mercoledì 25 maggio 2016

"Fiore" la sorprendente opera quarta di Claudio Giovannesi, con la rivelazione Daphne Scoccia, che ha conquistato il Festival di Cannes

Dalla Quinzaine des Realisateurs dell’ultimo Festival di Cannes alle sale italiane, “Fiore” che offre più di una rivelazione, dal regista Claudio Giovannesi – anche se è sceneggiatore e alla sua
quarta regia, ma l’approccio è sempre diverso - alla protagonista Daphne Scoccia, dai collaboratori al co-protagonista maschile, Josciua Algeri. La storia di un’adolescente nel periodo di passaggio all’età adulta, spinta dal desiderio di fuga da una periferia, da una società che non offre più nemmeno la possibilità di sognare un’altra vita.
Daphne, detenuta per rapina (ruba i cellulari alle coetanee) finisce nel carcere minorile, e si innamora – ricambiata - di Josh, anche lui giovane rapinatore del ‘nord’. In carcere i maschi e le femmine non si possono incontrare e l'amore è vietato: la relazione di Daphne e Josh vive solo di sguardi da una cella all’altra, di sigarette fumate e brevi conversazioni attraverso le sbarre e lettere clandestine. La prigione non è più solo privazione della libertà ma diventa anche mancanza d'amore.
“Fiore” è, infatti, il racconto del desiderio d'amore di una ragazza adolescente e della forza di un sentimento che infrange ogni legge. Giovannesi, già autore di “La casa fra le nuvole” (2008) e “Fratelli d’Italia” (2009), lascia le atmosfere plumbee e multietniche di “Alì ha gli occhi azzurri”, sorpresa del Festival di Roma 2012, per quella solare e ribelle, disperata e vibrante del cinema anni Sessanta/Settanta, tanto da Nouvelle Vague quanto dai nostri arrabbiati e contestatari (Bertolucci e Bellocchio in testa), e come loro mai sopra le righe, nonostante la storia e i personaggi a cui danno vita.
Uno spaccato lucido e coinvolgente, duro e crudo come la vita, reale e quotidiana, fra carcere vero e mentale, perché la libertà che tutti agogniamo non è solo quella fuori dalla prigione ma da un’esistenza d’incertezza e disagio. Quindi, non solo voglia di sopravvivenza ma soprattutto di una vita degna di questo nome. E in una società in cui non fa più differenza essere onesti o corrotti, violenti o pacifici, non resta altra via d’uscita che la fuga, magari nemmeno troppo lontano, ma in un luogo dove non esistano più ‘regole’, soprattutto sbagliate.
Sorprendente la protagonista, una giovanissima esordiente non professionista (come l’Ilenia Pastorelli di “Lo chiamavano Jeeg Robot”) - scoperta dal regista in un locale dove faceva la cameriera - che esprime lo stato d’animo della protagonista con una naturale efficacia, tanto da offrire intensità e credibilità al personaggio col solo sguardo. Un fatto che conferma l’autore un ottimo regista d’attori.
Se nel film c’è una piccola pecca risiede forse nel fatto che si trascina (solo un po’) nei conflitti di Daphne con compagne e secondine del carcere, così come rischia di perdere l’equilibrio nel finale aperto, forse a causa dell’ingenuità e dell’improvvisazione dei giovanissimi protagonisti, non ancora maturi per affrontare una situazione più grande di loro.
Nel film un sempre più efficace Valerio Mastandrea nel ruolo del padre di Daphne, anche lui ex carcerato, che non riesce veramente a comunicare nel modo giusto con la figlia che ha da sempre trascurato; e Gessica Giulianelli, Laura Vasiliu, Klea Marku, anche loro esordienti. José de Arcangelo
(3 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 25 maggio distribuito da Bim Venerdì 27 maggio all’inizio dello spettacolo delle 20.25 al cinema Greenwich di Roma, via Giovanni Battista Bodoni 59, il regista Claudio Giovannesi e la protagonista Daphne Scoccia saluteranno il pubblico presente in sala

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