venerdì 18 marzo 2016

"La linea sottile", un toccante documentario di Nina Mimica e Paola Sangiovanni, e una lucida riflessione sulla violenza compiuta e subita nelle guerre in Bosnia e Somalia

Prendendo spunto da una tematica importante e sempre attuale come la violenza contro le donne – e non solo -, è nato il documentario “La linea sottile”, girato a quattro mani dall’italiana Paola Sangiovanni e dalla croata Nina Mimica che approda nelle sale italiane il 18 marzo a Roma, per toccare successivamente le città più importanti della Penisola.
Due storie incrociate per raccontare due guerre dei primi anni Novanta da due diversi punti di vista: quello di Bakira, una donna bosniaca sopravvissuta alla violenza della guerra nell’ex Jugoslavia e quello di Michele, un ex soldato italiano di una missione internazionale di pace in Somalia, il cui contingente è stato responsabile di violenze (inaudite) contro la popolazione civile di cui non capivano nemmeno la lingua. Il film è un inesausto viaggio ‘in fieri’ verso la consapevolezza del male e dell’umana capacità di generarlo.
“Sono stata io a proporre la figura di un uomo, di un soldato, mentre Nina – ci siamo conosciute al CSC negli anni ’90, afferma la Sangiovanni – pensava di intrecciare due storie di donne. E in questo modo l’abbiamo ‘complicato’ con l’accostamento ad altri significati”. “Due cose mi hanno colpito di più nel viaggio impervio di questo film – confessa -. Una ne è alla base, e cioè quanto Augusta (Eniti, la produttrice ndr.), Nina ed io, sentissimo forte l’urgenza di parlare della violenza – sopraffazione del più forte, guerra, violenza sessuale contro le donne – che ci ha portato a cercare di afferrare e cogliere i significati profondi che la sottendono al di là dei fatti, l’urgenza di mettere in moto una ricerca che fosse capace di connettere sistemi di (dis)valori in contesti diversi”.
“Preparando il documentario – dice nelle note di regia la Mimica – e tentando di comprendere le cause ed effetti della violenza con la mia protagonista Bakira, credevo che i nostri giri negli orrori della Bosnia post-bellica fossero un vero viaggio nel Cuore di Tenebra. E’ stato però il viaggio di ritorno, quello verso la luce, il più duro: come continuare a vivere con gli orrori impressi nella memoria? Il coraggio, l’ostinazione, la testardaggine e le contraddizioni di Bakira sono stati per me una lezione di vita”. “Il protagonista sono andato a cercarlo – riprende la Sangiovanni -, ci sono stati diversi soldati coinvolti in questi tipo di situazioni nella missione in Somali, anche canadesi e belgi. Non racconto accadimenti nuovi, perché a suo tempo erano stati pubblicati da ‘Panorama’, foto incluse. Quelle che vediamo nel film sono state in parte fatte da Patruno stesso (oggi quarantenne, lavora in una fabbrica di armi ndr.) e tra di loro se li scambiavano, come se si trattasse di foto ricordo o cartoline. L’Italia è piena di ex soldati (allora c’era ancora il servizio di leva) e tra i materiali d’archivio, in alcuni casi inediti, ci sono anche quelli girati di Miran Hrovatin, il cameraman ucciso assieme alla giornalista Ilaria Alpi a Mogadiscio nel ’94, tra cui la mobilitazione dell’esercito italiano. Sono stati scoperti fatti che la guerra aveva coperto e/o fomentato, sovrapposti al commercio illegale d’armi o al traffico di materiale tossico. Michele Patruno li ha raccontato anche in maniera elementare e all’epoca è stato trattato un po’ come capro espiatorio”.
“Se il produttore (Marco Visalberghi ndr.) all’inizio aveva qualche dubbio sul mettere insieme materiali e storie diverse, devo dire che dopo è stato un rapporto felice con la produzione (Altreforme, DocLab, Kinematograf con Rai Cinema ndr.) perché si è creato un clima positivo dall’inizio alla fine, abbiamo avuto la capacità di raccontare una storia che fa capire un’altra complessa parte dell’esistenza umana. A definire quella linea sottile che separa il diritto del soldato dalla violenza dell’addestramento, estremizzata dalla caserma, a quella della guerra che in qualche modo è il cuore del film. Non si tratta di un paragone delle atrocità, ma su un sistema di valori che fa diventare un ragazzo in bullo”. Quindi, una lucida e amara riflessione sulla violenza compiuta e subita – Bakira segnala e mette a fuoco come gli assassini siano stati condannati per crimini di guerra che però non comprendevano la violenza sulle donne, né gli stupri di massa in cui non venivano risparmiati nemmeno i giovani maschi –, e sulla banalità del male, ancora più efferato ed esasperato quando si tratta di un ‘branco’ impazzito, siano i suoi componenti criminali, soldati, nemici o etnie diverse.
“Nel mondo, da oriente a occidente – dichiara la produttrice Eniti, di Altreforme -, sono milioni le donne vittime di stupri e violenze. Non possiamo negare che questo non abbia a che fare con ciò che è inscritto nel discorso ideologico politico, nelle sue premesse, nei suoi postulati, nei suoi concetti e ricordi. La pratica dello stupro usata come arma di pulizia etnica nell’ex Jugoslavia ci consente drammaticamente di riconoscere le superstizione dell’ideologia intorno all’idea di origine, identità e razza. Il controllo della società è il controllo, innanzitutto, sulla generazione. Da queste riflessioni sono partita per scrivere il soggetto e condividerlo con Nina Mimica e Paola Sangiovanni. Le registe hanno seguito il proprio personaggio, ma sempre all’interno di un lavoro collettivo, di un reciproco scambio e confronto. La sceneggiatura, infatti, è frutto di lunghe discussioni e riscritture, come anche il montaggio”. Quindi, un documentario che ripercorre un passato non troppo lontano disseminato di orrori che, purtroppo, si perpetuano ancora oggi, in altri – tanti – focolai di guerra così lontani così vicini. Una realtà sempre e ovunque tanto inquietante quanto scioccante. Ed è anche un viaggio dei due protagonisti, come dice Sangiovanni, “ dentro se stessi, al processo attraverso il quale l’esperienza della violenza diventa dicibile. Dentro questo processo, cercando le parole cinematografiche per dirlo, mi si è rivelato in che misura quello che stavano indagando mi fosse prossimo e tanti echi gli hanno risposto dalla cultura della mia società in pace”. José de Arcangelo
(3 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 18 marzo (Roma al Farnese, Apollo 11 il 24 marzo) distribuito da Berta Film A Milano (Apollo – Spaziocinema, il 18 aprile), successivamente a Firenze (Alfieri), Torino (Ambrosio), Perugia, Bologna, Prato, Trieste, Udine. La serata al Cinema Farnese Persol di Roma (18 marzo, 20.30), presentata da Boris Sollazzo e alla presenza della regista Paola Sangiovanni e di Riccardo Noury, Portavoce Amnesty International Italia (Patrocina il film), aprirà il tour del film che nelle settimane successive toccherà le principali italiane. Alcune delle proiezioni saranno arricchite da Parole di Guerra, brevi brani da Primo Levi, Svetlana Aleksievic, Paolo Rumiz e altri, letti da Sonia Bergamasco, Francesco Montanari e Sandra Toffolatti, ai quali si aggiungeranno altri interpreti strada facendo.

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