martedì 24 novembre 2015

"Dio esiste e vive a Bruxelles" ma sua figlia Ea gli sconvolge i 'piani'. Attore e autore a Roma per presentare la commedia surreale dell'anno

Una commedia surreale di Jaco Van Dormael, il regista che oltre vent’anni fa aveva conquistato le platee europee, non solo, con “Toto le héros - Un eroe di fine millennio”, Camera d’Or al festival di Cannes; seguiti poi da “L’ottavo giorno”, “Mr. Nobody” e “Kiss & Cry”. “Dio esiste e vive a Bruxelles” approda nelle sale italiane proprio in un periodo che in nome di dio si consumano gli atti più crudele ed efferati, e dove la riflessione e il dialogo sono solo degli optional. Infatti, non si tratta di semplice variazione sul tema o di superficiale satira, perché il regista belga è partito proprio dalla Bibbia ponendosi delle domande che spesso si fanno credenti e non, anzi che forse ci facciamo tutti, fondamentalisti di ogni religione esclusi.
“Io e l’altro autore (sceneggiatore ndr.), Thomas Gunzig – dice Van Dormael, a Roma con il protagonista Benoit Poelvoorde per presentarlo -, siamo partiti dall’idea che Dio esista. E se Dio fosse un bastardo? In più, e se oltre a un figlio avesse anche una figlia di cui nessuno conosceva l’esistenza? E se lei avesse 10 anni e Dio, suo padre fosse così odioso che lei si vendica di Lui rivelando a tutti gli abitanti del Pianeta via SMS il suo segreto più gelosamente custodito, ovvero la data della loro morte? Da lì in poi, qualunque riferimento alla religione si trasforma in una favola surrealista. Non sono credente ma sono stato cresciuto secondo il cattolicesimo. Sono interessato alle religioni così come alle belle storie. Ricordo che da bambino mi chiedevo. ‘Perché Dio non ha fatto niente quando Suo figlio è stato crocifisso?’ ‘Perché non fa niente quando i bambini muoiono di leucemia? Perché Batman salva le persone, mentre Dio no?”.
Poi parlano del primo incontro e della loro amicizia di lunga data. “Siamo amici da molto tempo – afferma il regista -, ci siamo conosciuti a notte fonda, durante il montaggio de ‘Il cameraman e l’assassino’ (firmato da Poelvoorde con André Bonzel e Rémy Belvaux, ’92 ndr.), e ci vediamo spesso la sera perciò stavolta siamo rimasti stupefatti di lavorare insieme la mattina, cosa che non avevamo mai fatto insieme”. “Jaco ha fatto incetta di premi (6) con ‘Mr. Nobody’ e dopo, visto che durante la festa si beve, lui me ne ha regalato uno, ma purtroppo me l’hanno rubato la stessa sera. Allora gli dissi ‘Senti, ci conosciamo da tempo, perché non mi fai fare almeno una candela nel tuo film’. E lui: ‘Farai di più, creerai la luce’, ma non sapevo niente sul fatto che avrei coperto addirittura il ruolo di Dio”.
“Dio (Poelvoorde) esiste e vive a Bruxelles’ in un appartamento tre camere con cucina e lavanderia, senza una porta di entrata e d’uscita. Si è parlato molto di suo figlio, ma poco di sua figlia… sua figlia sono io” si presenta Ea (la rivelazione Pili Groyne). Lei ha undici anni, lo sa bene: suo padre – anzi, suo Padre – è odioso e antipatico e passa le giornate a rendere miserabile l’esistenza degli uomini. E’ una situazione che non può andare avanti ma come risolverla? Dopo l’ennesimo litigio, Ea – consigliata dal fratello JC (ovvero Gesù, ridotto ad una statuina amorevolmente curata dalla madre, la grande Yolande Moreau) - fugge e scende tra li uomini per scrivere un nuovo Nuovo Testamento (titolo originale, “Le tout nouveau testament”) che ci permetta di cercare la nostra felicità; ma prima di andarsene, usa il PC del padre Padre per liberarci dalla più grande delle nostre paure inviando a ciascun essere umano un sms con la data della propria morte…
“Mi ha sempre colpito che le famiglie cattoliche e la Bibbia sulle donne dicano poco, è una religione scritta dagli uomini per gli uomini. Più di 300 anni dopo la morte di Cristo, il Nuovo Testamento fu riscritto, e una quantità di testi apocrifi furono rimossi. La versione ufficiale della vita di Gesù è una bella storia scritta magnificamente, ma totalmente rielaborata dal clero”. “I testi apocrifi sono piuttosto divertenti. Trattano di altri miracoli realizzati da Cristo, a volte alquanto stravaganti, con diavoli che prendono le sembianze di draghi e cose simili. Ci sono altri apostoli, anche donne, la cui presenza è stata cancellata. Quante parole pronunciano le donne nel Nuovo Testamento? Le si può contare”. “Allora perché non dare spazio a questa donna (moglie e madre) e poi, parlando di religione, si parla di famiglia, di società, del meccanismo del potere. L’autorità impone l’ubbidienza con la paura e la punizione, ma la figlia non ha paura della punizione, vuole essere presente e godersi la propria vita”. Infatti, rimasta sola in casa, la moglie di dio – in un certo senso – salva il mondo, anzi l’umanità con la fantasia, i colori e l’amore.
“Di fatto, il film parla solo d’amore. Anche la piccola Ea trova l’amore – un amore improbabile con le sembianze di un bambino che vuole diventare una bambina. Ea suggerisce un nuovo modo di vedere le cose. L’amore non deve sempre seguire un modello esistente. E’ ancora meglio quando è improbabile”. “Quando ho cominciato a scrivere la sceneggiatura – prosegue il regista -, non pensavo a un film provocatorio o contro la religione, mentre a Parigi c’erano le manifestazioni contro i matrimoni gay in cui facevano sfilare i bambini con le croci. Poi l’abbiamo montato nelle ore in cui è stata compiuta la strage a ‘Charlie Hebdo’. Allora, con Gunzig ci siamo detti: dobbiamo portare avanti questa utopia, poter ridere di tutto con tutti, forse si abitueranno. Certo se fossi stato a Teheran, oggi non starei qui a parlarne”.
“In realtà tutto quello che è successo a Parigi non ha niente a che fare con la religione ma con la stupidità, per controllare il potere del petrolio con la forza, per convincere i ragazzi a farsi esplodere. Usano Dio in modo deplorevole”. “Non raccontiamoci balle – ribatte il cattolico Poelvoore -, non avrei mai potuto interpretare, che ne so, ‘Allah non sa guidare’, è un fatto. Infatti, è più facile chiamarlo Dio piuttosto che dargli un altro nome. Noi cattolici accettiamo critica e comicità, interpretare un dio scurrile e in pantofole non credo sia stato blasfemo. E vedendo il film ci si diverte e si riflette”.
“Sapere di avere due ore, 50 o duemila giorni di vita prima che accada la morte può essere interessante, perché bisogna trovare l’ultima cosa interessante da fare, ci fa pensare all’aldilà, a chiedersi se si sta vivendo davvero e fa capire che è sempre interessante vivere il presente”. “E’ incredibile vedere in quale stato di caos – riprende l’autore – viene gettato il mondo quando tutti possono improvvisamente vedere le loro vite scorrere verso la morte. E JC dice a Ea che rendendo le persone consapevoli della loro morte, Dio perderà tutta la Sua credibilità”.
“Non sapere la data della propria morte – continua – forse significa che abbiamo la tendenza a dimenticarcene, sentendoci immortali. Finché, cioè, la minaccia della morte non risveglia il nostro piacere per la vita. Questo è quello che avviene ai miei personaggi quando ricevono il messaggio che li informa sulla data della loro dipartita. Alcuni fanno cambiamenti radicali, altri non vogliono saperlo”. “Tanto che non ha più alcun senso cercare di eliminare un nemico perché ciò non cambierà la data in cui egli morirà. Qualsiasi tentativo di ucciderlo fallirà sempre. In ‘Lo scherzo’, Milan Kundera usa un’espressione che amo particolarmente: ‘il ruolo della rivincita verrà sostituito dall’oblio’.” Ovviamente nel film non mancano riferimenti al Fellini ‘circense’ oppure al Marco Ferreri di “Ciao Maschio” e persino al Nagisa Oshima di “Max amore mio”.
“Non solo Fellini e Ferreri però spesso non me ne rendo conto, persino il bicchiere di latte che si sposta da solo viene da Tarkovski. L’idea per il gorilla è venuta da un fatto d’attualità, un amico che lavora a teatro aveva invitato a cena un cantante che si è presentato con una scimmia. Però la moglie e la figlia dell’ospite non potevano avvicinarlo perché era gelosa. Inoltre sono rimasto colpito dall’impegno di Catherine Deneuve (che è Martine ndr.) durante il dibattito sui matrimoni gay in Francia. Lei parlava dell’obbligo alla libertà e alla tolleranza con una chiarezza magnifica. E aveva la stessa semplicità e convinzione sul set. Non c’è niente che la spaventi, lei si dà al cento percento. Anche per il bambino del film: a Londra un ragazzino malato di leucemia ha chiesto di poter andare a scuola vestito da bambina e i genitori acconsentirono. Ma le famiglie degli altri hanno protestato e lui è stato espulso”.
Quindi, per quanto possa sembrare bizzarro e surreale – oltreché divertente e graffiante – storia e personaggi prendono spunto dalla realtà, magari portandoli all’esasperazione ma che colpiscono nel segno, non solo facendoci ridere e riflettere, ma anche emozionandoci e commuovendoci. E, in conclusione dell’incontro stampa, anche il duo belga torna alla realtà. “Il fatto importante è riprendersi la vita - aggiunge Van Dormael -, è importante tornare a Parigi per bere un caffè o cenare in un bistrot, passeggiare per le strade con un’amica, andare a un concerto”.
“Noi francofoni – chiude Poelvoorde - abbiamo sempre un buon motivo per bere. Ultimamente sono accadute cose tragiche, ma la solidarietà diventa un ottimo motivo per tornare più spesso a bere! Ovviamente scherzo, perché dobbiamo continuare a sorridere e a far ridere. Nonostante tutto da noi, in Europa, possiamo contare davvero sulla libertà di espressione. In tutto il mondo, invece, ci sono artisti, intellettuali, ma anche gente comune, che proprio ora non possono esprimersi e hanno bisogno di essere ascoltati. Solo il nostro interesse verso di loro li mantiene in vita”. Ogni ‘nuovo apostolo’ (sei, oltre ai classici 12, cercati da Ea) ha una ‘sua’ musica, da Haendel per Aurélie a Rameau per Jean-Claude, da Purcell per Marc alla musica da circo per Martine-Deneuve, fino a Trenet (immortalato al cinema da Truffaut). “Parte di questa musica – dice il regista – è stata ampiamente dimenticata, oppure non va più di moda, e non viene ascoltata spesso. Tuttavia, per me evoca alcune emozioni estremamente potenti, semplici ma genuine. Potrebbe essere Trenet o Schubert pezzi barocchi o vecchi classici. Volevo fare un film musicale”. Nel cast anche François Damien (François), Laura Verlinden (Aurélie), Serge Lariviére (Marc), Didier de Neck (Jean-Claude), Romain Gelin (Willy) e Marco Lorenzini (Victor). José de Arcangelo
(4 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 26 novembre distribuito da I Wonder Pictures in 70 copie (dal 3 dicembre in 80)

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