giovedì 21 aprile 2016

In bilico fra dramma d'attualità politico-economica e giallo metafisico "Le confessioni" di Roberto Andò riflette sulla società contemporanea con la complicità del monaco Toni Servillo

Dopo lo sconvolgente e lucido “Viva la libertà”, Roberto Andò si ripresenta con un nuovo film, più ambizioso e complesso, in bilico tra l’Elio Petri di “Todo modo” e il Paolo Sorrentino di “Youth” (soprattutto nella forma che,volente o nolente, rievoca). “La prima idea del film – esordisce il regista e sceneggiatore (con Angelo Pasquini) è nata due anni e mezzo fa, è stato un lungo lavoro sul trattamento e sulla sceneggiatura. Mi sembrava naturale, sulla scia di cose che mi inquietano e assillano nella società contemporanea, riflettere sul potere dell’economia che, negli ultimi anni, ha perso sicurezza tanto da non
riuscire più a prevedere e risanare la crisi. L’idea era mettere insieme figure insicure e incapaci di prendere l’iniziativa davanti ad un prete che ci porta dentro questa sospensione, testimone di uno scenario che ci riguarda ancora. E raccontare alcuni ministri all’interno di un summit e di fronte ad un evento che va oltre le loro possibilità di fronteggiarlo. Ma al di là del titolo, c’è poco testo di Sant’Agostino d’Ippona. E le ‘confessioni’ e la modalità spiazzante del monaco ci aprono porte mai aperte su quel mondo”.
“Dice delle cose straordinarie – prosegue -, come che ‘la confessione è un grido dell’anima’ e ‘il tempo è una variabile dell’anima’ o ‘perdere tempo non ha mai fatto male a nessuno’ (mentre il direttore del Fondo Monetario Internazionale ribatte ‘il denaro crea il tempo’ ndr.). Ad Agostino non ci ho mai pensato se non per il titolo, uno dei grandi libri del canone occidentale”. Germania, in un albergo di lusso sta per riunirsi un G8 dei ministri dell’economia deciso ad adottare una manovra segreta che avrà conseguenze molto pesanti per alcuni sfortunati paesi. Con gli uomini di governo, ci sono anche il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Daniel
Roché (Daniel Auteuil in ruolo chiave), e tre ‘invitati’: una celebre scrittrice, Claire Seth (Connie Nielsen), autrice di best seller per bambini, la rock star Michael Wintzl (Johan Heldenberg) e un monaco italiano, appunto, Roberto Salus (un Toni Servillo sempre giusto e camaleontico). Accade però un fatto tanto improvviso quanto tragico e la riunione deve essere sospesa. Tra sospetti, dubbi e paura, i ministri e il sacerdote ingaggiano una sfida sempre più serrata intorno al segreto, anche perché gli uni temono che l’altro, in quanto confessore, ne sia a conoscenza. Naturalmente, lo sollecitano con tutti i mezzi a rivelare quello che sa. Ma le cose
non vanno così lisce: mentre il monaco – paradossale e spiazzante – si fa custode inamovibile del segreto della confessione, gli uomini di potere, assaliti da rimorsi e incertezze, iniziano a vacillare. Un dramma etico (ed estetico) che diventa poco a poco giallo metafisico, o se si vuole thriller dell’anima, fra potere e finanza, politica ed economia, sacro e profano. Certo, mancano brivido, tensione e suspense, ma non a caso viene citato “Io confesso” di Alfred Hitchcock, anche esso
incentrato sul segreto della confessione e, forse, il suo film meno amato, visto che lo spettatore – come in questo caso – conosce il ‘segreto’. “Petri è un regista che amo molto – confessa Andò sui riferimenti -, credo sia importante creare un ponte tra immaginazione e realtà, perché c’è una confusione politica non costruttiva, in ‘Todo modo’ (da Sciascia ndr.) si convocava il potere della DC in una sorta di mea culpa. Infatti, è un
privilegio interrogarsi sulla politica in modo diverso dal cinema anni Settanta, ma non è l’unico argomento, ci sono la religione e l’arte. Un’occasione per interrogarsi in un modo che son sia ideologico né costrittivo”. Servillo, si infastidisce (giustamente) tanto da rispondere in modo sgarbato alla domanda sul suo rapporto con la fede: “Sono fatti miei, siamo qui per parlare del film e ringrazio Auteuil (che impegnato a teatro ha mandato un videomessaggio, in cui lo elogia ndr.) per le sue parole, un attore che ammiro e col quale non avrei mai immaginato di lavorare insieme. Salus potrebbe essere
il terzo gemello di ‘Viva la libertà’, perché anche lì c’era già il ponte fra realtà e immaginazione, ma oggi andiamo più in profondità con un personaggio singolare, un uomo di fede che si presenta come persona credibile e Dio sa quanto ne abbiamo bisogno ora. Oppone al mondo di dichiarazioni ufficiali, di cui è ospite, una dignitosa renitenza. E’ un personaggio positivo che mette il pubblico in una situazione scomoda, rispetto al ‘cattivo’ da cui prende le distanze, ma rapportarsi con Salus richiede più responsabilità. Mi sono lasciato orientare dai suoi pensieri.
Il film, tramite lui, ci fa entrare in luoghi in cui non si entra mai e non ti aspetteresti da un personaggio che ritiene che nemmeno la propria vita gli appartenga si ritrovi fra persone che pensano invece gli appartenga l’intero mondo. Un personaggio che ad un attore fa gola”. “Estetica ed etica – riprende l’autore sull’ambientazione -, per me come per il poeta Brodskij ‘l’etica comincia dall’estetica’, l’albergo di lusso sul mar Baltico – che è stato davvero luogo di un G8 – è rifugio per ritrovare un’intimità e al tempo stesso è un paesaggio morale. E’ molto bello tanto all’interno quanto all’esterno e sembra sia stato utilizzato prima dai gerarchi nazisti poi dai comunisti e, infine, per curare malattie mentali”.
“Che una situazione del genere sia possibile – aggiunge – lo dimostra quello che è successo con la Grecia, un paese che ci sta molto a cuore, vero patrimonio culturale occidentale. Sono fatti che il cinema utilizza per far riflettere, dato che i giornali oggi trascurano le inchieste. E come frequentatore di questo tipo di conoscenza e comunicazione, mi è stato offerto di scrivere una serie sulla politica (per la Rai) e delineare paesaggi possibili”.
“Non avevo un’immagine di riferimento – dichiara Pierfrancesco Favino che è il Ministro italiano -, ma ho visto e rivisto tante cose, e ho constatato che alle conferenze stampa dei summit si sa già quello che diranno. C’è un distacco tra voce e corpo in loro, e dentro un corpo c’è poco di corporeo, infatti, devi ripetere a voce cose già dette. Del resto, è riduttivo fare l’imitazione di qualcuno. Nel film due italiani (Ministro e prete ndr.) si ritrovano a parlare, e il monaco riporta la lingua del sacro, quella dell’anima che, indipendentemente, porta gli altri ad aprirsi in modo più etico. Non si tratta solo di una formula matematica (quella lasciata in ‘eredità’ da Roché ndr.), nonostante siano delle persone che si esprimono con delle formule. Il Ministro ha un
dubbio, ma non credo si redima perché, nella sua esistenza, ci sono logiche più importanti del pentimento. Quello che lo distingue dagli altri è la sua italianità perché porta a galla la sacralità, appunto, che fa parte della nostra cultura, anche quando siamo atei”. Tra simboli ed enigmi, il film forse rischia di confondere lo spettatore meno attento, però anche per lo stesso motivo può sedurlo, illustrando un mondo attraverso il suo specchio distorto; perseguendo una verità che può ribellarsi la solita menzogna.
“La mia sensazione è che una grande gamma di sfumature – riprende Andò - questi leader non le abbiano quando li vediamo, perché c’è una zona di fedeltà, fideista riguardo i fatti dell’economia. Il ministro canadese ha un dubbio e alla fine cambia posizione, di questo bisogna dare conto. Volevo ci fosse un personaggio femminile che ci guida, lo spiasse per capire come si comporta perché è un oggetto misterioso per lei scrittrice popolare che ha molti soldi. E nemmeno questo fatto è strano perché spesso ai summit vengono convocati personaggi estranei a quel mondo, per esempio Bono. E siamo partiti da quest’idea”.
“Nei G8 sono portavoce di un potere esterno – ribatte Pasquini -, figure grigie che portano alcuni dubbi nei percorsi della coscienza. Roché rappresenta il vero potere, quello finanziario. Nel confronto-confessione non confessa quello che sta facendo. Salus è, invece, la figura del giocatore/scommettitore che li sfida a bloccare in qualche modo il loro piano”. “Quando ho letto la sceneggiatura ho scoperto che parlava di problemi attuali – dichiara la danese, hollywoodiana d’adozione, Connie Nielsen che è Claire Seth – e di alcune frustrazioni. Non è un film polemico, ma si pone delle domande esistenziali molto belle e dona al mio personaggio il senso dell’umorismo”.
“Come Connie sono stata sedotta dalla sceneggiatura – ammette Marie-Josée Croze, il Ministro canadese, come lei -, avevo visto il film precedente e scoperto che Roberto fa cinema vero, parla di cose difficili, ma è austero e fonde cinema e poesia. I suoi personaggi possono ‘sembrare’ buffi, contraddittori, molto confusi e non molto scolpiti. E’ stato veramente molto bello lavorare per due mesi in un film corale con tutti i miei colleghi e scoprire il lato umano di Andò: dolce, profondo e che dà molta libertà a noi attori. E’ stata un’esperienza nutriente”. “Volevo scoprire come vivono segretamente questi leader – afferma Giulia Andò, figlia del regista, che è Caterina -, ma il mio vero amore è lavorare sul personaggio. Spia il monaco, si appassiona alla sua vita e, alla fine, si affeziona”.
“Il mio semplice mestiere è recitare – conclude Servillo -, guidare il pubblico come attore mi lusinga, ma a volte ci riesco a volte no. Non so se sono una guida per i giovani, ma faccio teatro insieme a loro, il nostro lavoro si basa sulla trasmissione di quello che si è imparato di generazione in generazione. Se qualche giovane mi riconosce come guida, ovviamente, ne sono onorato”. Un’opera che può piacere o meno, ma comunque importante perché induce lo spettatore ad un ulteriore riflessione sulla società contemporanea, dove le apparenze non solo ingannano, perché il dubbio e l’inganno, appunto, riguarda tutto e tutti, a livello internazionale.
Nel cast anche il tedesco Moritz Bleibtreu (Mark Klein), Richard Sammel (Ministro tedesco), Togo Igawa (Ministro giapponese), Aleksei Guskov (Ministro russo), Stephane Freiss (Ministro francese), Julian Oveden (Matthew Price), John Keogh (Ministro americano), Andy de la Tour (Ministro britannico), Ernesto D’Argento (Ciro), e con la partecipazione di Lambert Wilson (Mr. Kis). Le musiche originali del premio Oscar Nicola Piovani (“La vita è bella”) e la fotografia del pluripremiato Maurizio Calvesi. José de Arcangelo
(3 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 21 aprile presentato da O1 Distribution in 250 copie

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