giovedì 12 maggio 2016

Un tema tanto sconvolgente quanto toccante nel film "La sposa bambina" di Khadija Al Salami, dal libro biografico omonimo di Nojoud Ali

Un tema sconvolgente e toccante nel film “La sposa bambina” diretto da Khadija Al Salami, tratto dal libro biografico omonimo della stessa Nojoud Ali e della giornalista Delphine Monoui. Un argomento sempre più di scottante attualità, tanto che la stessa regista è stata protagonista di una vicenda simile a 11 anni e come Nojoud è riuscita a divorziare e poi a dedicarsi alla sua
passione, il cinema. Peccato che la narrazione e lo stile siano in qualche modo tradizionali, anzi convenzionali, mentre il finale si rivela didascalico-didattico, anche se la storia vera è coinvolgente e invita lo spettatore alla riflessione sulla violenza e sugli abusi verso i bambini, in particolare sulle donne. Non a caso il titolo originale recita “I am Nojoom, age 10 and divorced”, nel sottotitolo italiano “Mi chiamo Nojoom, ho 10 anni e voglio il divorzio”. La pellicola, infatti, narra la storia vera di
una bambina yemenita in cerca di giustizia, dato che nello Yemen non sono previsti limiti di età per poter contrarre matrimonio e Nojoom è costretta a sposare un uomo di 30 anni. La dote derivante dal matrimonio fornisce alla famiglia della bambina non solo la possibilità di ricevere una dote ma anche l’opportunità di liberarsi di una bocca in più da sfamare. Per tutti si tratta di un accordo legittimo e soddisfacente: per tutti tranne che per Nojoom che vedrà presto la sua vita diventare un incubo.
Privata dell’adolescenza e catapultata in un orribile tunnel senza fine. Stuprata la stessa notte di nozze – questo non è previsto dalla tradizione né dalla ‘legge’ ma tutti chiudono un occhio e accettano la ‘tradizione’ – e vittima di ogni sorta di restrizioni e violenze, la piccola Nojoud
non si rassegna e inizia una solitaria ma determinata battaglia contro le arcaiche pratiche rispettate dalla sua famiglia e dalla sua tribù, riuscendo a sfuggire al controllo dei genitori e dalla famiglia del marito per ottenere il divorzio. Una battaglia per la libertà delle donne del suo paese e di molti altri che acquista una valenza universale perché si tratta di una denuncia contro la violazione dei diritti umani, una piaga che, purtroppo, colpisce in ogni angolo del mondo.
Quindi, non un documentario – anche se la regista ne ha realizzato precedentemente oltre 25 –, ma un’incisiva e meticolosa ricostruzione dei fatti, con una sorprendente Reham Mohammed (la protagonista), assecondata da Rana Mohammed, Al Ashmori, Naziha Alansi, Husam Alshiabali, Sawadi Alkainai, Adnan Alkhader e Samaa Alhamdani. Il film – girato a Sana’a, Ajogah e Jabal Bura (Yemen) – ha avuto una quindicina di premi internazionali in altrettanti festival, dal Best Fiction di Dubai a quello per il Miglior film del 2016 all’Award London Asian Film Festival; dal Best Cinematography a Malmo (Svezia) al Global Media Award a Washington D.C. E’ patrocinato da Amnesty International Sezione Italiana. José de Arcangelo
(2 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 12 maggio distribuito da Barter Entertainment HANNO DETTO “Un film potente, toccante e provocatorio” (Screen Daily) “Un’incisiva condanna alla tradizionale pratica del matrimonio infantile. Il film è ammirevole ne suo essere diretto e onesto, un tripudio di autentici colori locali con un tocco di poesia.” (The Hollywood Reporter)
“Le virtù del film non giacciono solo nell’abilità tecnica all’interno del quale la storia viene raccontata. Nojoom è davvero un film importante.” (Daily Star) “Ho trovato il film affascinante, sia come studio della pratica dei matrimoni infantili nello Yemen, sia come testamento del potere dello spirito umano.” (The Huffington Post) “Questo lungometraggio è una finestra sullo Yemen, i suoi paesaggi e il suo popolo.” (Gulf News) “Un dramma ispirato anche alla vera storia della regista” (Vanity Fair)

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