giovedì 21 aprile 2016

"Zona d'ombra" per un inedito Will Smith diretto da Peter Landesman, nella storia vera del neuropatologo nigeriano che scoprì un male 'scomodo' per gli interessi economico-politici

Tratto da una storia vera, impegnata e avvincente, “Zona d’ombra” è un solido ma convenzionale dramma d’impegno civile,
sceneggiato e diretto da Peter Landesman (da “Parkland” a “La regola del gioco”, il suo film più riuscito), con un sempre efficace Will Smith, nel ruolo per lui inedito, di un uomo introverso e affidabile, anzi rassicurante. Però sono la retorica e un buonismo, soprattutto religioso (è Dio la guida del protagonista), ad avere la meglio sul resto.
Ispirato all’articolo del New York Times Magazine di Jeanne Marie Laskas (pubblicato nel 2009, poi diventato un libro omonimo), il film racconta la storia di Bennet Omalu (Smith), il neuropatologo nigeriano che cercò in ogni modo e ad ogni costo di portare all'attenzione pubblica la sua importante scoperta: una malattia degenerativa del cervello che colpiva i giocatori di football americano, vittime dei ripetuti colpi subiti alla testa. Durante la sua ostinata ricerca, il medico tentò di smantellare lo status quo dell'ambiente sportivo che, per interessi prima economici poi politici, metteva consapevolmente a repentaglio la salute degli atleti.
La pellicola si apre, infatti, sul caso Mike ‘Iron’ Webster (David Morse), uno dei più grandi giocatori di football americano, una vera leggenda, che si trova ora sul tavolo delle autopsie del giovane anatomo-patologo forense. Omalu vuole capire cosa ha portato in così breve tempo un campione eccezionale alla follia e al suicidio. Ma, ancora ignora che quello che scoprirà non solo cambierà la sua esistenza (passerà dalle congratulazioni e il sostegno di alcuni colleghi alle minacce di morte per lui e la sua famiglia) e quella dello sport americano.
La malattia mentale di Webster e compagni non è frutto del caso, ma è stata causata dai ripetuti colpi alla testa ricevuti (regolarmente) in gioco, equivalenti a 25mila trauma cranici. Il nome del male: encefalopatia traumatica cronica. E ben presto altri giocatori ne presentano i sintomi e ne saranno vittime. Però per la National Football League (NFL), una delle corporazioni più potenti degli Stati Uniti d’America, la salute dei giocatori è, ovviamente, molto meno importante della verità. Quindi, la sfida di Omalu – per il sistema diventato il nemico - è quella di Davide contro Golia. Libro e film in America sono stati già definiti ‘Medical Thriller’, peccato che il regista (con una gavetta nel giornalismo d’inchiesta) rischi di trasformarlo nel
tipico biopic, anzi in una favola del reale (il sogno americano non muore mai), caricando il finale di un buonismo eccessivo e fuori luogo. Un argomento importante e il ritratto di un personaggio, mite e ingenuo, ma ostinato e instancabile nella ricerca della verità (scientifica), tanto che quando gli vengono negati i mezzi per farlo li pagherà di tasca sua. Nel cast anche Alec Baldwin (Dr. Julian Bailes), Albert Brooks (Dr. Cyril Wecht), l’attrice inglese in ascesa (la vedremo da oggi al prossimo anno in cinque film) Gugu Mbatha-Raw (Prema Mutiso, la moglie), Arliss Howard (Dr. Joseph Maroon), Mike O’Malley (Daniel Sullivan), Eddie Marsan (Dr. Steve DeKosky), Hill Harper (Christopher Jones) e Luke Wilson (Roger Goodell). José de Arcangelo
(2 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 21 aprile distribuito da Warner Bros. Italia

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