giovedì 10 settembre 2015

Dal Festival di Venezia, il film in concorso di Marco Bellocchio "Sangue del mio sangue", della famiglia e dell'Italia attraverso i secoli

Da sempre Marco Bellocchio divide critica e pubblico, anche se negli ultimi anni ha spesso messo d’accordo un po’ tutti. Uno dei pochi maestri - attivissimo – italiani che non si è mai fermato o quasi, e sforna più o meno un film all’anno che, sempre più spesso, finiscono al Lido. Anche questa volta è stato accolto nel concorso ufficiale della 72a. Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia e, visto che la sua nuova opera “Sangue del mio sangue”, è divisa appunto in due parti, anche gli spettatori hanno preferito uno più dell’altro, raramente entrambi. Però sono uno complemento dell’altro, quasi a riflettere l’Italia attraverso i secoli, un’Italia che cambia solo in apparenza, perché restano una mentalità, un punto di vista e un modus vivendi che si ripete all’infinito, magari in vesti diverse.
Prima parte ‘seria’, da dramma storico-famigliare; seconda parte contemporanea sul filo del grottesco che ben si addice al periodo e alla metafora di un’Italia che, in fin dei conti, è cambiata in superficie, anzi cambia poco, appunto, almeno per mentalità e politica, clientelismo, corruzione e ipocrisia. Tutto ambientato a Bobbio, terra d’origine dell’autore e dove ha girato l’indimenticabile opera prima capolavoro “I pugni in tasca” e dove ogni anno, dal lontano 1995, gira i suoi film in estate nel laboratorio di Fare Cinema.
Riunita anche la sua “famiglia” vera (figli, fratello, amici…) e quella cinematografica di attori e tecnici. E proprio un’estate, alla ricerca di nuove location, ha scoperto le antiche prigioni di Bobbio chiuse e abbandonate da molti decenni, che in un remotissimo passato facevano parte del convento di San Colombano che si sono rivelate lo scenario ideale. Federico (Piergiorgio Bellocchio), giovane uomo d’armi viene sedotto come il suo gemello prete – si è suicidato – da suor Benedetta (Lidiya Liberman) che verrà condannata ad essere murata viva nelle antiche prigioni di Bobbio.
Nello stesso luogo, secoli dopo, ovvero oggi, tornerà un altro Federico sedicente ispettore ministeriale, che scoprirà che l’edificio – destinato ad un opera di speculazione edilizia – è ancora abitato da un enigmatico Conte (Roberto Herlitzka), che vive solo di notte. Due ‘episodi’ uniti dall’ambiente, dall’atmosfera e dalle emozioni; da un paese che da sperduto, provinciale, è diventato all’improvviso globale, forse, perdendo la propria identità.
“Questa scoperta (le prigioni ndr.) ha ispirato il primo episodio del film – afferma Bellocchio nelle note di regia – che si chiamava ‘La monaca’. In poche parole era la storia di Benedetta, una monaca murata viva nella prigione convento di Santa Chiara, a Bobbio. Il riferimento alla monaca di Monza era esplicito”. “Questo breve racconto cinematografico finito – aggiunge -, ma mai proiettato, mi spinse negli anni successivi a immaginare e poi raccontare in un vero e proprio film l’antefatto di quella terribile condanna”.
“Mi parve infine che questa storia dissepolta – conclude - da un passato così remoto meritasse (forse anche per rispettare la durata canonica del lungometraggio) un ritorno al presente dell’Italia di oggi e più precisamente in un’Italia di paese, Bobbio, che la modernità, la globalizzazione eccetera eccetera hanno ormai cancellato e la scomparsa del suo confortevole e protettivo isolamento paesano, garantito dal sistema consociativo dei partiti e dei sindacati… Quel mondo è rappresentato nell’episodio moderno del film, da un misterioso conte (un vampiro?) che vive proprio in quella prigione abbandonata in cui è incominciata la nostra storia”.
Completano il nutrito cast Fausto Russo Alesi (Cacciapuoti), Alba Rohrwacher (Maria Perletti), Federica Fracassi (Marta Perletti), Alberto Cracco (inquisitore francescano), Bruno Cariello (Angelo), Toni Bertorelli (Dott. Cavanna), Elena Bellocchio (Elena), Ivan Franek (Rikalkov), Patrizia Bettini (moglie del Conte) Sebastiano Filocamo (padre confessore), Alberto Bellocchio (cardinal Federico Mai) e con l’amichevole partecipazione di Filippo Timi (il Pazzo). José de Arcangelo
(3 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 9 settembre distribuito da O1 Distribution

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