giovedì 26 maggio 2016

Dal Festival di Cannes, "Julieta", il nuovo mélo - freddo - di Pedro Almodovar ispirato alla scrittrice canadese Alice Munro, penalizzato dal doppiaggio

Almodovar torna al mélo e si ispira alla scrittrice canadese Alice Munro, precisamente a tre racconti tratti da “In fuga” (Runaway), incentrati sulla protagonista Juliet: “Fatalità”, “Fra Poco” e “Silenzio”). E, rispettando l’atmosfera dell’autrice, raffredda il racconto allontanandosi dal suo stile, focoso ed eccessivo che faceva dei suo melodrammi dei veri capolavori quali “Tutto su mia madre” e in parte “Volver”.
Quindi, “Julieta” – passato in concorso e senza clamore al recente Festival di Cannes - è un melodramma che racconta “tre storie distinte – afferma il regista – che ho cercato di unificare, inventando ciò che era necessario”. E lo fa affidandosi al ‘caso/destino’ e, abbandonata l’idea di trasferire la storia da Vancouver a New York e di girare il film in inglese, ricostruisce la storia fra Madrid e la Andalusia.
A Madrid Julieta (Emma Suarez) sta per lasciare la Spagna per trasferirsi col suo nuovo compagno Lorenzo (Dario Grandinetti) in Portogallo, quando incontra Beatriz (Michelle Jenner), un’amica della figlia Antia che non vede né sente da 12 anni. L’incontro inaspettato risvegli in lei i fantasmi del passato: l’incontro di Julieta (Adriana Ugarte) con Xoan (Daniel Grao), poi il matrimonio, la nascita della figlia, la morte improvvisa del marito.
Infatti, madre e figlia, soffrono in silenzio per la perdita di Xoan, ma a volte il dolore non unisce le persone, anzi spesso le separa. Il giorno in cui Antìa compie diciotto anni parte per un ritiro spirituale e abbandona per sempre la madre, senza darle una spiegazione. Julieta inizia a cercarla con ogni mezzo a disposizione, ma quello che scopre è che in realtà non sa nulla sulla figlia.
“Julieta” parla della lotta di una madre per la sopravvivenza all’incertezza, al dubbio e al senso di colpa. Parla anche del destino e del mistero insondabile che ci fa abbandonare le persone che amiamo, cancellandole dalla nostra esistenza come se non avessero mai significato nulla, come se non fossero mai esistite. Proprio come sostenevano Oscar Wilde e poi Jean Genet e Jean Cocteau, “l’uomo uccide ciò che ama”, a volte letteralmente.
Andando avanti e indietro nel tempo, Almodovar costruisce quasi gelidamente un puzzle del cuore, non a caso il film si apre con un tessuto rosso in primo piano che scopriremo nasconde un cuore che batte: proprio quello di “Julieta”. Come sempre sono le donne protagoniste assolute, fra potere e sofferenza, fragilità e forza, la donna che genera l’uomo, che è più forte nel combattere, gestire, soffrire e godere di tutto ciò che offre la vita. “Solo il caso è più forte di lei”.
Sempre pieno di omaggi e riferimenti, tra classici e generi, miti e canzoni, “Julieta” forse va visto due volte – come dice lo stesso regista - per avventurarsi in un “viaggio verso l’ignoto” sulla scia dei sentimenti, per di più per la prima volta affrontato quasi nel modo freddo e distaccato della scrittrice canadese. Peccato che il doppiaggio stavolta tradisca lo spirito dell’autore e della storia, visto che il regista spagnolo usa le parole e gli accenti, quindi i dialoghi, come complemento ideale delle sempre bellissime immagini. Da segnalare la trovata con cui un’attrice passa la staffetta (l’asciugamano in testa) all’altra che il regista rende quasi impercettibile, anche perché le due vagamente si somigliano.
“Mi affascinano i treni – confessa Almodovar -, anche giocattoli, che appaiono nelle pellicole. Ho sempre sognato di girare per davvero un film su un treno (c’è un’intera sequenza clou in treno all’inizio del racconto della storia d’amore ndr.). Di tutti i mezzi di trasporto che costituiscono l’iconografia della cinematografia (oltre alle diligenze ed i cavalli che appartengono a un proprio genere, il western), il treno è il mio preferito. Il treno è stato
adottato in ogni genere, ma le scene che più mi sono rimaste imprese per la maggior parte appartengono ad Hitchcock (‘La signora scompare’, ‘L’altro uomo’, ‘Intrigo internazionale’), e a Fritz Lang (‘La bestia umana’). Nel cast anche Inma Cuesta (Ava), Nathalie Poza (Juana), Marian Bachir (Sanàa), il produttore Agustin Almodovar (controllore treno), Susi Sanchez (madre di Julieta), Pilar Castro (madre di Beatriz), Blanca Parés (Antìa a 18 anni), Ramon Aguirre (Inocencio) e Sussy de Palma (Marian, la domestica).
Le musiche sono del fedele Alberto Iglesias, il quale all’inizio aveva detto che il film non ne aveva bisogno ma poi, spinto da Almodovar, è riuscito a trovare una traccia attraverso il lavoro di Toru Takemitsu per “La donna di sabbia” e sulla scia di Mahler e Alban Berg. La canzone dei titoli di coda, stavolta l’unica (!), è di Chavela Vargas “Si no te vas” (Se non te ne vai): “Se te ne vai finirà il mio mondo, un mondo in cui esisti solo tu. Non andartene, non voglio che tu vada, perché se te ne vai in quello stesso momento muoio io”. José de Arcangelo
(3 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 26 maggio distribuito da Warner Bros. Entertainment Italia

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