mercoledì 9 settembre 2015

Alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia, Ascanio Celestino ha presentato la sua opera seconda "Viva la sposa", una commedia contemporanea particolare e surreale in un'Italia allo specchio, distorto, ma non troppo

Dopo l’opera prima “La pecora nera” - presentata alla 67a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2010 in concorso, il teatrante, narratore e scrittore romano Ascanio Celestini porta al Lido, in concorso, nelle Giornate degli Autori l’opera seconda “Viva la sposa”. Una commedia esistenziale contemporanea particolare e surreale, più fatalista che disperata, però senza speranza visto che racconta contemporaneamente tante storie di emarginati rassegnati, di piccoli truffatori ed eterni precari, all’ombra di Cinecittà, la città dei sogni in contrasto con la città dei diseredati.
Sorprendente e disarmante, controcorrente e disilluso, il film è sceneggiato, diretto e interpretato da Celestini stesso nella parte di Nicola, un giovane uomo che passa il tempo bevendo e fingendo di smettere nei bar del Quadraro dove l’autore abita, ma anche a Ciampino, a Morena. Ma la sua storia si intreccia e si confonde con le vicende dei tanti altri personaggi che incontra per destino o per caso come in un road movie (a piedi).
Sabatino truffa le assicurazioni provocando incidenti finché un giorno, ubriaco, l’incidente diventa mortale davvero. Pure il Concellino (Corrado Invernizzi) vive truffando assicurazioni ma vuole far carriera. Il piccolo Salvatore (Francesco De Miranda), è figlio di Anna (Veronica Cruciani) e forse di Nicola, ma la donna è una prostituta e non sa chi è il padre, mentre il padre di Nicola è morto da tempo e lui se lo sogna ancora, la madre (Barbara Valmorin) è una donna piccola e prima di morire vorrebbe che il figlio sposasse Sofia (Alba Rohrwacher), che si chiama così perché il padre avrebbe voluto che fosse come la Loren dei film di De Sica. Sofia dice sempre che fugge in Spagna ma resta comunque a Cinecittà.
Poi c’è l’Abruzzese (Pietro Faiella) che fa il carrozziere, ma anche il parcheggiatore notturno ed è da lui che si nasconde Anna dopo aver sparato al protettore. E’ anche la storia di Sasà (Salvatore Striano) che una notte finirà peggio di tutti nella stanza di una questura di periferia; e infine ci sono Marino (Gianni D’Addario) che non parla mai, la bambina ucraina, il tassista che riporta a casa Nicola ubriaco e si fa pagare la corsa due volte. E la storia della sposa americana (Mimmi Gunnarsson) del titolo fa da cornice a tutte le altre, sorta di testimone e al tempo stesso protagonista perché gira l’Italia – da Roma a L’Aquila - vestita da sposa, “un’Italia senza speranze, ma non disperata perché il contrario della speranza certe volte non è la disperazione, ma il fatalismo”.
Presentata al Festival di Venezia oggi, lunedì 7 settembre, la pellicola sarà nelle sale ad ottobre distribuita da Parthénos, e si rivela il ritratto di un’Italia allo specchio, distorto, della realtà contemporanea ma che ricorda – come il film postumo di Claudio Caligari “Non essere cattivo” - la periferia raccontata da Pier Paolo Pasolini cinquant’anni fa – non solo per il Quadraro –, ma soprattutto perché vista attraverso lo sguardo impietoso e al tempo stesso affettuoso dello stesso Celestini che fonde/confonde dati autobiografici e finzione, riferimenti e citazioni storiche e cinematografici; non a caso la ‘sposa’, attrice svedese alta bionda e formosa, ricorda la felliniana Anitona Ekberg, recentemente scomparsa.
“Sanguinetti diceva che la tragedia è possibile quando c’è un alto e un basso – scrive Celestini nelle note di regia -, magari un’aristocrazia e un popolo. Oggi l’alto è la grande narrazione che passa attraverso l’informazione, la rete, la tv. Il basso lo trovi nei locali col pranzo a prezzo fisso al capolinea della Metro, tra i muratori che mangiano il pollo e le patate con il quartino di vino al baretto sulla Tuscolana. In questi posti ho scritto il mio film”.
Il direttore della fotografia Luca Bigazzi contribuisce non poco a mostrarci una Roma rimasta inedita per paracchi anni, mentre il montaggio di Cecilia Zanuso riesce ad amalgamare e a far scivolare via le diverse vicende, e la scenografia da Massimiliano Sturiale e i costumi da Loredana Buscemi sono al tempo stesso reali e fantastici.
Infatti, Celestini conclude: “Abbiamo girato per cinque settimane in un chilometro di strade. Poche centinaia di metri in mezzo al Quadraro, quartiere romano, il ‘nido di vespe’ che i tedeschi cercarono di combattere nel ’44. Un posto come tanti altri. Uno di quelli ‘dove credi che la città finisca, e dove invece ricomincia, nemica, ricomincia per migliaia di volte, con ponti e labirinti, cantieri e sterri, dietro mareggiate di grattacieli, che coprono interi orizzonti’.” José de Arcangelo
(3 stelle su 5)

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