mercoledì 20 gennaio 2016

I trentenni 'adolescenti' cresciuti con la tivù, The Pills, catapultati dal web sul grande schermo con la commedia "Sempre meglio che lavorare"

Dal web al grande schermo ecco “The Pills” con “Sempre meglio che lavorare” il loro primo lungometraggio ‘autobiografico’ in arrivo nei cinema grazie al produttore Pietro Valsecchi sempre a ‘caccia di nuovi talenti in rete’ - come lui stesso sostiene - e messo sull’attenti dai figli sui nuovi aspiranti star, nonché rassicurato ancora una volta dall’enorme successo di Checco Zalone.
Quindi siamo di fronte a una commedia dove il terzetto comico-generazionale - Matteo Corradini, Luigi di Capua e Luca Vecchi (anche regista) - tenta di sfruttare al meglio il suo humour da nuovo millennio riproducendo piccoli grandi fatti quotidiani intorno a crisi, disoccupazione e altro, immigrati/lavoratori del Bangladesh inclusi.
Certo il passaggio dal piccolo al grande schermo non è facile per nessuno, di più per l’affiatato trio alle prese con una comicità cinematografica bisognosa di ritmi più frenetici e tempi meno dilatati e distratti di quelli della tivù, del pc e dei nuovi marchingegni digitali in possesso dei più giovani, anzi dai più appassionati del web in perpetuo collegamento.
Si sa, i trentenni di oggi (ma non esclusivamente loro) non trovano lavoro, non riescono a rendersi indipendenti e di questo sono terribilmente affranti, almeno la stragrande maggioranza. The Pills, naturalmente no. Luigi, Matteo e Luca si conoscono fin da bambini, sono sulla soglia dei trent’anni e non hanno nessuna intenzione né di arrendersi né di prendersi sul serio, tanto che da tempo sono diventati ‘paladini di una battaglia ideologica’: immobilismo post-adolescenziale ad ogni costo, e naturalmente (sopra) vivono alle spalle dei genitori.
E così, anziché passare da uno stage ad un incontro o colloquio di lavoro - ma allora ci avevano provato veramente, confessano in conferenza stampa -, preferiscono andare avanti bevendo caffè, fumando sigarette e sparando idiozie intorno al tavolo della loro cucina alla periferia di Roma sud. Ma il lavoro è un nemico duro e sempre in agguato, che colpisce e cerca di farti crescere quando meno te l’aspetti. Allora bisogna essere pronti a tutto pur di salvarsi, anche perché spesso persino i genitori sono costretti ad emigrare o a ritornare single.
“Abbiamo cercato di adattare il linguaggio di internet al cinema – spiega Luigi – anzi di mischiarli, tanto che rivederlo ora sullo schermo è curioso, nonostante sia stato molto impegnativo e faticoso”. “E’ stato un bel battesimo di fuoco – ribatte il regista Luca -, importante e creativo, spero che questo sia un primo tentativo riuscito”.
“Abbiamo cercato di essere il più onesti possibile – riprende Luigi -, visto che il film è in parte autobiografico, siamo tutti e tre laureati e abbiamo avuto un approccio col mondo del lavoro ma non trovando un posto in cui guadagnare più di trecento euro in otto ore al giorno, abbiamo deciso che fare così, cioè ‘sempre meglio che lavorare’. Abbiamo passato un paio d’anni in miseria rimanendo compatti senza smettere di fare The Pills, perché bisogna credere in quello che fai. Abbiamo creato una sorta di immobilismo tant’è che se qualcuno di noi va a lavorare rompe l’incantesimo. Tutto intorno al sentimento di raggiungere i trent’anni prolungandoli in una post-adolescenza, scoprire un leggero decadimento fisico, anche se Luca cede al lavoro”.
“Abbiamo lavorato tanto tempo fa – chiosa Matteo -, ma una volta laureati, nel 2008, l’aspettativa era l’ufficio. Ma ne vale la pena?, abbiamo pensato, e siamo andati avanti così, tanto che andavamo a pranzo dai miei, nascondendomi davvero da mio padre, che veramente faceva degli sforzi per sostenerci”.
“La fonte dell’ispirazione viene dagli anni Novanta – dice Luca -, quando la tivù è stata per noi una sorta di baby sitter dove è finito un po’ di tutto: la commedia all’italiana e all’americana, film, videoclip, una comicità fra noi diversa dove si fondono l’humour dei fratelli Marx, i cartoons Warner e le commedie ‘slapstick’ anni Trenta”. “Quello che mi ha sempre influenzato è David Lynch – ironizza Matteo, il più dark - , a parte i Monty Python, anzi metterei la commedia inglese in generale, ma anche tutti gli americani e gli italiani, da Germi a Verdone passando per il Nuti dai toni malinconici”.
Riferimenti niente male, visto che qualche accenno/citazione c’è, e sta a dimostrare che i ‘nostri’ non sono per niente disinformati sul campo, come altre neocolleghi. Quindi, per il grande pubblico, uno spettacolo gradevole e ‘originale’ da gustare in poco meno dell’ora e mezza (83’) standard (e ciò è un pregio), ovviamente molto di più per gli appassionati fan del ‘trio che venne dal web”. I tre ragazzi terribili devono, soltanto, trovare il modo giusto di adattare il loro ‘stile’ al grande schermo. Aspettiamo loro alla seconda prova cinematografica, se ci sarà.
Nel cast anche Mattia Coluccia, Margherita Vicario (Giulia), Betanì Malpunzo, Luca Di Capua (Frappa), Maria Vittoria Marini (Rosetta), Giulio Corradini, Lorenzo Scacchi (Luca bambino), Andrea Dolcini (Luigi bambino), Antonio Marano (Matteo bambino), Simone Fazzello (Mattia bambino) e con la partecipazione di Francesca Reggia nel ruolo della mamma di Matteo e con la partecipazione straordinaria di Giancarlo Esposito nella parte di Tyler Bangla. José de Arcangelo
(2 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 21 gennaio distribuito da Medusa Film in 350 copie

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