giovedì 5 maggio 2016

"La buona uscita" di Enrico Iannaccone, con Gea Martire e Marco Cavalli: un'opera prima in commedia grottesca e feroce sulla nuova borghesia napoletana

Una commedia, grottesca e spietata, sulla ‘nuova giovane borghesia napoletana’, tanto ricca quanto strafottente, cinica e asociale. E’ “La buona uscita”, sceneggiata e diretta da Enrico Iannaccone, David di Donatello 2013 per il miglior cortometraggio con “L’esecuzione”.
Una commedia più amara che dolce, in cui non si salva quasi nessuno, visto che tutto è dominato dall’ipocrisia e dalla corruzione, dal cinismo e dal ricatto, ma in realtà è la solitudine a regnare sulla loro esistenza perché difficile è per tutti trovare un equilibrio (interiore). “La storia è nata da un vero e proprio impeto – confessa Iannaccone alla presentazione romana -, pensavo di aver scritto una commedia, qualcosa per stare bene, sulla solitudine e il terrore della libertà, sulla mostruosità di certi personaggi, e sullo sfondo il mare, non quello della baia ma, comunque, sempre aperto.”
Quindi, il film racconta un mondo solitario e narcisistico che consuma cibo e piacere senza alcuna vera relazione umana con il resto delle persone, visto che soprattutto le ‘usa’ (e getta). L’unica ad accorgersi dell’aridità che la circonda è Lucrezia Sembiante (un’intensa Gea Martire), un professoressa di sessant’anni, che – terrorizzata dalla vecchiaia e dalla solitudine, appunto – decide di reprimere le sue pulsioni sessuali dopo l’ultimo incontro con lo storico ‘amico di letto’ Marco Macaluso (Marco Cavalli, bravo da farsi odiare), un felice, snob e spregiudicato imprenditore. Ma la sua scelta, costringerà la donna ad affrontare brutalmente la natura delle sue paure.
“Una storia chiamata in causa dalla stessa vita – afferma la Martire -, dalla sua età, dalla sua estrema libertà; ha vissuto e dichiara di essere una donna che ha goduto e le piace farlo. Senza una moralità, senza pensare ai limiti di godimenti e piaceri, e ad un certo punto si guarda, mette i freni davanti alla paura di restare sola, ma poi si ravvede, rigira lo specchio e va avanti per la sua strada. Ride dell’ignoto e con lui si diverte”. Dell’impostazione volutamente teatrale, Iannaccone si serve per trasportarci in ‘un mondo di marionette’ senza fili ma ugualmente condizionate/guidate tanto nelle relazioni quanto negli affetti, pubblici e privati.
“La buona uscita’, commedia amara dai toni grotteschi – ammette l’autore –, intende affrontare con un linguaggio, tanto delicato quanto talvolta divertito, gli annosi e correlati temi della solitudine e dell’equilibrio interiore. L’impostazione teatrale della recitazione – talvolta ai limiti dello stucchevole – rende i personaggi simili a marionette attive nel teatrino delle relazioni e degli affetti, la cui moralità non può che compromettere la stabilità dei singoli e generare sentimenti di dolore e isolamento”. Per questo, soprattutto all’inizio, lo spettatore può venir spiazzato e infastidito da uno stile – apparentemente freddo e distaccato -, ma una volta entrato nel vortice della storia pian piano viene coinvolto in un percorso attraverso ‘l’insensatezza dei rapporti umani’ da cui, forse, solo Lucrezia uscirà vincente, perché scoprirà che l’unica via d’uscita è tornare ad essere ciò che è sempre stata – una donna libera e spregiudicata – e andare serenamente incontro alla vecchiaia.
“Marco Macaluso si potrebbe definire un epicureo – afferma l’omonimo Cavalli -, se volessimo attribuirgli una sorta di saggezza. Ma più esattamente può dirsi un egolatra, appassionato unicamente al proprio io, oltre lo snobismo che la collocazione sociale gli consente. Quelle del film sono persone molto diverse da quelle che vedete spesso sul grande schermo, il mio ruolo è una maschera, grottesca e abbietta, un personaggio che si rintraccia spesso per strada, dalle molte sfumature. Io dovevo trovare quel ghigno, quell’afflato”. Lo sguardo del regista ci porta in viaggio in una Napoli inedita e misteriosa, e ci offre il ritratto di una borghesia equilibrata e gaudente come il protagonista, probabilmente disilluso riguardo gli affetti, che risulta antipatico, anzi odioso e feroce, per tutti quelli che lo circondano.
Qualche collega accenna a qualche somiglianza con “Brutti, sporchi e cattivi” di Ettore Scola e l’autore dichiara: “Magari, è un film che adoro anche se non è tra i miei caposaldi. La mia struttura si rifà soprattutto al cinema di Michael Haneke, ma anche a Michelangelo Antonioni, Marco Ferreri e Pier Paolo Pasolini che sono i miei maestri preferiti. Napoli è connivente, tace sulla violenza presente in città, è un fatto patologico. E’ la mi città ma non ci abito, credo che un’inversione culturale più incisiva potrebbe in parte cambiare qualcosa. Ho girato in quella ‘underground’, anche in un luna park abbandonato e distrutto, luogo di costante scambio, dove tutto può sembrare facile, clandestino. E questo gioco di scambi è anche nella sceneggiatura, attraverso campo controcampo che crea una sorta di empatia, e poi i piano sequenza lunghi e ‘distrutti’ (interrotti da un passaggio brusco tra uno e l’altro ndr.). Il film mostra l’iceberg
della comunicazione perciò era fondamentale che gli interpreti fossero maschere, passare dal riso alla serietà delle maschere teatrali, mostrare pupazzi e fra loro Lucrezia che non ha una morale precostituita, infatti, lei è di ‘carne’ perché terrorizzata, non deve fingere per comunicare i sentimenti, ma quando sente il terrore in corpo il suo atteggiamento cambia”. “Fino ad un certo punto l’autentica vita viene fuori – ribatte Martire -, Lucrezia si dichiara libera, ama il sesso, e viene vista come una ninfomane, giudicata dagli altri ma lei se ne frega. Poi quando si libera dal desiderio viene fuori la sua umanissima fragilità, si avvilisce perché deve fare i conti con gli anni e lei ci casca, diventa triste, si incattivisce, visto che ha cercato di salvarsi col matrimonio ma ha sposato un idiota, più fratello che marito. Marco invece è brutto, orrendo, schifoso, ma lei non riesce a prendere le distanze, anche quando lui è andato
oltre la spietatezza e se la gode. In lei, che non ha voluto seguirlo, nasce il desiderio di vendetta, lo vorrebbe distruggere per invidia e gelosia perché lui, con mezzi illeciti, ce l’ha fatta mentre lei è rimasta bloccata. Alle fine, quando riesce a scrollarsi di dosso Marco e la paura della vecchiaia, ritrova la libertà.” “Un opera prima di un giovane di grande talento – dichiara il produttore Luciano Stella -, su una Napoli stramba, un po’ particolare, più feroce e cinica”. “Il titolo per demonizzare la volontà di tutti – conclude l’autore -, perché Marco l’ha fatta franca (si è rifugiato in un’isola felice ndr.), il fratello ha avuto la macchina per la fidanzata, Lucrezia è di nuovo libera e felice”.
Nel film recitano anche Andrea Cioffi (Andrea Macaluso), Enzo Restucci (Mario Minale), Pino Iadanza (Pino Bertrand), Gennaro Maresca (marito Lucrezia), Luca Saccoia (pescatore), Peppe De Vicentis (commissario), Rita Corrado (Orsacchiottina), Pasquale Fernandez (figlio del salumiere), Umberto Logobardi (uomo della valigetta), Giovanna Viggiano Rossi (signora con chihuahua), Giannluca Cammisa (corridore sogno) e Francesca Romana Bergamo (barista). La fotografia è firmata Umberto Manente, il montaggio Francesca Balzano, le scenografia Alessandro Marangolo e le musiche da Gianni Banni (pseudonimo musicale del regista), Girolamo De Simone, K-Conjog, The Other Years, Bears, Kouma. José de Arcangelo
(2 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 5 maggio distribuito da Microcinema

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