giovedì 25 febbraio 2016

Dopo l'acclamata presentazione in anteprima alla Festa del Cinema di Roma e al Lucca Comics, approda nei cinema "Lo chiamavano Jeeg Robot", opera prima di Gabriele Mainetti con Claudio Santamaria, Luca Marinelli e Ilenia Pastorelli

Arriva finalmente nei cinema, dopo l’eclatante successo dell’anteprima alla Festa del Cinema di Roma, “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti – già autore del corto pluripremiato “Tiger Boy”) - con un terzetto niente male: Claudio Santamaria, Luca Marinelli (reduce di “Non essere cattivo”) e l’esordiente Ilenia Pastorelli, già modella, Dj e partecipante al GF. Un riuscito mix di generi di ultima generazione – dall’avventura al thriller, dal poliziesco alla commedia filtrato attraverso i fumetti -, inedito per Italia, che coinvolge e diverte, con le (dis) avventure di un inconsueto supereroe.
Enzo Ceccotti (Santamaria), caduto nel fiume per sfuggire alla polizia, entra in contatto con una sostanza radioattiva e, durante un brutto incidente di ‘lavoro’, scopre di avere una forza sovraumana. Cupo, introverso e chiuso in se stesso, Enzo accoglie il dono dei super poteri come una benedizione per la sua carriera di piccolo delinquente.
Ma tutto cambia quando incontra la giovane Alessia, rimasta orfana di padre proprio durante ‘l’incidente’, convinta che lui sia l’eroe del famoso cartone animato giapponese Jeeg Robot d’Acciaio (di Go Nagai, fine anni ‘70)… Inoltre è alle prese con uno spietato e folle piccolo boss, aspirante attore-cantante in travesti.
“L’universo nasce da Nicola Guaglianone (autore del soggetto e sceneggiatore con Menotti ndr.), siamo entrambi della generazione a cui Bim Bum Bam ha fatto da balia, e dopo aver studiato il cinema serio, siamo tornati a quello che ci emoziona nel profondo, i cartoon. Il costume del supereroe è più semplice, non raffinato, cucito a mano (come per “Kick-ass” ndr.) e l’indossa nell’ultima inquadratura”. “In Italia, però, manca lo storico – prosegue sul protagonista -, guardandoci indietro, non scorgiamo uno storico fumettistico in cui personaggi mascherati si sfidano a suon di super poteri per decidere il destino del mondo, è altrettanto vero che, a queste storie, non siamo insensibili”.
“E’ vero, il protagonista è un supereroe ma nasce alla fine, emerge dopo la catarsi. Noi volevamo portare per mano e in modo diverso personaggi veri in un contesto fantastico/realistico. Lo zingaro è un villain fragile che ha bisogno della vetrina, altrimenti nessuno ti da valore”. “In realtà per il mio personaggio – ribatte Marinelli -, al Joker ci ho pensato sì e no, per costruirlo ho preso ispirazione dal mio primo incontro col cinema, a sette anni, e col killer de ‘Il silenzio degli innocenti’, un personaggio problematico che mi ha colpito e appassionato sin da subito, perché mi sembrava di stare a casa, sopratutto nel momento in cui si trucca e balla, sentivo che anche l’attore si era divertito. Perciò all’inizio con Gabriele ci siamo convinti a vicenda che lo Zingaro non era così cattivello, ma piuttosto un matto sopra le righe. Io mi divertivo e lui mi teneva coi piedi per terra”.
La passione per la musica è una delle doti con cui lo Zingaro si mette in mostra e libera tutto il suo talento. “Si ispirava a un cantante che poi non ha voluto essere ‘coinvolto’ – confessa l’attore -, così dovevamo trovarne un altro, poi abbiamo visto il video del debutto a Sanremo di Anna Oxa, sedicenne, con un look alla David Bowie metà uomo metà donna, e Lo Zingaro è diventato un cultore della musica anni ‘80”. “Le cantanti italiane, Oxa e Berté, lo rendono più interessante – riprende il regista e ricorda che era la musica che ascoltava sua madre -, molto più ambiguo e originale”. “Voleva un personaggio ben piazzato – dichiara invece Santamaria su Enzo -, anzi un orso fisica e caratterialmente, io sono dinoccolato e così mi ha fatto prendere 20 chili – ‘devi mangiare tutto quello che non si muove’ mi diceva - e mandato a vedere ‘L’orso’ di Jean-Jacques Annaud. E’ uno che percepisce se stesso come un altro, che aspetta il suo turno, consolandosi con budini alla vaniglia e il porno. Poi abbiamo fatto in modo che la relazione con la ragazza sospendesse il rapporto sia fisico che mental-emotivo con cui si è costruito la corazza, scalfita da Alessia”.
La protagonista femminile l’ha scoperta Gauglianone perché l’aveva vista nel Grande Fratello e si era ispirato persino alle sue battute. “Il mio agente, che è lo stesso di Tonio Cartonio – confessa -, mi ha detto ‘devi fare un provino per un film, ma tanto non ci riesci’. Dovevo studiare alcune battute e lo trovavo complicatissimo, perché ho pensato ‘forse fanno un film sulla politica’, visto che c’era il ministro Amaso e io credevo fosse riferito ad Amato. Ma, durante il provino, non ho saputo piangere e poi l’ho raccontato a mia madre. Lei mi disse: ‘Un piantarello avresti potuto farlo, visto che il mutuo lo dobbiamo pagare e le bollette si accumulano’. Infatti poi l’ho fatto, ma non col metodo Stanislavsky ma col metodo mutuo”.
“Abbiamo voluto unire due universi – racconta Guaglianone -, il cinema italiano e l’anime giapponese, ‘Lo chiamavano Trinità’ e ‘Jeeg Robot’ fuori contesto, invece per lo Zingaro ci ha influenzato ‘Balada triste de trompeta’ di Alex de la Iglesia”. Mentre Mainetti ricorda “Leon” di Luc Besson per i tre personaggi protagonisti. “Da amante dei generi – afferma Mainetti - penso che quello supereroistico rappresenti la sfida più complessa e pericolosa. Fare un buon film per me, significa raccontare con originalità. E quando ti avventuri in un genere che non ti è proprio, il rischio di scadere in un’imitazione è dietro l’angolo. E’ per questo che non abbiamo voluto raccontare le avventure di un superuomo in
calzamaglia. Non avremmo avuto il tempo necessario per aiutare lo spettatore a sospendere l’incredulità. Dovevamo perciò convincerlo a credere dall’inizio. Come? Con la verità che ci appartengono, tangibili in personaggi ricchi di fragilità, che spero riescano a trascinare per mano lo spettatore in un film che lentamente, si snoda in una favola urbana fatta di superpoteri”. Questa è una delle ragioni perché l’opera prima funziona e spiazza chi si affida al pregiudizio, senza pretese né presunzione Mainetti mette in scena personaggi credibili che però fanno cose incredibili (ma non troppo), affidandosi alla routine quotidiana dell’esistenza e ai problemi della società contemporanea. In questo modo situazioni e personaggi ‘locali’ diventano universali.
“Il cinema italiano perché venga visto deve parlare di noi – conclude il regista -, un buon film deve essere sensibile ai problemi contemporanei, ma non è detto che debba necessariamente affrontare la critica sociale”. Nel cast anche Stefano Ambrogi (Sergio), Maurizio Tesei (Biondo), Francesco Formichetti (Sperma), Daniele Trombetti (Tazzina), Antonia Truppo (Nunzia), Salvo Esposito (Vincenzo), Gianluca Di Gennaro (Antonio). La fotografia è firmata Michele D’Attanasio, il montaggio da Andrea Maguolo con la collaborazione di Federico Conforti, le scenografie da Massimiliano Sturiali, i costumi da Mary Montalto e le musiche dallo stesso Mainetti e Michele Braga.
In occasione dell’uscita del film, Lucky Red e La Gazzetta dello Sport presentano in edicola (dal 20 febbraio a 2,50 Euro) il fumetto omonimo, disponibile con quattro copertine diverse, da collezione, realizzate da Leo Ortolani, Roberto Recchioni, Giacomolo Bevilacqua e Zerocalcare. Scritto e curato dallo stesso Recchioni, curatore editoriale di Dylan Dog e creatore di “Orfani”, con i disegni di Giorgio Pontrelli e Stefano Simeone e i personaggi ispirato a quelli del film. José de Arcangelo
(3 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 25 febbraio distribuito da Lucky Red

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