martedì 15 marzo 2016

Fabrice Luchini a Roma, per "La corte" di Christian Vincent con cui ha vinto la Coppa Volpi a Venezia, parla anche della Francia, dell'Italia, del cinema e di Nanni Moretti

“La corte”, scritto e diretto da Christian Vincent, Premio per la Migliore Sceneggiatura e Coppa Volpi per il Miglior Attore a Fabrice Luchini alla 72.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è prima di tutto un film d’attore, appunto, che poggia sì su una sceneggiatura di ferro, non proprio originale, però funziona, coinvolgendo lo spettatore dentro e fuori l’aula del tribunale. A presentarlo a Roma è approdato proprio l’inimitabile e instancabile Luchini, protagonista nel ruolo dell’austero giudice Michel Racine. E’ il Presidente di una corte di assise, temuto perché molto severo con se stesso e con gli altri. Lo chiamano il “giudice a due cifre”, perché le sue condanne non sono mai inferiori a dieci anni.
Però ogni cosa sembra sconvolta dall’arrivo di una donna, Ditte Lorensen - Coteret (la brava attrice danese Sidse Babett Knudsen), membro della giuria in un processo per omicidio. Se anni prima, Racine si era innamorato di lei, ma non l’avevo mai detto, però è lei l’unica donna che abbia mai amato. “Il mio Paese non va bene ma la giustizia funziona – esordisce Luchini alla conferenza stampa -, garantisce il diritto a difendersi, di avere un giusto processo, soprattutto oggi quando domina il populismo di destra, quello che avete sperimentato voi con Berlusconi perché non c’era più dibattito. Purtroppo c’è un crescente successo dei partiti estremi, soprattutto di destra perché la gente vuole risposte semplici anziché il dibattito”.
“Ho seguito il processo di un uomo accusato di aver strangolato l’amante – dice a proposito della preparazione al ruolo -, era romeno e molti lo avrebbero condannato solo per quello. Era colpevole, io l’avrei liquidato in 15 minuti, ma non bisogna cadere nel qualunquismo. Venti, trent’anni fa la controparte era rappresentata dalla sinistra, ora ci resta il populismo di destra. Ci sono somiglianze col personaggio riguardo la parte più riuscita, nel dipingere un giudice mediocre e triste che si porta appresso la sua insoddisfazione. Quando veste la toga, invece, acquista tutta la sua grandezza, quello voleva Christian Vincent. Hitchcock diceva ‘se la scelta dell’attore è giusta, il ruolo è già fatto. E’ il regista che sceglie l’attore giusto”.
Sul mestiere, confessa: “Sono 45 anni che faccio l’attore e non sono così male, altrimenti sarebbe catastrofico”. E poi sul cinema francese, aggiunge: “Se in Francia vengono prodotti 300 film l’anno, non significa che ci sono 300 persone che hanno qualcosa da dire, intelligenza e ispirazione, ma soltanto che c’è un mercato”. Poi prosegue parlando del cinema italiano: “Negli anni Sessanta nel vostro cinema avevate lo stato maggiore dell’Europa e del mondo con Fellini, Rossellini, Visconti, Pasolini, Scola… Il vostro cinema esprimeva la genialità del popolo italiano, era alla stessa altezza di Hitchcock, come la nostra ‘Nouvelle Vague’, poi è iniziata la regressione, e pian piano è scesa anche da noi, ma la Francia si è tutelata, continuiamo a produrre tanti film. Però l’orrore della televisione ha degradato tutto”. Poi mette in scena una sorta di one man show per raccontare la cena, la sera precedente, con Nanni Moretti, che ha presentato in anteprima ‘La corte’ nel suo Nuovo Sacher: "Ci eravamo scambiati dei complimenti tramite i media, ma non c’eravamo mai incontrati.
Probabilmente hanno sentito dei complementi su di lui da me e viceversa e qualcuno l’ha trasformato in evento, tanto che mi hanno detto ‘vai a trovare Nanni a cena’. In Francia lui è una star, adorata dai giornali di sinistra, ma forse non voleva vedermi. Comunque, sono riuscito a farlo ridere due volte e lo considero un buon risultato. Era vestito come un professore di letteratura anni ‘80, jeans di velluto a coste, camicia scolorita, ma io adoro gli anni '80. Però muoveva nervosamente una gamba sotto il tavolo, tutti salutavano lui e nessuno me, non so se fingeva di non capire il francese o avrebbe preferito cenare a casa sua anziché con un cretino come me. Comunque Viva l'Italia e Viva Nanni Moretti!".
“Noi siamo tutti schiacciati dall'umorismo – aggiunge sull’humour -, ma non è una derisione che rompe col reale, è un umorismo conformista, tutti i programmi televisivi vogliono far ridere ad ogni costo, è un umorismo meccanico. L'umorismo quando viene istituzionalizzato diventa sinistro – e aveva ragione il filosofo che diceva ‘di umorismo moriremo -, invece l'umorismo vero è una rottura, un elemento inatteso, improvviso, una trasgressione in un processo logico, non se ne può più degli umoristi perché oggi la logica è ridere sempre e quindi viene meno la sua funzione originaria e geniale, l'unica soluzione è la rivoluzione sulla vittoria dell’abbrutimento della televisione che ha trasformato il nostro (e il vostro) Paese.”
“Il nostro Presidente parla in modo molto bizzarro – dichiara a proposito del suo incontro con Hollande ad uno spettacolo sui poeti -, con queste pause bizzarre, ma non sono sicuro che i politici siano amanti della letteratura. Pompidou aveva scritto un'antologia di poesie, ma non credo che i politici oggi la conoscano né che Chirac, Sarkozy o Hollande si siano cimentati in questo campo.” “Da bambino ogni estate passavamo le vacanze a Cattolica, Riccione o Rimini – conclude Fabrice Luchini sulle sue origini italiane -, partivamo in macchina e, non avendo molti soldi, dormivamo in macchina. Durante il viaggio, dopo la Francia, attraversavamo la Svizzera e parcheggiavamo davanti ad un lago così potevamo dire almeno di avere una 'camera' con vista lago. Da piccolo, durante la guerra d’Algeria, abitavamo in un quartiere popolare in cui convivevano mussulmani ed ebrei, ora la Francia è un paese straordinariamente disfattista, pessimista e disperato.”
Tornando al film, bisogna dire che è un piacevole spettacolo, sui toni della commedia dolce-amara che riesce a calibrare – grazie a Luchini – dramma e commedia, l’angoscia del tribunale e l’amore romantico, il teatro della giustizia e quello della vita. A proposito del tribunale, spunto dell’opera, Vincent ha dichiarato: “Principalmente è il regno della parola, fondato essenzialmente sulla natura orale del dibattito: un luogo dove coesistono quelli che padroneggiano il linguaggio con altri che non riescono neanche a capire il significato delle domande che gli vengono rivolte. Puoi osservare tutto questo in un tribunale se fai parte della giuria. Angoscia umana, poetici voli della fantasia, lunghi momenti di noia, fugaci momenti di familiarità, rivali in campo ai ferri corti, bugie, verità che si contraddicono l’un l’altra e tante domande che rimangono senza risposta. Quando il processo finisce, la verità a volte trionfa”.
Nel cast anche Eva Lallier (Ann Lorensen-Coteret), e i giurati Corinne Masiero (Marie-Jeanne Metzer, Sophie-Marie Larrouy (Coralie Marciano), Fouzia Guezoum (Nacera Boubziz), Simon Ferrante (Simon Orvieto), Moundy (Yacine Baloui), Serge Flamenbaum (Serge Debruyne), Emmanuel Rausenberger (Rémi Kubiak), Gabriel Lebret (Franck Leuwen), Salma Lahmer (The Cousin), Victor Pontecorvo (Martial Beclin), Candy Ming (Jessica Marton), e gli avvocati Michael Abitbout (difensore), Jennifer Decker (difensore) della Comédie Française; Hélène Van Geenberghe (assistente), Claire Assali (accusa) e Chloé Berthier (commesso). José de Arcangelo
(3 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 17 marzo distribuito da Academy Two

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