva oggetto di mire illecite, e Riva e i suoi ragazzi della redazione faranno il loro lavoro onestamente: raccontare i fatti. Perché la verità non ha a che fare con l’essere eroi ma con i principi etici e il metodo cui la propria professione fa capo. Una scelta necessaria che però non sarà facile portare avanti, anzi, tra vittorie e sconfitte, Riva sarà costretto a fondare un ‘suo’ giornale per ‘sentirsi libero e senza padroni’. Ma questo fatto sconvolgerà la sua pubblica e privata, facendolo finire direttamente nel mirino della mafia.
“Può facilmente rimanere più impressa – afferma Rizzo nelle note di regia -, in cuore ed intenzioni, una persona conosciuta per brevi e intensi istanti, piuttosto che chi conosci da una vita. Domenico Riva è la persona che ti passa accanto e lascia il segno, è un uomo semplice ma intenso, che morde la vita nell’unico modo che conosce: facendo bene il proprio lavoro. Al punto che il lavoro diviene il centro della sua vita, lo specchio della sua anima e della sua coscienza”.
Tanto che, nella finzione, Riva dice ai suoi giovani collaboratori: “Un giornalista racconta la verità, racconta i fatti. E i fatti hanno dei nomi e cognomi, sempre”. Ma non tutti sono (siamo) disposti a farli perché alla fine si perde tutto, anche la vita stessa.
“Domenico lotta – aggiunge il regista -, insiste, cade e sente tutto il peso delle paure e dei dubbi; è un uomo, non un eroe, che fa i conti con la propria famiglia e con il proprio dovere di marito e di padre, fino a deludere le sue donne; è un mentore che non è geloso del proprio sapere e del proprio ardore ma lo dona generoso perché se ne sparga, il seme in una terra tanto arida e avvelenata”.
“E’ un amico – conclude -, Riva, che in un whisky e in un confronto sincero e pulito, ritrova il senso semplice e ovvio di una lotta che non si nutre di principi impalpabili ma di vita, vera, cruda e comunque bellissima”.
Aspettiamo Rizzo alla sua seconda prova da regista, perché la passione e il coraggio non gli mancano, e gli auguriamo di riuscire a trovare i mezzi giusti ed efficace per portare avanti il suo cinema di impegno civile che, purtroppo, le produzioni e il mercato attuale, non sostengono come accadeva quarant’anni fa.
Nel cast anche l’efficace Marco Rossetti (Lorenzo), da “Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio” alle fiction televisive “Distretto di Polizia”, “Le mani dentro la città” e “Squadra Mobile”; Antonio Stornaiolo (Gaetano Giglio), Totò Onnis (Nino La Greca), Mingo De Pasquale (commissario Martini), Barbara Tabita (Carla Martini), e con la partecipazione di Dino Abbrescia (Cesare Ricci), Ninnì Bruschetta (Mario de Libertis). E i ragazzi della redazione: Aurelio D’Amore, Giorgia Masseroni, Titti Cerrone, Marco Pezzella e Paolo Strippoli.
José de Arcangelo
(2 stelle su 5)
Nelle sale dal 14 maggio prodotto e distribuito da Draka
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