giovedì 11 febbraio 2016

Arriva finalmente nei cinema "Milionari" di Alessandro Piva, trent'anni di camorra attraverso la vicenda vera di un clan e il ritratto psicologico del piccolo grande boss poi 'pentito'

Da una storia vera, ispirato al libro omonimo del pubblico ministero Luigi Alberto Cannavale e del giornalista Giacomo Gensini, Alessandro Piva (da “La Capagira” a “Pasta nera”) ricostruisce in “Milionari” la vita di un camorrista (Paolo di Lauro) che, dopo trent’anni di malefatte e soldi a palate, cerca la serenità borghese di una vita ‘normale’. E la troverà, forse, diventando collaboratore di giustizia, ovvero ‘pentito’. Un dramma noir realistico che ha poco a che fare con i serial thriller di ultima generazione, da “Romanzo criminale” a “Gomorra”, ma che deve
molto a quelli di Coppola (”Il padrino”) e Scorsese (soprattutto “Quei bravi ragazzi”), passando per i polizieschi italo-francesi degli anni ’70, perché predilige il ritratto psicologico e il lato umano, alla pura e cruda action. “Il film di riferimento è ‘Il camorrista’ (l’opera prima di Giuseppe Tornatore ndr.) – esordisce il regista alla presentazione romana -, perché penso che quelli degli ultimi anni sulla camorra non siano molto riusciti, tranne ‘Certi bambini’ e pochi altri. Rispetto alle serie c’è un peso più psicologico sui personaggi, perché abbiamo scavato nel profondo senza calcare sull’action.
Racconta di un collaboratore di giustizia che ha scelto cose sbagliate, vissuto privazioni (la famiglia) e perdita (il padre, i fratelli), un film non votato alla spettacolarizzazione, nemmeno all’agiografia, ma che poggia su un casting fatto in città (tranne i protagonisti, gli attori sono tutti napoletani ndr.) e quindi l’attesa a Napoli è molto alta. A questo proposito organizzeremo un convegno con il sindaco, il ministro Orlando e il magistrato autore del libro, in un luogo simbolo come Scampia, e inoltre faremo un tour nelle scuole per parlare di legalità”. Dalla fine degli anni Settanta fino al primo decennio del nuovo millennio, la storia del piccolo grande boss, Marcello Cavani raccontata dal carcere in un flashback lungo un film, dalla morte del padre che lascia la moglie con tre figli adolescenti all’ascesa nella camorra appena passata dal racket al più redditizio traffico di droga leggera e pesante, dalla miseria al lusso sfacciato; da qualche spicciolo alla pioggia di soldi.
“Noi conosciamo un po’ tutto – ribatte Salvatore Striano, ex detenuto e attore esordiente proprio in ‘Gomorra’, che è O’ Piragna, il più feroce rivale -, ma dovevamo trovare una certa empatia, una location che ci dava adrenalina perché uno dei quartieri ad alto tasso di criminalità, con un’aria pesante di camorra. Molto dura da portare avanti un ‘lieto fine’ in cui capiscono che di malavita si muore. Una storia che inizia e finisce come una tragedia shakespeariana”. “Bisogna pagare col carcere – spiega polemico – che permette col tempo di capire cosa è la criminalità, quello che hanno fatto. Ma purtroppo è più facile fare il pentito, infatti quelli che hanno ucciso il bambino e l’hanno sciolto nell’acido, oggi sono liberi, ma questo non è certezza di pena. Non bisogna usare i criminali per purificarli ma per sconfiggerli”.
“Il mio è un boss violento che ha scelto un po’ di sparire – afferma Gianfranco Gallo nel ruolo di Don Carmine -. Mi sono trovato bene con Scianna perché anche lui viene dal teatro. Abbiamo lavorato molto a tavolino sulla sceneggiatura, sulla costruzione delle frasi, anche se tra di noi non c’era nessuna diversità di linguaggio. Ma Scianna ha imparato il napoletano con un cd dei cantanti neomelodici. Tutti attori teatrali bravissimi”. “Ricostruisce la vicenda di personaggi criminali brutti, sporchi e cattivi – dichiara Carmine Recano nel ruolo di Gennaro, il fratello -, in chiave neorealistica, e visti dal lato più umano che criminale, e noi abbiamo una responsabilità diversa verso la nostra città perché sono personaggi realmente esistiti, che vivono o hanno vissuto quella realtà”.
Il tutto – sceneggiato dal regista con lo stesso Gensini, Massimo Gaudioso, Giuseppe Gagliardi e Stefano Sardo - raccontato in modo, forse, troppo freddo e distaccato, però altrimenti si rischiava di farne un eroe, seppur negativo, anzi un santino, come spesso accade nella realtà quando i ‘pentiti’ vengono protetti e ‘condannati’ ad una esistenza nell’anonimato, nonostante abbiano distrutto tante vite. Un po’ poco, crediamo, perché viene dimenticato il fatto che questi uomini sono stati autori di crimini orribili quando non addirittura di veri massacri.
“Mi ha affascinato perché amo molto raccontare il nostro paese – chiosa Valentina Lodovini che è Rosaria, moglie del protagonista Marcello Cavani -, e racconta ascesa e discesa della mafia in una periodo che riguarda tutti. Affrontando l’episodio del terremoto dell’Irpinia, infatti, ho pensato a quello che è successo poi a L’Aquila. Il film narra la storia di un clan per raccontare trent’anni – dalle fine degli anni ’70 ad oggi – di amoralità nel nostro paese. Ho studiato tante cose, io sono toscana, e credo ci sia una sorta di codice dentro questa donna che lo ama, e la cui reazione va oltre l’omertà, perché fa finta di non vedere, anzi vede solo il
bello di questa vita che le offre il marito finché non viene ucciso un amico del figlio e ne prende relativa coscienza. Ma non l’ho giudicata perché i personaggi sono archetipi, ma esistono, come Marcello/Alendelòn. Quello che mi ha attratto di più in Rosaria è perché veritiero, fuori dai cliché, rispetto a figure che ho spesso interpretato, e spero arrivi questa sua complessità, le scelte che fa o da fare, persino il suo linguaggio. Piva ne fa una lettura interessante e nuova. Conoscevo gran parte dello straordinario cast, il che mi ha permesso di essere forte e credibile su una natura così forte di Napoli, entrando e uscendo, cattiva e buona”.
E poi aggiunge: “E’ stata un’esperienza fantastica con un gruppo che mi ha sempre sostenuto. Il carattere napoletano lo devo a Marco Risi, che mi ha voluta in ‘Fortapàsc’, credo di aver fatto qualcosa come nove provini, prima in italiano, poi mi ha detto ‘voglio l’accento napoletano’, come avevo fatto all’accademia fra teatro e cinema. Infatti, tolto tutto puoi lavorare sui dialetti, poi ci metti la musicalità. La napoletanità di Rosaria ti rende più viscerale. Sono stata fortunata perché tutti mi hanno dato fiducia, anche le donne del quartiere. Dopo l’ennesimo ruolo da napoletana mi sono innamorata, trovo il film vicino a ‘Quei bravi ragazzi’. Inoltre amo molto il cinema civile, con una morale”.
“E’ stata un’opportunità straordinaria – confessa Piva -, io sono nato in Campania, a Salerno, ma nessuno di loro lo sapeva. Mi sono tenuto dentro il dialetto che utilizzavo solo in famiglia e con gli amici. Ho avuto persino uno zio clandestino, qui infatti ho potuto liberare qualcosa delle mie radici, tornare a lavorare sulla base dell’autenticità senza rinunciare alla creatività. Interpretare un profondo legame col locale, il reale. Rispetto alla Bari dei miei primi film (anche ‘Mio cognato’ ndr.), a Napoli le possibilità si sono moltiplicate perché il bagaglio culturale è straordinario. Inoltre tutti gli attori hanno messo qualcosa di loro, ma ho lavorato senza sapere cosa sarebbe venuto fuori, comunque è stata un’esperienza di vita”. Il siciliano Francesco Scianna nel ruolo da protagonista dice: “Io avevo due coach, Valentina non ne ha bisogno, tutti hanno per lei un amore maniacale, la salutano come fosse una ragazza del quartiere loro. Ho cercato di imparare il dialetto in maniera analitica, altrimenti non ci credono. Il pubblico napoletano se sbagli ti fa un c… così. A Valentina le vogliono bene perché lei ha un grande cuore”.
“Purtroppo non ho potuto incontrare il vero Alendelon – confessa Scianna sul protagonista, oggi sotto protezione e con una nuova identità – che credo venisse soprannominato ‘Zico’. Oltre al libro e alla sceneggiatura ho visto qualche documento in video, prima e durante il processo, anche su alcune persone simili. Abbiamo fatto un lavoro essenziale sul dialetto, sulle sensazioni, usando una certa durezza del napoletano; su elementi fisici, fra studio e immaginazione, che potessero rendere queste su contraddizioni interne e dolore. Un personaggio reale ti offre tanto materiale, abbiamo usato un po’ l’immaginazione nel rapporto col padre e i fratelli. Tutto il materiale possibile anche rubando canzoni e video in carcere”.
Ottima la ricostruzione d’epoca, dalla fotografia di Renaud Personnaz, ‘invecchiata’ che ripropone i colori e le atmosfere anni ’70-’80, ai costumi di Sandra Cardini e le scenografie di Antonio Farina. Le musiche sono firmate da Andrea Farri. Il montaggio è dello stesso Piva. Nel cast Francesco Di Leva (Babbà), Daniele Boccarusso, Emanuele Vicorito, Pasquale ‘Pako’ De Rosa “Milionari” è stato presentato in anteprima al Festival Internazionale del Film di Roma 2014 (ottobre) nella sezione Cinema d’oggi. José de Arcangelo
(2 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dall’11 febbraio distribuito da Europictures in 50 copie (di cui 30 solo in Campania)

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